Venti tesi sul comunismo
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Intervento, novembre 2017 - Il “comunismo” non è stato l’avvento di una società senza classe. E’ stato soprattutto una strada verso lo sviluppo per paesi che per suo merito hanno conquistato sovranità e dignità nazionale...
Oumma, 25 ottobre 2017 (trad. ossin)
Centenario della Rivoluzione russa dell’Ottobre 1917
Venti tesi sul comunismo
Bruno Guigue
1. Marx concepiva il comunismo come lo stadio futuro – e ultimo – delle società umane. Eliminata ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la distribuzione delle risorse avrebbe obbedito al principio: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Orizzonte lontano assegnato all’azione rivoluzionaria, questo comunismo ideale non esiste in alcun luogo. E’ un’idea regolatrice, un’utopia che ha dato una bandiera alla parte più risoluta del movimento operaio dopo la seconda metà del XIX secolo.
2. Secondo l’ipotesi teorica, il proletariato avrebbe dovuto impadronirsi del potere “nei paesi capitalisti avanzati”. Giunte a un certo stadio di sviluppo, le forze produttive sarebbero entrate in contraddizione coi rapporti sociali capitalisti. Esacerbandosi, queste contraddizioni avrebbero provocato la rivoluzione proletaria. Liquidando le vestigia del vecchio mondo, questa rivoluzione avrebbe istituito il socialismo, al quale sarebbe succeduto il comunismo, una volta raggiunto lo stadio della “abbondanza”.
3. In realtà il movimento comunista ha trionfato in « paesi arretrati » e non in « paesi avanzati ». Nel 1917, la rivoluzione bolscevica portò al potere dei comunisti russi decisi a propagare l’incendio rivoluzionario. Lenin capì che la guerra imperialista scatenata nel 1914 avrebbe provocato una rivoluzione in Russia, “anello debole” della catena degli Stati capitalisti. Ma pensava anche che questa rivoluzione sarebbe stata la scintilla capace di mettere fuoco alle polveri del capitalismo « avanzato ».
4. Quando il fallimento della rivoluzione tedesca dissipò questa illusione, agli inizi degli anni 1920, la giovane repubblica dei soviet fu condannata a battersi per sopravvivere. Assediata dai corpi di spedizione di 14 paesi, presa d’assalto dagli eserciti bianchi decisi a restaurare lo zarismo, riuscì a battere tutti a prezzo di una militarizzazione del partito e del governo (1918-1922). Il regime bolscevico deve molto i suoi caratteri a questo “comunismo di guerra”, che si ispira molto meno all’ideologia che alle circostanze.
5. Appena tornata la pace, il comunismo russo fu posto di fronte a sfide gigantesche. Al momento della sua fondazione nel 1922, l’URSS era un paese affamato e devastato dalla guerra, e una sua ricostruzione forzata non poteva attendere. Per sfamare la popolazione e sviluppare il paese, occorreva mettere in piedi una economia efficace. All’esito di una lotta per il potere che vide trionfare Stalin, Mosca seppellì il sogno di una rivoluzione mondiale e optò per la costruzione del “socialismo in un solo paese”.
6. Con Lenin, il partito era ancora un partito rivoluzionario, ma con Stalin si trasformò in un partito burocratico e monolitico. Divenne l’organo dirigente della società, favorendo la promozione sociale di ampie fasce di popolazione di origine contadina, sottomettendo l’insieme del paese a un regime di terrore, che toccherà il culmine alla metà degli anni 1930. Il partito bolscevico non è mai stato tenero con gli oppositori, ma la ferocia della repressione stalinista non ha precedenti nel periodo di Lenin.
7. Multiforme, la brutalità del regime stalinista si rivolse contro una parte dei contadini durante la collettivizzazione forzata dell’agricoltura, poi contro gli oppositori o supposti tali in seno al partito, infine contro gli ufficiali dell’Armata Rossa (1936-1938). Aggiunte alle crudeltà dei “gulag”, queste purghe sanguinose hanno a lungo infangato il nome di “comunismo”. Confondendo la memoria storica, il terrore stalinista ha favorito una confusione tra comunismo e stalinismo, di cui l’ideologia dominante ha approfittato per denigrare la stessa idea di comunismo.
8. La situazione era tanto più paradossale se si pensi che il regime stalinista, contemporaneamente, stava realizzando una industrializzazione del paese senza la quale non avrebbe potuto reggere all’aggressione dell’invasione hitleriana. I carri armati T34, fabbricati dall’industria sovietica, respinsero il generale Guderian alle porte di Mosca nel dicembre 1941. Agli ordini di Stalin, l’Armata rossa infliggerà alla Wehrmacht il 90% di tutte le perdite tedesche della Seconda Guerra mondiale. Piaccia o meno, è stata l’URSS a battere il nazismo al prezzo di 25 milioni di morti e a gettare i suoi piani di dominio razziale nella pattumiera della storia.
9. Ma un altro fronte veniva aperto dal comunismo. Dopo il calcio d’inizio del 1917, l’offensiva principale del proletariato avrebbe dovuto concentrarsi a Ovest. Dissipata questa illusione con l’agonia della rivoluzione tedesca, Lenin ne modificò l’asse geografico e profetizzò la sua irruzione nei paesi del sud. Appena creata, l’Internazionale comunista invitò alla rivolta dei popoli colonizzati. Il bolscevismo diede slancio alla lotta anticoloniali e il “congresso dei popoli d’Oriente” (1919) inaugurò un processo di liberazione che fu l’avvenimento più importante del XX secolo.
10. Dopo avere trasformato il più grande paese del pianeta (la Russia), il comunismo trionfò nei paesi più popolati (la Cina). Ponendo fine a un secolo di caos, di carestia e di saccheggio coloniale, Mao Ze Dong riunificò il paese e restaurò la sovranità cinese. Per uscire dal sottosviluppo, la Cina comunista fece degli sforzi colossali. A prezzo di molte contraddizioni e anche di errori, il maoismo attrezzò il paese, lo dotò di una industria pesante e l’elevò al rango di potenza nucleare.
11. Aggiunto ai “crimini” dello stalinismo, il costo umano della rivoluzione cinese diede luogo ad una lettura antistorica del comunismo, considerato affrettatamente da taluni analisti come l’amaro frutto di un delirio di intellettuali. Riducendo la storia a un teatro d’ombre ideologico, questa lettura parziale passa sotto silenzio le contraddizioni della storia reale. Non volendolo contestualizzare, questa lettura parziale si traduce in una interpretazione del comunismo che ne occulta la realtà storica: la risposta di masse rivoluzionarie alla crisi di società arretrate.
12. In un’ottica analoga, il conto delle “vittime del comunismo” si presta ad una inflazione grottesca. Si mettono insieme, senza operare distinzioni, le vittime della guerra civile russa, della guerra civile cinese, della collettivizzazione forzata, del gulag, del “grande balzo in avanti” e della “rivoluzione culturale”, e si applica ad esse un coefficiente moltiplicatore. Negare la realtà delle violenze commesse in nome del « comunismo » sarebbe assurdo, rifiutarsi di trarne delle lezioni sarebbe idiota, ma questo insieme di cifre che lo riducono ad una impresa criminale non vanno molto meglio : impediscono ogni comprensione storica.
13. Questo travisamento occulta evidentemente il contributo dato dal capitalismo agli orrori del secolo. Tralascia una serie di fatti rilevanti: i massacri coloniali, le guerre imperialiste e l’impoverimento di intere popolazioni sono direttamente responsabili di decine di milioni di morti. I massacri perpetrati nel 1965 dalla dittatura militare indonesiana con l’aiuto della CIA, per esempio, hanno fatto altrettante vittime del terrore stalinista (1934-38). Manifestamente i due avvenimenti non vengono trattati allo stesso modo nei nostri manuali di storia.
14. I criteri di valutazione dei crimini commessi in nome del comunismo perderebbero il loro oggetto quando li si applichi, invece, ai crimini capitalisti? Perché, dalle atrocità commesse dalle democrazie occidentali, non si deduce il carattere criminogeno del liberalismo? La violenza del secolo appartiene a entrambi i campi, ma alla fine dei conti il comunismo ha prodotto molte meno vittime del capitalismo e dell’imperialismo, dei quali però in Occidente si cantano le lodi.
15. Il comunismo ha ispirato delle lotte di classe che hanno contribuito a forgiare la fisionomia delle società capitaliste sviluppate. Se i Francesi hanno un sistema di Sicurezza Sociale, lo devono ad un ministro comunista, Ambroise Croizat, che fu una figura della Resistenza prima di diventare ministro del generale de Gaulle nel 1944. I progressi sociali del mondo sviluppato non sono il frutto della generosità padronale, ma conquiste strappate con fatica, e i comunisti vi hanno giocato un ruolo importantissimo.
16. Per i comunisti, il diritto di sopravvivere dopo la nascita è il primo dei diritti dell’uomo. E’ per questo che a Cuba il tasso di mortalità infantile, che era del 79 per 1000 prima della Rivoluzione, è crollato oggi al 4,3 per 1000. Ogni anno, il comunismo cubano salva 74 bambini su 100. Non è un caso : nonostante gli effetti disastrosi del blocco imperiale, Cuba ha ottenuto il Premio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il suo sistema sanitario, e il suo sistema educativo è il più democratico dei paesi dell’America Latina.
17. Nell’Unione indiana, lo Stato federale che presenta di gran lunga il tasso di sviluppo più elevato è il Kerala. Questo Stato di 33 milioni di abitanti è governato dai comunisti e dai loro alleati fin dagli anni 1950. Le donne vi giocano un ruolo sociale e politico di primo piano, e il livello di formazione è molto superiore alla media indiana. Appare evidente che i successi dei comunisti nei rari paesi in via di sviluppo che sono stati capaci di resistere ai venti dominanti sono ricchi di insegnamenti.
18. Il comunismo del XX secolo è spesso definito « totalitario ». Espressione forse pertinente se ci si riferisca allo stalinismo durante il grande terrore (1934-38), ma che non ha alcun senso se ci si riferisca al regime sovietico dal 1917 al 1991. Quando è crollato, le prigioni erano vuote. Se l’URSS fosse stato quel mostro totalitario descritto in Occidente, come avrebbe potuto dissolversi senza colpo ferire? La dissoluzione dell’URSS si ebbe quasi senza alcun spargimento di sangue, ed è stata la stessa élite dirigente a soffiare la fine della partita.
19. In Cina il maoismo ha restaurato la sovranità nazionale e creato le condizioni per lo sviluppo delle forze produttive dal 1950 al 1975. Le riforme liberali di Deng Xiao Ping, avviate nel 1978, hanno favorito una iniezione massiccia di capitali che ha generato favolosi tassi di crescita. Ma la Cina non è improvvisamente diventata capitalista dopo essere stata comunista. Ha piuttosto realizzato una sorta di sintesi dialettica che ha fatto uscire 700 milioni di Cinesi dalla povertà in pochi anni.
20. Al termine di un secolo di esistenza, il “comunismo” appare lontano anni luce dalla sua teoria. Non ha abolito né le divisioni interne della società, né il peso del dominio statale. Ma ha scongiurato i tormenti del sottosviluppo, battuto la malnutrizione, sradicato l’analfabetismo, alzato il livello di scolarizzazione e liberato la donna dal patriarcato. E’ meglio essere nato in Cina che in India: il tasso di mortalità infantile è quattro volte inferiore. No, il “comunismo” non è stato l’avvento di una società senza classe. E’ stato soprattutto una strada verso lo sviluppo per paesi i cui ritardi offrivano la seguente alternativa: recuperali o condannarsi alla dipendenza.