Integrazione, è questa la vera sfida
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Intervento, agosto 2017 - La nuova strategia di Daesh dei "lupi solitari" potrebbe rivelarsi vincente. Essa potrebbe fallire solo nel caso - ed è su questo che dobbiamo soprattutto lavorare - che i giovani cui si rivolge siano capaci di non farsi strumentalizzare e declinino l’invito...
Corriere del Mezzogiorno (editoriale), 27 agosto 2017
Integrazione, questa è la vera sfida
Nicola Quatrano
Bene ha fatto Gennaro Ascione a ritornare sul tema del terrorismo, non fosse stato per lui se ne sarebbe riparlato al prossimo attentato. Che potrebbe avvenire in Italia, stando a certi annunci, o addirittura a Napoli, in qualche modo candidata a questo ruolo dall’insediamento del nuovo Hub della NATO al Lago Patria
Se fino ad oggi siamo stati risparmiati, è soprattutto merito del lavoro di intelligence dei nostri Servizi, e del fatto che l’Italia non ha avuto ruoli di primo piano nelle guerre “per la democrazia” che hanno devastato il Medio Oriente e il Nord Africa, e non ha intrecciato rapporti pericolosi con quei “ribelli” (terroristi), che altri paesi hanno coccolato, ospitato e finanziato. Ma la nuova strategia jihadista dei “lupi solitari” si rivolge oggi ai “credenti” dovunque si trovino, senza troppe distinzioni geopolitiche, col risultato che anche noi italiani non possiamo più ritenerci al sicuro.
Scontate e inadeguate, di fronte a queste novità, appaiono le posizioni dei leader occidentali. Angela Merkel (e con lei Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e la specialista in luoghi comuni, Laura Boldrini) hanno reagito ai drammatici fatti di Barcellona, affidandosi alla solita formula: “Non ci faranno cambiare il nostro stile di vita”. Riferendosi al “nostro”, ovviamente, non certo a quello che le umanitarie guerre per il petrolio dell’Occidente hanno già fatto cambiare a milioni di Iracheni, Siriani, Libici. (Se a noi fanno paura barbe e veli islamici, gli africani dovrebbero fuggire al semplice apparire di una bianca camicia Charvet, di quelle predilette da Bernard Henri-Levy).
Né più adeguata sembra la strategia antiterrorista del Comune, affidata alle fioriere (e va anche bene), e alle parole. Dopo i fatti di Barcellona, Luigi De Magistris ha invitato i Napoletani alla vigilanza, stavolta democratica e non rivoluzionaria (si tratterà di un riposizionamento ideologico, o di parole al vento?). In attesa che la cittadinanza denunci tutti i ciccioni con la barba sospettati di nascondere una cintura esplosiva sotto la maglietta, già qualcuno ha fatto democraticamente bloccare il traghetto per Ischia, segnalando “l’anomalia” di una donna velata a bordo.
Alla base di questa diffusa inadeguatezza, c’è forse un’analisi carente del nuovo fenomeno jihadista, che certamente ha subito gravi colpi sul piano militare, ma che continua ad alimentarsi della predicazione di un islam arcaico di derivazione saudita-wahhabita, e del disagio e dell’emarginazione di larghe fasce giovanili. Daesh sembra vivere il crollo del suo “Stato”, non come la fine di tutto, ma come un momento della sua strategia a lungo termine, un po’ come il tempo in cui il profeta Maometto fu costretto ad abbandonare La Mecca e rifugiarsi a Medina (il “ritorno al deserto”). E, in questo tempo, si rivolge ad una vasta platea di giovani emarginati e radicalizzati, affidando ad essi la prosecuzione del jihad. Il 3 luglio scorso ha pubblicato su Telegram un “manuale del lupo solitario” in lingua turca, che invita all’azione usando i mezzi disponibili e fornisce una serie di istruzioni su come evitare i sistemi di videosorveglianza, raccomandando di avvicinare i giovani dai 12 ai 16 anni, che sono “facili da reclutare” per “fare il lavoro”. Prosegue insegnando come si possono fabbricare bombe “nella cucina di casa”, come ricavarle dalle bombole del gas (riprendendo un articolo su Inspire – la rivista di Al Qaeda – del 2010). In mancanza, suggerisce di incendiare simultaneamente una grande quantità di auto, di provocare gravi incidenti automobilisti, di appiccare il fuoco nei boschi in prossimità di zone abitate, e così via. Una strategia che sfugge praticamente ad ogni controllo, altro che “non abbiamo paura” e vigilanza “democratica”!
Una strategia che potrebbe rivelarsi vincente e che ci vede sostanzialmente disarmati. Una strategia che può fallire solo nel caso - ed è su questo che dobbiamo soprattutto lavorare - che i giovani cui si rivolge siano capaci di non farsi strumentalizzare e declinino l’invito.
Ecco la vera sfida che abbiamo di fronte: quella dell’integrazione. Attraverso programmi di inserimento e di accompagnamento, di de-radicalizzazione nelle carceri, ma soprattutto una capacità delle comunità di un dialogo e una integrazione che sbarrino il passo alla propaganda estremista. Un lavoro da farsi insieme alle organizzazioni islamiche italiane (in prima fila contro il terrorismo).
A Napoli, per esempio, il Comune potrebbe finalmente adoperarsi per l’apertura di moschee degne di questo nome (non gli attuali scantinati), pretendendo ovviamente garanzie sulle fonti di finanziamento e attivando tavoli di dialogo che servano anche a monitorare la situazione. Integrazione, in definitiva, significa considerare queste persone come cittadini, non solo ospiti più o meno indesiderati.
C’è bisogno di un lavoro serio, insomma, non di gente che denunci il vicino perché si è fatto crescere la barba.