Guerra segreta contro Daesh e Al Qaeda: una soluzione?
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Analisi, dicembre 2015 - Un'analisi di Alain Rodier sui vantaggi e gli svantaggi delle operazioni di guerra segreta contro i movimenti terroristi (nella foto, il presidente Obama nello studio ovale, dove approva le liste di persone da ammazzare)
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 9 dicembre 2015 (trad. ossin)
Guerra segreta contro Daesh e Al Qaeda: una soluzione?
Akain Rodier
Nel momento in cui lo stato di guerra è stato formalmente dichiarato dalle autorità francesi, è legittimo chiedersi se gli attacchi aerei contro i centri di comando e di addestramento, nonché contro le infrastrutture di Daesh, producano risultati tattici significativi. Per parte loro, da molti anni, gli Statunitensi sono impegnati in operazioni di neutralizzazione mirata, per meglio dire nell’assassinio di terroristi selezionati all’uopo dai servizi di informazione (High Value Targets). E non sono i soli, perché anche gli Israeliani e i Britannici non esitano a ricorrere a metodi similari. D’altronde, uno degli ultimi bersagli selezionati è stato oggetto di un’operazione congiunta statunitense-britannica, realizzata l’11 e 12 novembre 2015. Si trattava di eliminare Mohamed Emzawi - alias Jihad John – l’inglese di origine kuwaitiana che si è tristemente distinto per l’assassinio col coltello dei giornalisti James Foley, Steven Sotloff, Kenjo Goto, Haruna Yukawa, dei cooperanti David Haines, Alan Henning e Peter Kassig, oltre che di molti Siriani. L’operazione si è svolta con l’arrivo, a cinquanta chilometri da Raqqa, la capitale dello Stato Islamico, a bordo di un elicottero Chinook, di un commando di otto SAS. Questi hanno raggiunto i sobborghi della città a bordo di Dune Buggy. Qui hanno azionato diversi mini droni, che hanno localizzato con precisione il bersaglio in un palazzo di sei piani. Un’opportunità di attacco si è presentata alle ore 23,40, quando Jihad John è uscito e si è infilato in un’auto. Tre droni armati – due statunitense ed uno britannico (MQ-9 Reaper) - sono stati quindi attivati ed hanno effettuato attacchi di distruzione. Il comando è ripartito così come era arrivato ed è giunto alla base senza subire danni. La morte di Jihad John non è stata ancora “omologata”, giacché nessun annuncio del decesso è stato ancora pubblicato. Da notare che questa operazione congiunta veniva seguita in diretta dallo stato maggiore delle SAS a Hereford, in Gran Bretagna, e dal Combined Air and Space Operation Center (CAOC), con sede a al-Ubeid, in Qatar.
Jihad John si prepara a sgozzare James Foley
Il 13 dello stesso mese, Wissam Najim Abd Zayd al-Zubaydi – alias Abou Nabil al Anbari (nella foto a destra) – il responsabile di Daesh in Libia è stato anch’egli trasformato in “calore e luce” da due caccia bombardieri F-15 statunitensi nella regione di Dema. Questo iracheno aveva dapprima militato in Al Qaeda, dove era stato operativo tra il 2004 e il 2010 tra Falluja e Ramadi, poi era entrato a far parte dello Stato Islamico dell’Iraq (ISI). Si è fatto
soprattutto notare nell’assassinio di 21 coopti egiziani, nel febbraio 2015. E’ lui che ne sarebbe stato il commentatore. Era presente sul suolo libico dal settembre 2014. Da notare che questa è stata la prima azione statunitense contro Daesh, realizzata fuori dalla sua terra d’origine siro-irachena.
Gli Statunitensi colpiscono molto anche in Somalia. Abdirahman Sandhere – alias Ukash – un alto responsabile degli shebab, è stati ucciso il 2 dicembre da un attacco aereo. Questa organizzazione aveva già subito perdite notevoli con la tragica sparizione, il 1° settembre 2014, di Ahmed Godane, uno dei fondatori del movimento, e quella di Tahlil Abdishakur – il 29 dicembre 2014 – e di Yusuf Dheeq – il 3 febbraio – entrambi capi di Amniyat, il servizio di informazione degli shebab. Questo servizio aveva principalmente il compito di realizzare operazioni terroriste all’estero, soprattutto in Kenya, ma anche di scovare i traditori e le spie. E’ d’altronde significativo che alcuni volontari statunitensi che sono entrati nei ranghi degli shebab siano attualmente visti con sospetto da Amniyat, che li considera come potenziali informatori della CIA: Qualcuno è stato giustiziato per spionaggio o anche per avere voluto aderire a Daesh. L’emiro degli shebab, Abou Ubaydah – alias Ahmad Omar o Ahmed Diriye – resta fedele ad Al Qaeda “canale storico”. Per sfuggire alle purghe, alcuni volontari di origine statunitense sono stati costretti ad consegnarsi alle autorità, come Abdul Malik Jones a fine novembre 2015.
Un metodo che presenta solo vantaggi
Se queste esecuzioni extragiudiziarie pongono problemi sul piano giuridico, il difetto maggiore sta nel fatto che quelli che spariscono vengono subito rimpiazzati da nuovi venuti, a volte peggiori dei loro predecessori. In queste operazioni, se tutto il processo per individuare e poi avvicinarsi ai bersagli è identico a quello usato in passato – per esempio in occasione della caccia ai terroristi dei Giochi Olimpici di Monaco del 1972 (1) – l’operazione “homo” viene attualmente gestita generalmente dall’aria attraverso droni armati, caccia bombardieri o elicotteri, e non più da cecchini taciturni e fotogenici. Inoltre si pone la massima cura nell’ evitare perdite collaterali che sono estremamente dannose. Infatti, di solito, esse spingono le popolazioni nelle braccia dei movimenti insurrezionali, che è esattamente il contrario dell’obiettivo che ci si propone.
Le maggiori difficoltà sono nell’ottenere conferma dell’avvenuta neutralizzazione; perfino le “condoglianze che di solito si inviano attraverso il net potrebbero infatti essere un tranello utile a far sparire l’attivista, in modo che possa riapparire dopo un po’ di tempo. Solo le azioni al suolo consentono di identificare formalmente gli uccisi, come fu nel caso di Amada Ag Hama – alias Abdelkrim il Tuareg – e di Ibrahim Ag Inawalen – alias Bana –
abbattuti nel corso di una operazione delle forze speciali francesi nel nord del Mali, nel maggio 2015 (2). Da notare che molti altri responsabili terroristi hanno subito una fine tragica in questa regione da quando è iniziata l’operazione Serval. Tuttavia un personaggio importante sfugge tuttora ai Francesi, ai Ciadiani, agli Algerini e agli Statunitensi. Si tratta di Mokhtar Belmokhtar (MBM, nella foto a destra), che ha ben meritato uno dei suoi numerosi soprannomi: signor Fantasma.
Per contro, il grande vantaggio delle operazioni “homo” sta nella discrezione che le accompagna. Ed è questo che le fa apprezzare da alcuni responsabili politici cui incombe il compito di approvare – o meno – la Kill List, che viene loro sottoposta dai Servizi specializzati.
Altri metodi della guerra segreta
Anche un altro metodo sembra essere efficace: il compenso promesso a chi fornisce informazioni che permettano la neutralizzazione i Bad Guys. Il caso più recente è il premio di 50 milioni di dollari promesso da Mosca a chiunque fornisca informazioni utili alla identificazione dei responsabili dell’attentato contro l’Airbus russo di Sharm el Sheikh. Gli individui presi di mira sono soggetti ad una estrema pressione e perdono ogni fiducia nei loro amici. E’ proprio questo metodo che ha permesso agli Statunitensi di avere la testa – qualche volta in senso proprio, oltre che figurato – dei bersagli sudamericani membri delle FARC o dei cartelli della droga. Detto ciò, occorre anche aggiungere che i Wanted trovano anche una soddisfazione egotista nell’essere ufficialmente ricercati. Più il premio è importante più aumenta il loro prestigio nei confronti dei loro omologhi.
Un’altra tattica diede buoni risultati durante la guerra di Algeria: la “bleuite” (o complotto blu). Questa operazione, condotta dalla SDECE (il predecessore dell’attuale servizio DGSE) consisteva nel far pervenire ai capi dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), attraverso canali indiretti, delle liste di presunti collaboratori algerini dell’esercito francese, onde provocare delle purghe interne. Approfittando della paranoia esacerbata che sempre esiste in senso ai movimenti clandestini, questa tecnica si è dimostrata particolarmente efficace. Essa è stata d’altronde ripresa dagli stessi Algerini, dal 1994 al 1997, durante gli anni neri, per infiltrare il GIA. Fatto meno noto, i servizi srilankesi hanno fatto lo stesso nel corso degli anni 2000, per venire a capo delle Tigri di Liberazione dell’Eelam tamil (LTTE). Questo movimento sarà alla fine battuto nel 2009 (3), dopo 26 anni di violenze.
Conclusioni
Il vantaggio delle operazioni segrete sulla guerra convenzionale sta nel fatto che esse non hanno un impatto diretto sulle popolazioni degli Stati che vi ricorrono. Che dunque non faranno pressioni sul governo per modificare la loro strategia in funzione dell’emozione suscitata da questa o quella operazione. E’ la scelta che ha fatto il presidente Barack Obama fin dal 2009, in rottura con la politica delle cannoniere portata avanti dal suo predecessore G.W. Bush, col successo che tutti conosciamo. Certo, i risultati lasciano a desiderare, ma può legittimamente chiedersi dove sarebbe giunto il mondo se i neoconservatori avessero continuato a governare gli Stati Uniti. Le prossime elezioni presidenziali in USA, che potrebbero vedere il loro ritorno, sono d’altronde gravide di minacce e di incertezze.
Note:
• [1] Vedi l’operazione “Collera di Dio” o “Baionetta”, una serie di azioni del Mossad, miranti ad assassinare tutti coloro che erano sospettati di avere preso parte al sequestro di ostaggi del Giochi Olimpici di Monaco del 1972. Essa si è sviluppata in un periodo di più di venti anni, durante il quale gli Israeliani hanno ammazzato una decina di Palestinesi e di cittadini arabi ritenuti coinvolti nel massacro degli atleti israeliani.
• [2] Non è certo che questi individui fossero il bersaglio di operazioni “homo”, dal momento che essi sono stati abbattuti durante combattimenti di terra. E’ possibile che sarebbero stati fatti prigionieri, se si fossero arresi. Insieme a loro, sono stati uccisi altri due attivisti.
• [3] Questo metodo non è sufficiente a spiegare, da solo, la sconfitta del movimento insurrezionale. Il successo delle forze governative si spiega soprattutto con il blocco degli approvvigionamenti marittimi del LTTE e con le modalità particolarmente accanite e selvagge delle azioni di quest’ultimo, che non si preoccupava granché delle perdite collaterali in seno alla popolazione tamil.