Democrazia fragile
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Analisi - L'analista Béchir Ben Yahmed riflette sulla fragilità della democrazia. Nell'Africa, dove in Kenya e Zimbabwe non sono bastate delle elezioni svoltesi con modalità abbastanza corrette per stabilizzare un potere riconosciuto, e nell' Europa, dove due avvenimenti dimostrano che la democrazia può essere a rischio anche là dove è più radicata. Gli esempi sono quelli dell'elezione in Italia di Silvio Berlusconi ("un demagogo, un corruttore conclamato") diventato per la terza volta capo del governo anche se tutti sanno che "persegue prima di tutto i suoi interessi personali", ed il recente sondaggio realizzato da Financial Times/Harris, che ha dimostrato come l'opinione degli Europei si sia modificata nel giro di pochi giorni, collocando la Cina al primo posto tra i paesi che costituiscono una minaccia per la stabilità mondiale, per effetto della manipolazione dei media che hanno inondato gli oramai spoliticizzati e disinformati europei di notizie approssimative e spesso false sulla repressione cinese in Tibet.
L'editoriale di Jeune Afrique, tradotto in italiano a cura di ossin.
Sabato 19 aprile 2008
Jeune Afrique – 20/26 aprile 2008
E’... fragile
di Bachir Ben Yahmed
Per il momento il male non è apparso – o non ha recidivato – se non nell’Africa sub-sahariana, dapprima in Kenya, poi nello Zimbabwe. Le elezioni, anche quando se ne fissi la data, se ne disciplinino le modalità e le si tengano in modo abbastanza corretto, non danno più necessariamente luogo ad un governo accettato dalla popolazione, soprattutto dai partigiani di coloro che hanno perso.
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In Kenya si è finito, dopo cento giorni di disordini, diverse centinaia di morti, decine di migliaia di rifugiati e danni gravissimi all’economia, per cedere alle pressioni dei mediatori e per rassegnarsi a condividere il potere tra le due principali forze che se lo disputavano.
Questa soluzione di compromesso, che abbiamo accolto con sollievo, molto probabilmente, ahinoi!, non durerà a lungo. Bisogna comunque preoccuparsene e prepararvisi.
Perché, se pure sono sempre molto difficili da gestire e sempre precarie, perfino nei paesi di democrazia radicata, la coabitazione e la condivisione del potere non godono di alcuna tradizione o legittimità nelle regioni africane. Non funzionano!
Per quanto riguarda dunque Nairobi, attendiamoci delle note stonate o anche una situazione di stallo.
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In Zimbabwe lo stallo già c’è: da quasi un mese i perdenti rifiutano di lasciare il posto e anche di condividere il potere.
Con un’economia che già era in condizioni pessime ed un fossato che sembra insormontabile a dividere i due campi politici, io non riesco a vedere altra via di uscita dalla crisi che non sia proprio quello che per un pelo è stato evitato in Kenia (forse provvisoriamente): l’intervento dei militari (e delle forze armate).
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Se, come dimostrano gli esempi del Kenya e dello Zimbabwe, le elezioni non sono più, almeno nell’Africa subsahariana, uno modo sicuro per collocare alla testa di un paese un potere riconosciuto, bisogna preoccuparsi per la Cote d’Ivoire.
E assumere tutte le misure necessarie perché le elezioni presidenziali, la cui data è stata appena fissata, siano bene organizzate, si svolgano nella data annunciata e non si rivelino “calamitosa” come quelle del marzo 2000.
Bisogna che si svolgano in modo trasparente ed internazionalmente controllato, perché riescano infine a designare (al primo o al secondo turno) un presidente legittimo e accettato dalla principali formazioni del paese.
La Cote d’Ivoire ha il più grande bisogno di uscire dalla crisi nella quale ha dato l’impressione di sguazzare comodamente per circa dieci anni.
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Vorrei adesso attirare la vostra attenzione su un secondo fenomeno della nostra epoca che ha, invece, carattere mondiale. Illustrato da due fatti molto recenti, pone in pericolo la democrazia, anche nei luoghi dove è meglio installata.
1) Prima di tutto la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi in Italia.
Berlusconi è già stato due volte presidente del Consiglio ed ha governato il suo paese per sette anni: i suoi risultati si sono rivelati disastrosi e lui ha mostrato ai suoi compatrioti ed al mondo che un imprenditore che ha fatto fortuna non è necessariamente anche un buon governante.
Chi non sa che Berlusconi, politico di destra alleato alla estrema destra italiana, è un demagogo senza scrupoli, un corruttore conclamato che ha saputo usare senza alcun ritegno, e dunque abusato, degli immensi mezzi finanziari e dei troppo grandi poteri mediatici che ha messo insieme?
E allora come ha potuto farsi eleggere con tanto vantaggio quando i suoi stessi elettori sanno che egli persegue i suoi interessi personali anche a scapito di quelli dell’Italia?
Il suo successo elettorale si spiega principalmente con la sua parlantina e con le sue ricchezze, che utilizza senza vergogna. La democrazia, non solo quella italiana, è pervertita. Dunque: problema.
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2) In secondo luogo, un sondaggio Financial Times/ Harris, realizzato tra il 27 marzo e l’8 aprile, ha dato i risultati clamorosi che sto per presentarvi.
Vedremo da questo nuovo esempio che la democrazia è minacciata.
Il 35% degli intervistati in cinque paesi europei – è una media – considerano la Cina come una minaccia alla stabilità mondiale più grave di qualsiasi altro paese! Negli Stati Uniti il 31% è dello stesso avviso e piazza la Cina molto al di sopra … dell’ Iran e della Corea del Nord, che rappresentavano, l’anno scorso, la più grande minaccia.
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Il sondaggio è stato realizzato nel pieno degli avvenimenti del Tibet, mentre la fiamma olimpica tentava di completare il suo difficile percorso.
Per il 36% dei Francesi, contro il 22% dell’anno scorso, la Cina è la principale minaccia per la stabilità mondiale; il 35% dei Tedeschi (contro il 18%) ed il 27% degli Inglesi (contro il 16%) sono , in questo mese di aprile, dello stesso avviso.
In questi tre ultimi paesi, gli Stati Uniti erano in testa, l’anno scorso, nella lista di coloro che mettono il mondo in pericolo.
Solo gli Spagnoli ritengono ancora che gli Stati Uniti costituiscano una minaccia più grande della Cina, al 41% contro il 28%.
Il grafico che riassume il sondaggio fornisce un’immagine sorprendente dell’evoluzione degli spiriti europei da un anno all’altro.
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Se la Cina è diventata, agli occhi degli Europei, solo in pochi giorni, la più grande minaccia e se gli Stati Uniti, che godevano di tale poco invidiabile reputazione l’anno scorso, l’hanno persa (buon per loro) è perché le televisioni, le radio ed i giornali d’Europa hanno inondato il pubblico europeo per diversi giorni di informazioni spesso approssimative, qualche volta false, sulla Cina e la sua repressione dell’irredentismo tibetano.
Una vera campagna di stampa che ha influenzato profondamente “l’uomo della strada” e fatto cambiare opinione ai dirigenti: i più populisti tra loro si sono subito posti in sintonia con un’opinione pubblica plasmata, è il caso di dirlo, dai media.
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Da quanto detto consegue che la democrazia è “fragile”, corre il rischio permanente d’essere traviata, sia dove è ancora balbettante sia dove già cammina saldamente su due gambe.
Questo “cattivo sistema” resta sicuramente “il meno cattivo tra tutti quelli che l’umanità ha potuto inventare…”