Se gli intellettuali diventano untori
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Intervento, 2 gennaio 2018 - La polemica ricorda quella contro il “culturame” di Mario Scelba, tra una carica e l’altra della sua “Celere”, e anche le parole di Pasolini (eh sì, un altro intellettuale!) a proposito dell’odio della borghesia italiana per la cultura (nella foto, Pier Paolo Pasolini)
Corriere del Mezzogiorno (Editoriale), 2 gennaio 2018
Se gli intellettuali diventano untori
Nicola Quatrano
Il nuovo anno non si apre all’insegna di grandi novità, a partire dal restyling del PD. Paolo Gentiloni, nella conferenza stampa di fine anno, l’ha ri-battezzato “Forza tranquilla di Governo”, e Renzi ha confermato in un suo post di Facebook. A me personalmente, ricorda l’antica pubblicità di una nota marca di the che garantiva “la forza dei nervi distesi”. Trattandosi di un eccitante, era palesemente ingnnevole.
Niente di troppo originale neppure nel nuovo brand lanciato dal nostro sindaco in un post del 24 dicembre. Una specie di Inno all’amore declinato però, poco amorevolmente, sul “contro” (“Contro odio, violenza e indifferenza”) piuttosto che sul “per” . E’ un programma ripreso, quasi letteralmente, dal Berlusconi modello 2009, che definiva il suo come il partito dell’amore, “capace di vincere l'invidia e l'odio”. Ma anch’esso per nulla originale, perché il vero e autentico Partito dell’Amore (PdA) risale agli anni 1990 e fu costruito intorno alle due pornostar Ilona Staller e Moana Pozzi, ottenendo anche qualche successo elettorale.
Non nuove sono pure le invettive lanciate dalla moglie del sindaco, e dai suoi 197 estimatori (ad oggi), contro gli “intellettuali” restii all’applauso. Un classico si potrebbe dire: tacciare di disonestà (speriamo solo intellettuale) chi non è d’accordo. Da consigliare a dittatori e affini (che già lo fanno, e anche peggio). La polemica ricorda quella contro il “culturame” di Mario Scelba, tra una carica e l’altra della sua “Celere”, e anche le parole di Pasolini (eh sì, un altro intellettuale!) a proposito dell’odio della borghesia italiana per la cultura. Un odio, diceva, che si esprime gridando ogni momento al “tradimento dei chierici”, e che addita eternamente al linciaggio i rappresentanti del “culturame” come fossero “untori”, come fossero loro i veri responsabili dei problemi che denunciano.
Serie e importanti sono state invece le critiche (chissà se giudicate “profonde e oneste”) rivolte da padre Alex Zanotelli ai professori che bocciano troppo. Durante la manifestazione di solidarietà col diciassettenne accoltellato nei giorni scorsi, il prete comboniano distribuiva un manifestino che diceva: «Plesso Caracciolo, rione Sanità: 65 bocciati su 87 alunni». E ancora: «Non è concepibile che l’unico istituto scolastico superiore del rione Sanità l’anno scorso ha bocciato il 74 per cento dei propri studenti». Si tratta – ci informano i giornali – dell’istituto di via Santa Maria Antesaecula: 57 ammessi su 140 iscritti. Spicca nel quadro il caso della 1°M (un solo ammesso su 16) e quello della 1° G (26 non ammessi su 35).
In tempi in cui il dibattito su “stese” e rabbia giovanile riempie le pagine dei giornali con assurde polemiche sui cattivi maestri televisivi ed altre amenità, Alex Zanotelli mette invece, pertinentemente, il dito in una delle piaghe dolenti della situazione. Perché non pare esservi dubbio che i giovani protagonisti degli atti di violenza siano in gran parte quelli che la scuola boccia. Colpa dei ragazzi? Beh, ci metteranno del loro, non è certo facile essere insegnante di frontiera a Napoli. Ma una cosa è certa: una scuola che boccia con le percentuali denunciate da Zanotelli è una scuola fallita.
L’anno appena finito ha celebrato – sembrerebbe inutilmente – il cinquantenario della “Lettera a una professoressa”, di Don Lorenzo Milani e dei suoi alunni di Barbiana. Un testo che è un atto d’accusa contro una scuola di classe che, escludendo gli allievi meno performanti, perpetua una discriminazione prima di tutto familiare e sociale. Un testo che chiede agli insegnanti di insegnare, più che di giudicare, prendendosi cura dei meno dotati più che dei bravi (i bravi hanno la famiglia che ci pensa), e chiede loro di non buttare nessuno fuori dalla scuola. Anche per evitare di spingerli verso altre strade, magari quelle “familiari” della violenza e della delinquenza, con tanta rabbia in più per essere stati rifiutati.
Beneaugurante mi pare dunque cominciare il nuovo anno con una breve citazione di quest’opera. “Lo so anch'io che il Gianni non si sa esprimere. Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l'avete buttato fuori di scuola l'anno prima. Bella cura la vostra. Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio:- Non si dice lalla, si dice aradio. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua. L'ha detto la Costituzione pensando a lui “.