Europa: la minaccia terrorista è davvero elevatissima?
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Analisi, dicembre 2016 - Scritta qualche giorno prima, questa analisi di Alain Rodier ha trovato una dolorosa conferma nei fatti recentemente avvenuti a Berlino (nella foto, la strage di Berlino del 19 dicembre 2016)
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 4 dicembre 2016 (trad. ossin)
Europa: la minaccia terrorista è davvero elevatissima?
Alain Rodier
Tutti i responsabili politici, soprattutto francesi, parlano di una elevata minaccia terrorista in Europa. Alla lunga, una parte del pubblico non sembra più credervi giacché da un po’ di tempo non succede niente e l’oblio, nonostante le tante commemorazioni, si afferma rapidamente, salvo che per quelli che ne siano stati direttamente o indirettamente toccati. Questa capacità di adattamento è peraltro affascinante. E’ una vera e propria “arma” che contribuisce alla resilienza della popolazione.
Ma tutti gli analisti specializzati non si fanno troppe illusioni: l’unica domanda da porsi è oramai: «quando» e «dove»? I servizi di sicurezza fanno di tutto per parare questa minaccia e ogni settimana si effettuano arresti; il compito è immenso, le risorse umane e i mezzi materiali restano limitati e non possono essere aumentati indefinitamente. Inoltre, a causa di questo stato permanente di allerta, la stanchezza può talvolta prevalere, per quanto l’impegno sia massimo. E’ infatti impossibile restare costantemente concentrati. Gli attaccanti hanno il vantaggio della sorpresa perché sono loro ad avere la risposta alle domande «quando» e «dove», e si devono solo preoccupare del «come».
Tutti i segnali sono al rosso. Da settimane, e più specialmente da qualche giorno, la propaganda di Daesh diffonde molteplici appelli ad azioni violente attraverso I suoi vari canali come il «Centre de medias» An-Nur (in francese), che scrive il 29 novembre: «Come mussulmano, mi sento in obbligo di prendere il mio camion e dirigermi contro i miei nemici per infliggere loro una vera punizione fino ad angosciarli». Il 27 dello stesso mese pubblica il testo seguente: «Partigiano del Califfato, i soldati del Califfato hanno trascinato i miscredenti in una guerra e sanguinosa ed estenuante. Scontri feroci infuriano in ogni contrada e i mujaheddin, arma alla mano, affrontano senza tregua I nemici di Allah per sradicare l’idolatria. Quanto a voi, partigiani(e) del Califfato, fratelli e sorelle in Allah, non restate in attesa di pubblicazioni e comunicati! Invocate Allah, senza cui le vittorie non sarebbero possibili. Pubblicate e condividete le informazioni, prendete il controllo delle reti sociali e partecipate alla guerra mediatica. Che Allah benedica le mani con le quali la verità esplode giorno dopo giorno».
Indubbiamente questi messaggi si rivolgono a fedeli della causa salafita che già vivono in Europa, perché si decidano a passare all’azione. Da notare che il riferimento all’islam è permanente e reiterato.
Il più recente rapporto dell’Europol sottolinea d’altronde che la minaccia potrebbe venire da individui che si sono auto-radicalizzati sul net. I mezzi cui potrebbero ricorrere vanno dal coltello a pesanti oggetti lanciati sulla folla. Non è impossibile, sempre secondo questo studio, che possano essere impiegati veicoli imbottiti di esplosivo e perfino armi chimiche. Per quanto riguarda I bersagli, l’ipotesi più probabile è la scelta di «punti deboli», non di obiettivi protetti come le infrastrutture del tipo centrali nucleari. E’ legittimo tuttavia nutrire qualche dubbio su queste asserzioni, per lo meno ottimiste.
Inghimasi (combattenti jihadisti) provenienti dall’estero?
Il passaggio all’azione di individui che già si trovano in Europa è la prima minaccia. C’è tuttavia anche quella che viene dal moltiplicarsi dei volontari al martirio – per vendicare i mussulmani «assassinati» dagli infedeli nei diversi teatri di guerra -, soprattutto donne[1]. Così non è impossibile che possano essere utilizzati dei commando dal fronte siro-iracheno o dalla Libia.
Ed è qui che si comincia a parlare degli Inghimasi (I «sommersi»), gli eredi degli Heyssessini (assassini). Questa categoria apparsa nel 2011 fa riferimento ad attivisti che vanno in guerra senza speranza di ritorno, ma che – a differenza dei kamikaze - gli Istishhhadi – devono combattere prima, e devono sacrificarsi solo se rischiano di essere catturati o di trovarsi a corto di munizioni.
Frequentemente utilizzati in piccolo gruppi sul fronte siro-iracheno o in Libia, essi si trovano in tutti i movimenti salafiti e Al Qaeda «canale storico» ne ha fatto largo uso. Non si deve dimenticare che questa organizzazione è responsabile dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo del gennaio 2015 a Parigi.
Gli Inghimasi sono equipaggiati con armi da fanteria – per lo più fucili di assalto – e portano un gilet esplosivo. Se in battaglia essi operano in avanguardia, spesso camuffati con l’uniforme degli avversari per meglio ingannarli [2], possono anche realizzare operazioni terroriste all’estero, soprattutto in Europa. Gli attivisti di Daesh che hanno attaccato il Bataclan e i caffè di Parigi il 13 novembre 2015, possono essere assimilati a degli Inghimasi. A differenza dei kamikaze (Istishhadi) dello stadio di Francia, che non disponevano di armi da fuoco e dovevano solo farsi esplodere tra la folla, essi hanno posto in essere combattimenti di fanteria (per meglio dire dei massacri, avendo attaccato dei civili disarmati) e si sono fatti esplodere solo all’ultimo momento. Il compito degli Inghimasi, infatti, è di combattere il più a lungo possibile per massimizzare le vittime, cosa che inevitabilmente comporta che siano accerchiati dalle forze avversarie, senza poter scappare. A quel punto, essi si sacrificano.
Ai residenti islamisti radicalizzati e ai commando provenienti dall’estero[3], occorre aggiungere i migranti, che costituiscono una riserva di reclutamento particolarmente interessante. Essi infatti trovano condizioni di vita particolarmente dure e qualcuno può essere tentato di accettare l’invito dei reclutatori che spiegano loro che l’unica salvezza è nella lotta.
Il sentimento principale che motiva tutti questi aspiranti al martirio è l’odio per l’altro e la possibilità di redimersi con la violenza che va fino al sacrificio supremo.
Note:
[1] Che, paradossalmente, non sono in sintonia con l’ideologia fino a questo momento predicata da Daesh, che nega loro un ruolo combattente diretto.
[2] Vengono allora utilizzati come forza di rottura, accompagnando spesso uno (o più) veicoli imbottiti di esplosivo guidati da kamikaze detti Istishhadi. Possono essere anche utilizzati in combattimenti che servono a guadagnare tempo, per consentire agli altri di ripiegare più facilmente.
[3] Che possono comprendere insieme Inghimasi e Istishhadi.