La nottata che non passa mai
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Intervento, aprile 2017 - Buon 25 aprile a tutti. Da tempo non è più un appuntamento «di lotta», come nella mia gioventù degli anni Settanta, e digitando su Google: «25 aprile 2017 Napoli», le prime quattro pagine contengono solo informazioni turistiche (nella foto, un momento delle "Quattro giornate di Napoli")
Corriere del Mezzogiorno, 25 aprile 2017 (editoriale)
La nottata che non passa mai
Nicola Quatrano
Buon 25 aprile a tutti. Da tempo non è più un appuntamento «di lotta», come nella mia gioventù degli anni Settanta, e digitando su Google: «25 aprile 2017 Napoli», le prime quattro pagine contengono solo informazioni turistiche. Però è pur sempre una bella festa, della «liberazione» appunto, memoria del passato che, per restare viva e non incartapecorirsi nella retorica, deve sapersi coniugare con la solidarietà verso i popoli ancora oggi sotto occupazione. Festeggiamolo dunque con letizia, anche se Napoli non fu veramente protagonista di quegli eventi. Mentre a Milano, infatti, il Cnl dell’Alta Italia assumeva il potere «in nome del popolo italiano», a Napoli era già tutto finito da tempo e la città era alle prese con altri problemi, solo un po’ meno duri della guerra e dell’occupazione. I tedeschi erano stati cacciati due anni prima, nelle quattro giornate dal 27 al 30 settembre 1943: fu una fiammata di collera, di rancore e di eroismo, ma pur sempre una fiammata, spontanea e senza controllo, che si spense presto.
Antonio Ghirelli la definì un «vaffanculo» ai tedeschi, a dispetto di quello che raccontava Maurizio Valenzi: «Cacciammo i tedeschi. Molti di noi morirono. E il partito comunista partecipò alla rivolta e la coordinò». Però nei diari di Mario Palermo non c’è traccia di quegli eventi, e nemmeno in quelli di Benedetto Croce (fuggito a Capri). Chissà che questa distrazione non sia un altro segno della lontananza, perfino del sospetto, con cui la borghesia e gli intellettuali napoletani guardano al loro popolo, specialmente quando sfugge al controllo e fa di testa sua.
Con un filo perfino di disprezzo, come nelle parole feroci di Raffaele La Capria: «È vero che i napoletani combatterono e morirono, ma è anche vero che spararono sui tedeschi in ritirata, che stavano abbandonando la città all’arrivo degli americani».
A Napoli comunque, il 25 aprile 1945, ci furono comizi, applausi e qualche manifestazione, ma la fiammata era inesorabilmente spenta: la città era già diventata una specie di Saigon mediterranea, dove solo contrabbando e prostituzione davano da mangiare, più o meno come il fumo oggi a Scampia. Con un cammino ancora lungo, lunghissimo, da fare (ammesso che la storia abbia una meta e che questa meta sia la libertà) verso un riscatto vero, pieno di inciampi e di battute d’arresto, una nottata non ancora passata.
E la nottata continua ancora nella città liberata dai tedeschi ma non dai suoi problemi, la città delle dismissioni industriali e delle privatizzazioni che l’hanno resa irrilevante, una città dove il lavoro è più difficile da trovare dell’imprendibile Igor. E dove – a dare man forte al disprezzo degli intellettuali con la puzza sotto il naso – la dignità della comunità viene affidata a folkloristiche iniziative come lo sportello anti-diffamazione, che speriamo non venga copiato dal comando generale dei carabinieri sennò abbiamo finito di raccontare barzellette, ma abbiamo buone speranze che durerà solo lo spazio di un annuncio, come le rose e la moneta «Napo».
Una città dove l’orgoglio cittadino si celebra con il concerto di Pontida, una provocazione di cui si fa fatica a capire il senso, cui hanno più o meno partecipato gli stessi giovani che avevano animato i cortei di protesta contro l’arrivo di Matteo Salvini a Napoli qualche settimana fa. Allora ci furono scontri duri, mentre a Pontida tutto si è svolto pacificamente, hanno perfino cancellato (provvisoriamente) la grande scritta «Padroni a casa nostra» sul pratone della ferrovia. «Lasciamoli divertire per un giorno – avranno pensato – poi se ne torneranno soddisfatti a casa loro, senza aver fatto niente ma convinti di aver fatto chissà che». In termini di intelligenza politica, un 2 a 0 per Salvini.
Ma basta! Napoli non è solo il folklore e il ribellismo sanfedista ai quali in troppi vogliono impiccarla. Un esempio ci viene proprio da quelle quattro giornate tanto poco comprese e disprezzate. Nella figura, per esempio, di Adolfo Pansini, un giovane di 18 anni che morì generosamente, combattendo armi in pugno contro i tedeschi, e di suo padre Edoardo, pittore, che lo aveva educato e ne proseguì la lotta. Furono poi gli americani a chiudere una sua rivista già censurata dal regime, e le manette dei carabinieri a porre fine alla sua carriera di rivoluzionario. Accusato di furto e violazione di domicilio, perché aveva sfondato le porte delle case dei gerarchi e sequestrato il cibo che vi nascondevano per alimentare il mercato nero, distribuendolo al popolo stremato.