Russia – Stati Uniti – Europa : Rapporti conflittuali
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Analisi, giugno 2017 - Se conviene preoccuparsi di Mosca, soprattutto nel campo della guerra segreta, è augurabile che non ci si allinei sistematicamente con Washington, che ha una politica estera estremamente offensiva (nella foto, il generale Curtis Michael Scaparrotti)
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 9 maggio 2017 (trad. ossin)
Russia – Stati Uniti – Europa : Rapporti conflittuali
Alain Rodier
Nel corso di una audizione di fronte a un comitato del Senato USA, il 2 maggio 2017, il generale Curtis Michael « Mike » Scaparrotti, comandante supremo delle forze della NATO in Europa e delle forze degli Stati Uniti in Europa, ha nuovamente segnalato la minaccia che, secondo lui, l’Alleanza Atlantica deve fronteggiare: «a Est, una Russia rinascente è passata dalla posizione di partner a quello di un protagonista che cerca di indebolire l’ordine internazionale a guida occidentale e a riaffermarsi come potenza mondiale. [...] I paesi prossimi alla Russia – compresi Ucraina e Georgia – devono difendersi contro le iniziative malevoli e militari di Mosca». Ha perfino denunciato l’apertura di un «nuovo fronte» nel Grande Nord, dove la Russia tenta di trarre vantaggio dallo scioglimento dei ghiacci, che rende possibile la navigazione, per affermare la propria sovranità, cosa che è assolutamente vera [1] .
Senza dubbio gli Statunitensi, che sono maestri nella realizzazione di superproduzioni cinematografiche, già si vedono impegnati nella saga di « Guerre stellari» e considerano il presidente Putin il nuovo «Dark Vador».
Ancora più inquietante è il seguito delle dichiarazioni del generale Scaparrotti : «Queste minacce hanno indotto EuCom a trasformarsi da missione di cooperazione e impegno nel campo della sicurezza in una missione di dissuasione e di difesa. [...] Quindi noi adeguiamo i nostri piani, la nostra posizione e la nostra volontà onde restare operativi nella lotta contro le minacce alle quali siamo confrontati. [...] Insomma torniamo al nostro ruolo storico di comando di guerra». Questo ufficiale considera irrimediabilmente tornati i tempi della Guerra fredda.
Nel quadro di una politica volta a «rimettere in sicurezza l’Europa», propugna un rafforzamento della presenza militare statunitense in Europa per realizzare una «dissuasione credibile» di fronte alla «aggressione» della Russia, e ulteriori investimenti per sviluppare le infrastrutture necessarie a sostenere questo sforzo. Il generale Scaparotti chiede quindi che sia dispiegata un’altra brigata in Europa (ce ne sono già tre) e più mezzi aerei.
Alla fine giunge al nocciolo della questione: la ragione che spinge gli Stati Uniti a questa politica offensiva, affermando che il «teatro europeo è essenziale per gli interessi degli Stati Uniti» e che «la NATO resta il punto chiave della sicurezza nazionale per gli Stati Uniti». Omette solo di precisare che i neoconservatori danno una mano a dipingere l’avversario come il più potente possibile. E la cosa comporta ricadute molto lucrose per il complesso militar-industriale che costituisce il loro principale sponsor.
Una bilancia militare negativa per la Russia
Tuttavia la verità dei fatti è assolutamente diversa. La bilancia militare della Russia, paragonata a quella della NATO, è negativa per Mosca, cifre alla mano. Secondo il rapporto del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) pubblicato il 24 aprile 2017, le spese militari sostenute nel 2016 dagli Stati Uniti sono state di 611 miliardi di dollari, contro i 69,2 miliardi della Russia[2]. Peraltro i budget della difesa di Francia, Germania e Gran Bretagna toccano i 145,1 miliardi di dollari, vale a dire più del doppio di quello della Russia! Certamente I prezzi delle materie prime e della mano d’opera sono assai meno elevati in Russia che nei paesi occidentali, ma le cifre indicate restano significative in termini di tendenze complessive.
Altri dati completano questa rapida valutazione, anche se debbono essere presi con le dovute precauzioni.
- I paesi membri della NATO hanno circa 917 milioni di cittadini (317 milioni statunitensi) di fronte a poco più di 142 milioni di Russi. E’ in questi vivai che si reclutano i combattenti. La disponibilità totale dei paesi occidentali è dunque ben superiore a quella di Mosca. Oltre ai riservisti, la NATO conta su 3,6 milioni di uomini (e donne) sotto le armi (tra cui 1.500.000 Statunitensi) contro 800.000 Russi;
- L’aviazione della NATO è forte di 5.900 aerei da combattimento (di cui 3.500 Statunitensi) contro i 1.900 Russi;
- L'US Navy possiede dieci portaerei (senza contare I porta-elicotteri) mentre Mosca ne ha solo una, che sarà tuttavia indisponibile per un lungo periodo a causa di lavori di ammodernamento;
- La NATO dispone approssimativamente di 5.900 carri armati da combattimento (di cui 2.300 Statunitensi) contro 2.800 della Russia.
L’unica situazione di parità riguarda le armi nucleari, giacché gli Statunitensi possiedono 1.481 testate operative, contro le 1.735 dei Russi. Abbastanza perché ciascuno possa distruggere diverse volte il pianeta.
Ovviamente bisogna anche prendere in considerazione elementi essenziali come la reale disponibilità dei materiali – assai spesso inferiore al 50% - l’esperienza e la capacità dei combattenti. I Russi hanno dimostrato a più riprese nel corso della storia di possedere una capacità di resilienza elevatissima, accettando sacrifici sovrumani quando la Madre Patria era minacciata. Le truppe napoleoniche e tedesche hanno pagato assai cara la sottostima di questa qualità. Insomma il cittadino russo è meglio attrezzato del suo omologo occidentale per superare prove eccezionali.
A livello di combattenti, il generale Mark A. Milley, capo di stato maggiore dell’esercito USA, è stato assai esplicito in proposito, nel corso di una conferenza tenuta il 4 maggio, riportata da Philippe Chapleau sul suo eccellente blog Lignes de Défense[3]. Per Milley, occorre esaminare le «anteprime» costituite dalle battaglie di Mosul, Falluja e Aleppo. Occorre «tagliare il cordone ombelicale» col supporto e il confort logistico cui sono abituate le truppe statunitensi. «Una intera generazione di ufficiali ha esperienza di combattimenti portati avanti a partire da basi come Victory o Bagram, o da FOB (Forward Operating Base) munite di ogni confort. Pizza Huts, Burger Kings e un sacco di cose simili». L'esercito in particolare deve imparare ad operare senza «una immensa catena logistica alle spalle nei futuri conflitti ad alta intensità», dove le condizioni saranno «austere».
Per quanto attiene all’esercito francese, è da molto tempo che applica tali principi. La guerra di Indocina è stato il primo esempio sconvolgente.
Conseguenze per l’Europa
L'Europa beneficia dell’ombrello statunitense, ma dovrà partecipare più attivamente alla «Iniziativa di rimessa in sicurezza dell’Europa». I paesi baltici, la Polonia e adesso gli Scandinavi – che gridano tutti al lupo russo – contribuiscono direttamente al clima deleterio che oggi prevale. I ricordi di un passato recente sono ancora assai vivi. Non è più il tempo di chiedersi «chi ha cominciato», come ragazzini che litigano durante la ricreazione, ma di stabilire se destinare risorse militari per contrapporsi ad una minaccia che sembra del tutto sopravvalutata sia una buona decisione.
Soprattutto per la Francia, che già è impegnata sul fronte siro-iracheno, in Sahel e ora anche in Europa del Nord, è indispensabile stabilire dove concentrare lo sforzo di difesa, giacché i nostri mezzi restano limitati: contro un nemico militare virtuale – la Russia? O piuttosto contro un avversario reale e la cui minaccia è attuale: i movimenti salafiti-jihadisti? Ciò detto, vi è forse un accordo segreto tra Parigi e Washington: la Francia assicura una presenza simbolica in Europa del Nord, in Siria e in Iraq [4] in cambio di un importante aiuto logistico, in termini di informazione - e forse anche più -, gli Statunitensi essendo sempre più presenti sul continente africano.
Cosa vogliono gli Statunitensi?
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Washington ha sistematicamente esagerato la minaccia rappresentata dall’URSS (che avrebbe potuto raggiungere i porti dell’Atlantico in pochi giorni) e poi dalla Russia. I loro alleati della NATO dipendevano all’epoca dai servizi di informazione USA, dei quali non avevano motivo di dubitare, tanto più che i Britannici (con il loro MI-6 che godeva di grandissima reputazione) confermavano l’allarme.
La Francia ha cominciato a rimettere in dubbio tali affermazioni, analizzando il comportamento dell’Armata Rossa in Afghanistan (1979-1989). Le informazioni raccolte hanno dimostrato che la bella macchina militare russa, tanto vantata da Washington, non era efficace come si pensava. A onta delle qualità del complesso militar-industriale russo, i servizi francesi si sono resi conto che i materiali sovietici erano resistenti ma meno performanti del previsto e, soprattutto, che la capacità di proiezione delle forze russe oltre le loro frontiere (che coincidevano all’epoca con quelle dei paesi del Patto di Varsavia) incontrava immense difficoltà. In sintesi, oltre la difesa del loro «cortile di casa», i Russi erano molto meno a loro agio nel condurre azioni offensive.
Allora perché enfatizzare la minaccia? La risposta è tutta nel discorso pronunciato dal presidente Eisenhower il 17 gennaio 1961 prima di terminare il suo secondo mandato. Ha detto: «dobbiamo quindi guardarci da ogni influenza ingiustificata, che sia stata o meno sollecitata, da parte del complesso militar-industriale. Il rischio potenziale di una disastrosa crescita di importanza di un potere illegittimo esiste e persisterà. Noi non dovremo mai consentire alla forza di questo agglomerato di mettere in pericolo le nostre libertà e il nostro processo democratico. Non dovremo mai prendere niente per oro colato. Solo una comunità di cittadini reattivi e bene informati potrà imporre una virtuosa combinazione dell’enorme apparato industriale e militare della Difesa coi nostri metodi e i nostri obiettivi pacifici, di modo che sicurezza e libertà possano prosperare insieme». Malauguratamente, egli aveva ben previsto quello che sarebbero stati capaci di mettere insieme i neoconservatori statunitensi, seguiti dai loro omologhi europei: costringere la Russia ad arroccarsi per mantenerla in un ruolo internazionale marginale. Da notare che la pensata neoconservatrice è presente sia nel campo repubblicano che in quello democratico, e sia a destra che a sinistra in Europa.
Occorre infine ricordare che gli interessi strategici di Washington sono molto più vari e geograficamente estesi di quelli di Mosca, che si concentra sulla sua zona di influenza: i «mercati» della Russia. Ancora un fatto deve essere tenuto presente: gli Statunitensi hanno circa 800 basi militari oltre i loro confini, contro una dozzina dei basi russe.
La Russia e gli Stati Uniti difenderanno prima di tutto, e del tutto logicamente, i loro propri interessi. Se conviene preoccuparsi di Mosca, soprattutto nel campo della guerra segreta – che è sempre stata uno dei suoi punti di forza -, è augurabile che non ci si allinei sistematicamente con Washington, che ha una politica estera estremamente offensiva. Gli Statunitensi non fanno regali, nemmeno all’Europa. Per convincersene, basta guardare la guerra economica che stanno portando avanti usando tutti i mezzi a loro disposizione, soprattutto imponendo al mondo regole che stabiliscono unilateralmente. E le cose non cambieranno certo con l’amministrazione di Donald Trump che, prima di essere un animale politico, è soprattutto un uomo d’affari temibile ed esperto.
Note:
[1] Il generale Scaparotti ha anche riaffermato l’appoggio statunitense all’alleato turco. D’altronde il presidente Erdogan deve incontrarsi con Donald Trump il 16 maggio, nel corso di una sua visita negli Stati Uniti. Ha anche ricordato il caos nord-africano - che Washington ha ampiamente contribuiti a creare – dove gli estremisti violenti e gli elementi criminali transnazionali seminano il terrore e la corruzione, mentre i rifugiati cercano di andare in Europa per trovarvi sicurezza e opportunità». Non si può che sottoscrivere questa dichiarazione.
[2] A titolo di comparazione, il secondo posto tocca alla Cina con 215 miliardi di dollari.
[4] Cosa che consente agli Stati Uniti di parlare di «coalizione» e non di intervento unilaterale, come si è già fatto nell’Iraq del Nord dopo la prima guerra del Golfo del 1991.