L'Estetica secondo Gratteri
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Intervento, 12 dicembre 2017 - Ma perché, poi, i nostri procuratori si preoccupano del contenuto delle serie televisive? In fondo, loro compito è di perseguire i reati, non di rendere migliore il popolo. A questo, magari, devono pensarci le religioni o l’etica, nemmeno la politica, sicuramente non gli apparati di sicurezza...
Il Corriere del Mezzogiorno (Editoriale), 12 dicembre 2017
L'Estetica secondo Gratteri
Nicola Quatrano
È oramai stranoto che il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha parlato di Gomorra. «La cinematografia e la televisione fanno arte», ha detto, e bisogna «preoccuparsi degli effetti. Il senso dei film e dei libri è anche quello di educare», dunque occorre inserirvi «il messaggio che (i mafiosi) non sono invincibili e forti». Altrettanto conosciuto anche il pensiero del neo Procuratore antimafia, Federico Cafiero de Raho, che ha lamentato come nelle fiction si evidenzi il lato «umano» dei personaggi, invece di ridurli a pura e semplice violenza. In termini diversi, e più pertinenti, il procuratore aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli, ha avuto solo da ridire sul fatto che la serie tv indulga sugli aspetti eminentemente «folkloristici» della camorra.
Immaginiamo che alcuni procuratori si preoccupino del pericolo che gli sceneggiati possano creare un clima di simpatia nei confronti dei mafiosi. Raccontandone la storia, in qualche modo conferiscono loro vita e contesto, liberandoli per così dire dalla piatta inumanità delle lombrosiane foto segnaletiche mostrate nelle conferenze stampa che seguono agli arresti. Ma — e non se ne abbia Cafiero de Raho — i «mafiosi» sono davvero degli esseri umani, ed è normale che raccontare la complessità della vita di qualunque uomo, perfino del peggiore, possa suscitare qualche motivo di simpatia. È questa la realtà e, d’altronde, non c’è motivo di dolersene. L’alternativa sarebbe quella di vietare certi argomenti, ma così si darebbe ragione all’attore Marco D’Amore, che già lamenta il diffondersi di un clima di «censura».
La verità — e questa volta non se ne dolga Sandro Ruotolo — è che il «cattivo» è spesso più affascinante del «buono», specialmente nella produzione artistica. Basti pensare ai traditori e ai magnaccia tanto amati (non solo esteticamente) da Jean Genet, sui quali pure probabilmente i nostri procuratori avrebbero da ridire, se solo il «Santo, commediante e martire» (parole di Jean Paul Sartre) non fosse del tutto indifferente alle loro requisitorie, oramai chiuso per sempre nella sua nuda tomba sulla spiaggia di Larache, di fronte all’oceano.
Più impegnativa è la pretesa di fissare finalità all’espressione artistica. Una questione filosofica irrisolta, che il procuratore Gratteri ha abbordato in termini non propriamente problematici. Giungendo perfino ad affermare che tale finalità debba essere anche «educativa», e qui c’è poco da risolvere: è una concezione assai vicina a quella dei totalitarismi. Così Mussolini, che pure non giunse mai a teorizzare un’arte di Stato, nel 1924 in Campidoglio, affermò: «Tutti gli istituti d’arte, dai teatri al museo, dalla galleria all’accademia, debbono essere considerati come scuole...». Goebbels, dal canto suo, esplicitamente sosteneva la necessità di un carattere nazionale e popolare dell’arte, esaltandone la funzione politica. In una lettera a Wilhelm Furtwängler, scriveva: «Compito dell’arte e degli artisti non è soltanto di unire, ma …di modellare, plasmare, eliminare il marcio e spianare la via al sano…».
Ma perché, poi, i nostri procuratori si preoccupano del contenuto delle serie televisive? In fondo, loro compito è di perseguire i reati, non di rendere migliore il popolo. A questo, magari, devono pensarci le religioni o l’etica, nemmeno la politica, sicuramente non gli apparati di sicurezza. Forse, però, questo bisogno di tenere sempre «alta la guardia» nella «lotta alle mafie», discende da un bilancio non troppo esaltante di oltre venti anni di forte pressione poliziesca. Venti anni, durante i quali si sono certo disarticolate le famiglie mafiose, ma assai poco si è riusciti a incidere sul fenomeno. Che difatti oggi si ripresenta, e in forme ancora più violente.
Più che puntare il dito sugli effetti negativi delle fiction sui «ceti marginali», un simile bilancio dovrebbe semmai indurre all’autocritica. A prendere atto dei limiti della pura repressione, dell’inadeguatezza della retorica dell’antimafia militante, del fatto, caro Sandro Ruotolo, che la contrapposizione manichea tra Bene e Male non produce sviluppo. E invece proprio di sviluppo c’è bisogno, più che di moralismo. Di una Politica «vera» capace di intervenire sulle cause sociali ed economiche dell’illegalità diffusa, in forme di inclusione e non di mera stigmatizzazione, offrendo alternative a quei giovani cui solo la camorra garantisce oggi un lavoro.
Prendersela con Gomorra, dunque, non solo è improprio, ma serve anche a poco. Rischia perfino di produrre lo stesso effetto che ebbe l’apertura, il 19 luglio 1937, della Mostra nazista sull’arte degenerata («Entartete Kunst») che esponeva, per denigrarle, opere di correnti artistiche (dall’espressionismo al dadaismo, passando per il cubismo), giudicate non conformi ai dettami estetici del regime. La mostra ebbe un enorme successo di pubblico, e contribuì non poco a fare apprezzare e diffondere l’arte «degenerata».