Galla Placidia, i migranti e la fine dell’Impero
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Analisi, 26 maggio 2019 - Un saggio breve e un po' datato di Ugo Bardi su Galla Placidia e la fine dell'Impero Romano di Occidente ci dice molto sulla chimica dell'Impero, le migrazioni e sul destino (nella foto, un medaglione del V° secolo, forse l'unica immagine che abbiamo di Galla Placidia)
Cassandra Legacy, 22 dicembre 2011 (trad.ossin)
Chimica di un Impero: l’ultima imperatrice romana
Galla Placidia, i migranti e la fine dell’Impero
Ugo Bardi
Questo medaglione del V° secolo mostra quello che è forse l’unico ritratto in nostro possesso di Galla Placidia (388-450 c.e.), l’ultima (e unica) imperatrice romana occidentale. L’iscrizione recita «Domina Nostra, Galla Placidia, Pia, Felix, Augusta», vale a dire «Nostra Signora, Galla Placidia, Pia, Benedetta e Venerabile». Contemporanea di personaggi come Sant’Agostino, San Patrizio, l’Unno Attila e – forse – re Artù, Placidia ebbe la rara possibilità di poter fare qualche cosa che gli imperatori romani non hanno mai potuto fare: accompagnare l’Impero alla sua tappa successiva che doveva essere, inevitabilmente, la sua fine.
Mentre preparavo questo saggio sull’imperatrice Galla Placidia, mi sono ritrovato a fare una lezione estemporanea sul tema ai miei studenti di chimica, durante l’ultima lezione prima di Natale. Ho pensato in seguito che avrei potuto scrivere il saggio sulla base di quel canovaccio. Dunque eccolo. E’ molto più dettagliato di quanto non abbia fatto con i miei studenti, ma ne conserva comunque la struttura. Vi ho aggiunto dei titoli e alcuni illustrazioni.
Introduzione: chimica di un Impero
Penso che non terrò una lezione di chimica oggi. Tra poco è Natale e molti sono assenti, è meglio quindi evitare una lunga e noiosa lezione; la faremo dopo le feste. Quindi, potremmo solo andare a prenderci un caffè, ma potremmo anche usare questo tempo in modo diverso. Sapete, c’è un argomento al quale lavoro nel mio tempo libero: è la Storia romana. Dunque pensavo che, invece di farvi una lezione di chimica, potrei parlarvi di questo mio altro lavoro. Vi piacerebbe ascoltare la storia di una principessa romana che ha sposato un re barbaro e che è diventata poi imperatrice di Roma?
Mi pare di cogliere la risposta sui vostri volti – sì – vi piacerebbe sentire questa storia! Ma badate che si tratta forse di qualcosa che non è lontana dalla chimica quanto potreste pensare. Sappiate che le civiltà possono essere viste come delle enormi reazioni chimiche e voi sapete che le reazioni chimiche tendono a divampare e poi a placarsi; è ciò che chiamiamo la «cinetica chimica», l’ avete studiato. E’ la stessa cosa per gli Imperi; hanno una tendenza a divampare e poi a scomparire; è quanto è accaduto all’Impero romano, come sapete. Dunque le civiltà e le reazioni chimiche possono essere analizzate in modo simile; è un campo della scienza che si chiama «dinamica dei sistemi». In un certo senso, vi sono delle forze che spingono le persone a fare qualcosa, proprio come quelle forze che spingono le molecole a reagire. In chimica noi chiamiamo queste forze «potenziali chimici», per le vicende umane dicono che possiamo usare termini come «destino» o «karma» o qualcosa del genere. Ma forse non vi è grande differenza.
Ma non preoccupatevi delle equazioni. Ho detto che oggi vi avrei raccontato una storia, e adesso lo faccio. E’ la storia di Galla Placidia, principessa romana, poi regina dei Goti e, alla fine, imperatrice romana. E’ una grande storia di amore, sesso e guerra. Cominciamo!
La caduta di Roma
Ora vi chiedo di chiudere gli occhi e dimenticare per un istante il luogo dove vi trovate. Dimenticate di trovarvi in un’aula, dimenticate di essere studenti di chimica, dimenticate di vivere nel 21° secolo. Cercate di immaginare qualcosa che esisteva molto tempo fa: la Roma antica nei primi anni del V° secolo della nostra era, millecinquecento anni fa.
Sì, Roma, la città eterna, il centro del mondo, la culla della civiltà, il luogo dove portano tutte le strade. All’inizio del V° secolo, Roma è ancora la città più grande d’Europa, capitale dell’Impero romano di Occidente. Pensate alla città come si estendeva sui suoi sette colli; circondata da mura massicce costruite da Aureliano, piena di palazzi di marmo, di mercati, di anfiteatri, di giardini, di fontane. Il Senato romano tiene ancora le sue sessioni nella Curia e i gladiatori ancora si battono nelle arene, come accade da secoli.
Ma in questo V° secolo le cose sono molto cambiate per l’Impero. Non ci sono più i vittoriosi eserciti di un tempo; lo stesso Imperatore non vive più a Roma. Soggiorna nella piccola città di Ravenna, protetta dalle paludi che la circondano. E, nel 410 dopo Cristo, Roma viene cinta d’assedio.
Immaginate questa cosa: oltre le mura di Roma c’è un’intera nazione: uomini, donne, bambini, cavalli e bestiame. Decine di migliaia di persone che hanno marciato dal Nord: i Visigoti, guidati dal loro re Alarico, e adesso assediano Roma. Mentre l’imperatore Onorio si nasconde a Ravenna, l’unica barriera che impedisce ai barbari di entrare in città è la cinta della antiche mura aureliane. Ma non può durare in eterno. Senza un esercito a difendere le mura, non poteva esservi che un solo epilogo. Ad agosto del 410, i Barbari irrompono e saccheggiano Roma. Questa data resterà impressa nella Storia: la città più potente del mondo, la città «eterna» è caduta. Lo shock provocato dall’evento si è ripercosso per secoli. Ha ispirato, tra l’altro, «La Città di Dio» di Sant’Agostino, libro molto conosciuto ancora oggi.
Come è potuto succedere che la città più grande del mondo, la città eterna, sia stata presa e saccheggiata da una banda di barbari? Questo è stato solo il punto finale di un declino che durava da secoli. Voi sapete che l’apogeo dell’Impero romano può collocarsi nel II secolo avanti Cristo. Poi, tutto è progressivamente decaduto: guerre civili, invasioni barbariche, epidemie, carestia, e via di seguito. Non è un processo senza contraddizioni, ovviamente. Ci sono stati periodi difficilissimi e altri in cui sembrava che l’Impero potesse riprendersi. Nel complesso l’Impero di occidente è riuscito a restare unito fino alla fine del IV° secolo. Ma, con il V° le cose cambiano e, stavolta, l’Impero non si riprenderà mai veramente.
Edward Gibbon ci offre un resoconto particolarmente toccante di questi avvenimenti nel suo “Declino e Caduta dell’Impero romano”. Nell’anno 405 (forse), l’inverno in Europa è stato molto freddo – tanto freddo che le acque del fiume Reno si sono congelate. Questo fiume era stata la frontiera orientale dell’Impero per secoli. Da quando i Romani erano stati battuti dai Germani a Teutoburg, molto prima. Ma quando le acque si sono gelate, un gran numero di Barbari sono passati sull’altra riva. Era la fine delle fortificazioni di confine; i Romani non potevano semplicemente più difenderle. Le mura sono state abbandonate e lasciate ridursi in polvere per sempre. Era una svolta epocale; a partire da questo momento, i Barbari erano all’interno dell’Impero e vi sarebbero restati.
Nel grande tumulto di quegli anni, un gran numero di Barbari marciò direttamente verso Roma. Nel 406 d. C., furono affrontati ai piedi degli Appennini, nella città di Faesulae, da quello che Gibbon chiama «l’ultimo esercito della Repubblica». I Romani vi avevano concentrato tutte le forze che riuscirono a mobilitare e fermarono i Barbari. Presi in trappola in una stretta vallata, i Barbari furono quasi tutti uccisi o fatti prigionieri e venduti come schiavi. Il loro re, Radagaiso, venne fatto prigioniero e decapitato. Nelle vallate dove si è svolta la battaglia ne è rimasta la leggenda fino a oggi.
Fu una grande vittoria per Roma e soprattutto per il generale che comandava l’esercito romano: Flavius Stilicone, magister militum, comandante in capo di tutte le forze imperiali. Ma c’era un problema: i generali di successo non sono mai apprezzati dagli imperatori diffidenti. Peraltro Stilicone era lui stesso un barbaro, un vandalo per la precisione, e questo non contribuiva a renderlo popolare tra i Romani. Poco dopo la battaglia, l’imperatore Onorio fece giustiziare Stilicone con l’accusa di tradimento. Fu un grosso errore; si potrebbe dire che Onorio si sia colpito il piede con la sua stessa balestra. A quei tempi, l’esercito romano era composto unicamente da Barbari e, col loro capo Stilicone tradito e ucciso, la maggior parte di loro disertò. L’esercito si sciolse e molti di quelli che avevano disertato si unirono all’esercito del re Alarico. Adesso capite come Roma sia stata lasciata senza difese e abbia finito per cadere nelle mani dei Barbari.
Galla Placidia: principessa romana
Quella che vi ho raccontato, è la storia della caduta di Roma come possiamo leggerla nei testi dei cronisti. Di fatto, resta ben poco di quegli avvenimenti in termini di fonti contemporanee; la maggior parte di quelle che abbiamo sono state scritte decenni, se non secoli, dopo i fatti. Occorre dunque raccogliere tutte le fonti di cui disponiamo per cercare di comprendere che cosa è successo esattamente. E c’è un rivolto umano degli avvenimenti che va al di là del fatto che Roma era in declino e che alla fine è caduta. Possiamo appena immaginare l’atmosfera che regnava a Roma durante i due anni di assedio, quel che la gente pensava e come hanno vissuto un avvenimento che doveva sembrare loro inimmaginabile, se non impossibile in ogni senso. Roma non era stata sottoposta ad assedio da mille anni, era la più grande città del mondo conosciuto. Che cadesse nelle mani di un piccolo signore barbaro, era… semplicemente impossibile!
Il problema è che quando la gente si trova a dover fare i conti con qualcosa che non corrisponde a quello che pensa che il mondo dovrebbe essere, tende a ignorarlo. Se questo non è possibile, si può anche impazzire. E i Romani sono impazziti. Hanno tentato tutto quello che passava loro per la testa. Si sono dati un nuovo imperatore, un certo Priscus Attalus, con tutta la pompa che le circostanze consentivano. Ma il re barbaro non si è lasciato impressionare. Poi gli hanno inviato una delegazione di senatori, che hanno detto al re quanto erano numerosi i Romani. A ciò Alarico rispose, solennemente immagino, «Più il fieno è spesso, più è facile da falciare». Adesso dimmi se questa non è roba di cui sono fatte le leggende!
A quel punto i Romani sono veramente diventati matti. Sì, sono impazziti, veramente impazziti, poco importa come lo si dica. Hanno cominciato a cercare un colpevole, un capro espiatorio, qualcuno sul quale far ricadere le colpe. Vi ricordate che l’imperatore Onorio aveva accusato il suo generale Flavius Stilicone di tradimento, cioè di intelligenza coi Barbari. Era già un effetto della paranoia scatenata. Ma, nella Roma assediata, la paranoia è giunta al suo culmine. Qualcuno ha ricordato che la vedova di Stilicone, Serena, era a Roma. Se suo marito era un traditore, lei doveva essere una traditrice. Serena era la cugina dell’imperatore Onorio, una donna nobile di alto rango. Ma quando è la paranoia a dettare legge, produce il male puro, Serena venne accusata di tradimento, condannata a morte dal Senato e giustiziata per strangolamento.
E’ a questo punto che abbiamo la prima apparizione di Galla Placidia in questa storia di adulti, aveva circa vent’anni all’epoca. Il cronista Zosimus ci dice che l’esecuzione di Serena è stata fatta col «consenso di Galla Placidia».
C’è una piccola storia da raccontare. Torniamo a qualche anno prima, quando il padre di Placidia, Teodosio 1°, «il Grande» fu l’ultimo imperatore romano a regnare sulle parti orientali e occidentali dell’Impero. Ebbe due figli maschi, Arcadio e Onorio, ai quali lasciò l’Impero. Arcadio prese l’Est e Onorio l’Ovest. Ma Teodosio aveva anche una figlia più piccola, Galla Placidia, cui non lasciò niente. Allora come oggi, essere donna non è un atout quando si tratta di ereditare un Impero. Ma Teodosio aveva forse capito che i suoi due figli maschi non sarebbero stati dei buoni imperatori (come poi si è dimostrato) e mantenne Placidia in riserva, in qualche modo, e la cosa si è poi rivelata una decisione intelligente. Teodosio affidò Placidia alle cure del suo migliore generale, Flavius Stilicone, che la allevò a casa sua, insieme a sua moglie Serena che era anche la nipote di Teodosio.
Quindi, durante l’assedio, Placidia era a Roma, probabilmente a casa della madre adottiva, Serena. Ora, noi possiamo appena immaginare una situazione nella quale il Senato decide di condannare a morte la cugina dell’Imperatore, come era Serena. Ma Placidia era di rango ancora più elevato in termini di nobiltà. Aveva il titolo di «puella nobilissima». Sapete abbastanza di latino per sapere che vuol dire «la ragazza più nobile», che è ovviamente l’equivalente di quel che chiamiamo oggi «principessa». Quindi, in un certo senso, i senatori erano un po’ nervosi all’idea di ammazzare Serena e hanno chiesto al più alto dignitario di Roma, Placidia, di prendersi la responsabilità di quel che era, di fatto, un omicidio legalizzato. E le chiesero di accettare l’uccisione di qualcuno che le era madre adottiva e contemporaneamente anche un parente prossimo.
Non possiamo certamente sapere che cosa abbia pensato Placidia all’epoca, Non possiamo nemmeno essere certi che abbia approvato alcunché. Conosciamo questa storia solo dal racconto di Zosimus, un Greco che l’ha scritta più di un secolo dopo. Ma, se così fosse, sarebbe stata la prima decisione politica presa da Placidia nella sua vita; qualcosa che potrebbe darci un’idea del suo modo di pensare. Potrebbe anche solo avere ceduto allo stress del momento. Ma ha forse invece pensato che sarebbe stato inutile opporsi alla volontà del Senato. Avevano già deciso di uccidere Serena, che cosa avrebbe potuto fermarli se fossero diventati ancora più pazzi e deciso di uccidere anche Placidia? Dopo tutto, era la figlia adottiva di Stilicone; avrebbe potuto essere una traditrice anche lei. Forse Placidia non ha nemmeno tentato di ingaggiare una battaglia che avrebbe perso comunque. Era il suo stile, non contrastare l’inevitabile. Vedremo che riaffiorerà più di una volta in seguito. Le placide possono essere molto flessibili, adattarsi e prosperare anche in situazioni molto difficili.
Con l’esecuzione di Serena, si può immaginare che i Romani si aspettassero che i Visigoti sparissero in una nuvola di fumo. Ma non è ovviamente accaduto. Nel 410 d.C., i Visigoti irruppero in Roma, la saccheggiarono, e non solo questo: presero un’importantissima prigioniera: la stessa Galla Placidia; puella nobilissima, sorellastra dell’imperatore regnante. I cronisti non ci dicono affatto che Placidia sia stata strappata al suo palazzo, che sia stata trascinata urlando – di fatto sono assolutamente silenziosi sul punto. Probabilmente questo vuol dire qualche cosa. Non dobbiamo pensare che Placidia fosse felice di andare coi Barbari ma, ancora una volta, non ha tentato di evitare l’inevitabile. Non possiamo nemmeno escludere che si sia sentita più sicura coi Barbari, piuttosto che con i senatori traditori romani. Almeno, per quanto sappiamo, i Visigoti hanno trattato Galla Placidia con tutti gli onori dovuti ad una puella nobilissima, una principessa romana.
I Visigoti rimasero a Roma solo tre giorni. Quanto al saccheggio, il loro fu piuttosto mite. Bruciarono e saccheggiarono qualche edificio ma, soprattutto, presero tutto l’oro e l’argento che riuscirono a trovare, poi partirono verso il sud, con l’idea di raggiungere l’Africa e istallarsi lì. Portarono Galla Placidia con loro. Lentamente giunsero all’estremità della penisola italiana, ma non riuscirono ad attraversare il Mediterraneo verso l’Africa, perché una tempesta distrusse le navi che avevano preparato. Poi il re Alarico morì e la leggenda racconta che venne sepolto sotto il letto del fiume Busento, con la parte che gli spettava dell’oro saccheggiato a Roma. Un'altra storia che è diventata leggenda. C’è chi, ancora oggi, cerca quell’oro!
A quel punto, bloccati nel sud dell’Italia e senza rifornimenti, i Visigoti non ebbero altra scelta che ritornare lentamente sui loro passi. Erano guidati dal nuovo re Ataulfo, fratellastro di Alarico. Il viaggio verso il sud li aveva molto indeboliti e, quando tornarono nuovamente vicino a Roma, non poterono nemmeno immaginare di saccheggiare di nuovo la città. Hanno continuato il cammino fino a giungere nel sud della Francia, all’epoca abbandonata dall’Impero romano. E, durante il viaggio, Placidia sposò Ataulfo, forse in Italia o forse a Narbonne, in Francia. Si era nel 414, quattro anni dopo la caduta di Roma. Placidia aveva circa 25 anni all’epoca.
Il Matrimonio Reale
Siamo quindi giunti al matrimonio reale. Penso possiate immaginarvi Galla Placidia e Ataulfo prossimi a sposarsi, e in effetti deve essere stato qualcosa di speciale. Venne celebrato in pompa magna, abbiamo anche una descrizione dei regali magnifici che sono stati donati a Placidia, provenienti dal bottino di Roma. Il discorso di matrimonio venne pronunciato da un senatore romano, Priscus Attalus, che tempo prima aveva rivendicato il titolo di imperatore. Attalus ha anche cantato una canzone durante la cerimonia; non è cosa da poco: pensate a un Imperatore che canta al vostro matrimonio!
Galla Placida, la principessa romana prese allora con gioia il titolo di «Regina dei Goti». Dico «con gioia» perché poi non ha mai rinnegato questo titolo nel corso della vita, qualsiasi cosa le sia accaduto – e vedremo che le sono accadute molte cose. Ma perché tutto ciò? Voglio dire, aveva già il titolo di principessa romana, aveva buone probabilità di sposare un imperatore e diventare lei stessa imperatrice. Perché volle diventare regina di una nazione barbara? Tanto più che Ataulfo era il fratello di Alarico, il re che aveva messo a sacco Roma. Pensate alla figlia di un presidente statunitense che sposa il fratello di Osama bin Laden, e potrete farvi un’idea del tipo di decisione presa da Galla Placidia.
Certo, 1500 anni dopo, non possiamo sapere che cosa abbia pensato Galla Placidia e non possiamo nemmeno escludere che la sua decisione abbia avuto delle ragioni romantiche. Questo solleva la questione se Ataulfo fosse un bell’uomo, ma non abbiamo alcun ritratto di lui. Non sappiamo nemmeno che età avesse al momento del matrimonio. Sappiamo che era già stato sposato, che aveva avuto quattro figli dalla sua prima moglie, ma non sappiamo niente su che cosa gli fosse successo. Possiamo quindi solo dire che era probabilmente più vecchio di Placidia, ma è più o meno tutto quello che sappiamo. Sappiamo molto di più su Placida, ma non abbiamo un ritratto che possiamo attribuirle. Se però vogliamo capire questa storia, dobbiamo immaginarci il volto dei personaggi. Sono certo che avete immaginato Placidia e Ataulfo – siamo fatti così, non possiamo evitarlo.
Allora a chi potevano assomigliare Ataulfo e Placidia? A proposito di Ataulfo, il fatto che fosse un re barbaro non significa che bisogna immaginarlo come Arnold Schwarzenegger nel film «Conan il barbaro». Assolutamente no! Ataulfo certamente non camminava vestito di una pelle d’orso e un casco con le corna sulla testa. La cosa migliore da fare per immaginarlo è pensare al ritratto contemporaneo di un barbaro di alto rango che abbiamo: Flavius Stilicone, il generale vandalo che era stato padre adottivo di Placidia. Disponiamo di un dittico in avorio di lui e di sua moglie, Serena, e del loro figlio Eucherio. In questa immagine, Stilicone viene mostrato come grande e bello; un po’ solenne mentre indossa abiti romani. Ataulfo avrebbe potuto assomigliargli: grande, bello e con la barba.
E Placidia ? Come ho detto non abbiamo ritratti di lei. Potremmo tentare di farcene un’idea col ritratto di Serena, sua cugina. Ci viene mostrata grande quasi quanto suo marito, Stilicone, e come una dama bella e imponente – doveva avere una quarantina d’anni quando venne fatto il ritratto. Porta una pesante collana forse di perle. Sapete che c’è una leggenda secondo cui Serena sarebbe stata maledetta quando prese una collana dalla statua della dea Rea Silvia – è forse proprio questa collana. In effetti tutta la famiglia di Stilicone sembra essere stata maledetta; lui e sua moglie sono entrambi morti di morte violenta, e anche loro figlio Eucherio. Ma questa è un’altra storia; diciamo che il ritratto di Serena ci dice almeno come Placidia si vestiva nelle occasioni formali; un vestito elaborato che si chiamava una «Palla».
Ma si sa qualcosa sul viso di Placidia. La si vede in qualche moneta coniata durante il suo regno successivo quale imperatrice. Il problema è che questi ritratti non si ritengono realistici. E’ lo stesso problema che abbiamo con Cleopatra, la regina di Egitto. Tendiamo a considerare Cleopatra come una donna bellissima, ma non disponiamo di ritratti che possiamo attribuire con certezza a lei. Allora, guardando il suo volto sulle monete, beh sembra francamente brutta. Ma naturalmente questi ritratti sulle monete erano solo icone; non dovevano dare un’immagine realista del volto della Regina. Possiamo quindi continuare a immaginare Cleopatra col volto di Elizabeth Taylor, che l’ha interpretata in un vecchio film hollywoodiano.
Ebbene, per quanto riguarda Placidia, c’è lo stesso problema che abbiamo per Cleopatra. Se Placidia assomigliasse a quello che si vede in certe monete, ebbene, uh …. dovremmo avere pietà del povero Ataulfo che ha dovuto sposarla. Ma diverse monete mostrano volti diversi; possiamo quindi essere certi che nella maggior parte dei casi chi ha fatto il ritratto non ha mai visto il volto dell’imperatrice.
Alla fine dei conti. Quel che più si avvicina a un ritratto di Placidia, è un medaglione d’oro; uno di coppia, l’altro rappresenta il fratellastro Onorio. Penso si possa dire che questi ci danno almeno un’idea di Placidia. Vediamo che aveva dei bei tratti e un collo sottile sotto l’elaborata acconciatura. Abbiamo dunque buone ragioni di pensare che fosse una bella donna; dopo tutto sua madre Galla, era considerata la «più bella donna dell’Impero romano». Comunque, se vi piace immaginarla come Audrey Hepburn nel ruolo di principessa nel vecchio film «Roman Holiday», dieri, perché no?
Torniamo allora al matrimonio imperiale. Ci sono due belle persone che si sposano: Ataulfo e Placidia, ma ovviamente non è solo questo. Quel che possiamo dire è che la gente fa le cose per molte ragioni: talvolta per logica, altre per impulso. Ma non dimenticate che la vita vera non è una favola. Voi sapete che l’amore è una reazione chimica e che le reazioni chimiche possono prodursi da se stesse se vi è un potenziale chimico che le provoca. E, come abbiamo già detto, questo potenziale è qualcosa che potremmo chiamare «destino» se ci piace. E penso che in questo caso vi era un potenziale molto forte che spingeva Ataulfo e Placidia a reagire tra loro, a sposarsi.
Re Artù e Placidia
Adesso vorrei rivolgervi una domanda. Potete pensare a un altro personaggio che tentava di fare qualcosa di simile a quello che faceva Placidia in quella stessa epoca, vale a dire un Romano che sposa un barbaro? Ci vuole un piccolo salto di immaginazione per collegare Galla Placidia a questo personaggio. Pensateci un momento e il nome vi verrà in mente. Un nome che conoscete molto, molto, molto bene: è Re Artù!
Sì, il re Artù, l’eroe leggendario. Non si può dire con certezza che sia veramente esistito. Almeno gli storici dicono che non c’è alcuna prova che sia mai esistito. Ma ciò non vuol dire che non sia esistito e, se lo è, c’è una buona probabilità che sia stato contemporaneo di Galla Placidia, nel V° secolo. All’epoca la Gran Bretagna non faceva più parte dell’Impero romano ed è probabile che Placidia non abbia mai sentito il nome di un piccolo re barbaro – Artù – che regnava su una parte di un’isola del nord. Artù, da parte sua, non sapeva certamente molto di quanto accadeva nel lontano Impero romano. Ma, curiosamente, Artù e Placidia – contemporanei o meno – hanno forse percorso sentieri simili nella loro vita.
Voi sapete che il nucleo del ciclo arturiano è l’amore del re Artù e della regina Ginevra. Si ritiene spesso che Artù fosse romano e Ginevra britannica (in realtà gallese). Avete anche visto forse il film «King Arthur», quello uscito nel 2004. Finisce con la scena del matrimonio tra Artù e Ginevra. E’ una scena straordinariamente bella e sintetizza tutto il tema del film. Non si tratta solo del matrimonio di un uomo e di una donna, ma di due civiltà. Il loro matrimonio determina la fusione delle culture romana e britannica. Questo accadeva in Gran Bretagna prima che nel resto dell’Europa in quanto, lì, l’Impero romano aveva cessato di esistere già nel IV secolo della nostra era.
Vi parlo di questo film solo per dimostrare come sia ancora possibile «sentire» molte cose a proposito di un’età tanto lontana come il V° secolo. Il ciclo arturiano impregna ancor oggi la nostra cultura anche se – come ho già detto – non possiamo essere certi che un re di nome Artù sia mai esistito. Ma il V° secolo è stato un grande ispiratore di leggende. Pensate ai Nibelungenlied, la saga dei Nibelunghi. Voi conoscete questa storia, conoscete i nomi dei personaggi: Sigfrido, Hagen, Crimilde. Siamo sempre nello stesso periodo del V° secolo d.C. e riflette gli eventi di quell’epoca, ivi compresa la presenza di personaggi storici come l’Unno Attila, che pure era un contemporaneo di Galla Placidia.
E’ curioso che, tra tutti questi personaggi, quello sul quale disponiamo di maggiori dati storici, Galla Placidia, sia quello che non ha generato poemi epici. Mi dispiace un po’ per Placidia, ma è così. Penso che sia così perché la civiltà è un ostacolo alla creatività. Il padre adottivo di Placidia, Stilicone, era abbastanza ricco da permettersi un poeta di casa, Claudiano, che era un «panegirista», qualcuno il cui lavoro consisteva nel cantare le opere del suo padrone. Ed è esattamente quello che ha fatto Claudiano; ha scritto poemi che esaltavano Stilicone e gli altri membri della famiglia, ma quasi nessuno si ricorda oggi di questi poemi. Studiando la storia di Placidia, ho seriamente tentato di leggere i poemi di Claudiano. L’ho trovato raffinato, intelligente, colto e incredibilmente banale. E quando dico «banale», intendo davvero sciocco. Sapete, considero Claudiano come qualcosa simile alla nostra pubblicità televisiva: è intelligente e spesso visivamente sbalorditiva ma, alla fine dei conti, si tratta semplicemente di mangiare degli hamburger. A titolo di cronaca, Claudiano menziona Placidia una volta, bambina, vestita d’oro, durante l’incoronazione imperiale dei suoi fratellastri. Uno squarcio su quel tempo così lontano, che anche un piccolo dettaglio deve essere apprezzato il più possibile.
Regina dei Goti
Sposando Ataulfo, Placidia ha forse solo ceduto all’inevitabile, perché era il suo stile personale. Ma assecondando il suo destino, Placidia potrebbe avere avuto un piano specifico; avrà certamente saputo cogliere un’occasione quando le è capitata. Era una principessa romana e avrebbe potuto diventare imperatrice. Non sarebbe accaduto finché il suo fratellastro Onorio era ancora in vita, ma Onorio non aveva figli. Placidia doveva avere qualcosa in mente quando ha chiamato suo figlio «Teodosio», con lo stesso nome di suo nonno, Teodosio «Il Grande». Sembra chiaro che l’idea di Placidia non era altro che quella di prendere il trono del fratellastro Onorio e avviare una dinastia gotico-romana che avrebbe guidato l’Impero. Un piano audace, se mai vi è stato.
Ma c’era molto di più nei piani di Placidia del semplice fatto di governare un Impero. Badate, il V° secolo assomiglia alla nostra epoca per molte ragioni, comprese le grandi migrazioni. Era un’epoca in cui la gente si metteva incessantemente in marcia alla ricerca di un luogo dove istallarsi, e ciò ha portato con sé molte opposizioni, battaglie e guerre. Per i Romani, quelli che entravano nel loro impero erano degli invasori o, in certi casi, degli immigrati; era quel che il termine «barbaro» significava: semplicemente «straniero». Che fossero legali o illegali, gli immigrati venivano guardati con sospetto – proprio come oggi, noi guardiamo i nostri immigrati allo stesso modo. All’epoca, come oggi, c’erano persone che volevano semplicemente rimandare gli immigrati a casa loro o semplicemente sbarazzarsene in un modo o nell’altro. Ma questo non era facile e, come si è visto, gli immigrati sono diventati tanto numerosi e potenti da riuscire a saccheggiare Roma. Dunque i Romani avrebbero dovuto imparare a convivere coi loro immigrati barbari: ma all’epoca di Placidia molti Romani non riuscivano semplicemente rassegnarsi all’idea di doverlo fare. Come ho detto, vi sono somiglianze notevoli con la nostra epoca!
In un certo senso, quel che accadeva era una grande reazione chimica: i due «reagenti», barbari e romani, sono entrati in contatto in quel fatale inverno del 405, quando le fortificazioni di frontiera dell’Impero avevano ceduto. Poi i reagenti si sono mescolati insieme e la reazione è andata avanti. Non poteva essere più fermata e l’idea di Placidia era di assecondarla. Ancora una volta fedele al suo stile: non opporsi all’inevitabile, lasciar fare. Nel caso specifico, l’inevitabile era anticipare qualcosa che avrebbe naturalmente richiesto diversi secoli: la fusione dei popoli romano e tedesco in Europa. Placidia si faceva lei stessa carico di questa fusione, sposando un barbaro e dandogli un figlio. Secondo i cronisti, fu lei a convincere Ataulfo. Ataulfo avrebbe detto che la sua prima idea era di distruggere Roma e i Romani ma, dopo avere conosciuto Placidia, ha accettato di vivere in pace con loro. E’ forse solo una mia supposizione, ma ci dà un’idea di quello che è passato per la mente dei protagonisti di questa storia.
Bisognerebbe a questo punto dire che Ataulfo e Placidia sono vissuti felici per sempre e che loro figlio, Teodosio, è diventato imperatore dei Romani e, nello stesso tempo, re dei Goti. Ma le cose non sono andate così, ovviamente. Era un bel sogno, ma anche un sogno impossibile.
La situazione militare stava cambiando. I Romani riuscirono a ricostruire un esercito al comando di un nuovo comandante in capo: Constanzo. Sembra sia stato un generale competente. Non ha mai ingaggiato battaglie ma è quasi sempre riuscito a ottenere quello che voleva. I Visigoti hanno cominciato a subire la pressione e sono stati costretti ad abbandonare il sud della Francia e a spostarsi in Spagna. La loro ritirata deve essere stata molto affrettata tanto che dovettero abbandonare Attalo, l’usurpatore che aveva cantato al matrimonio di Placidia. Egli venne fatto prigioniero da Costanzo che lo mandò a Ravenna dove subì l’umiliazione deI taglio di una mano, prima di essere mandato in esilio.
In Spagna i Visigoti si istallarono a Barcellona che, all’epoca, era un bastione fortificato. Lì andò tutto male. Il piccolo Teodosio morì prima di compiere un anno. Poi Ataulfo venne ucciso da congiurati. Forse a causa della perdita di prestigio subita durante la ritirata dal sud della Francia. Certo vi erano dei Visigoti molto più aggressivi di Ataulfo nei modi in cui pensavano di dover trattare coi Romani; è possibile che vi fosse qualcosa come un «partito della guerra». Il nuovo re era uno di loro. Si chiamava Sigerico e, per darvi un’idea di quello che aveva in testa, permettetemi di dirvi che costrinse Placidia a camminare per chilometri a piedi, mentre lui la seguiva a cavallo. Per fortuna, come ho detto, lei era forte e in buona salute.
Ma Sigerico regnò per una sola settimana; penso che i Goti avessero paura di quanto egli aveva intenzione di fare – e a buona ragione. Come ho detto, i Romani erano adesso molto più forti di quanto non lo fossero al momento dell’assedio di Roma. Quindi qualcuno provvide a levare di mezzo Sigerico e gli successe un nuovo re più diplomatico, qualcuno chiamato Wallia. Questi avviò negoziati con Costanzo e, alla fine, mandò Placidia a Ravenna scambiandola con derrate alimentari e un trattato di pace. Fu la fine del periodo di Placidia coi Goti. Per tutta la sua vita, ella conservò il titolo di «Regina dei Goti», ma non ritornò mai più con loro.
Galla Placidia : l’Imperatrice
La storia di Galla Placidia sembra essere stata concepita fin dall’inizio come la trama di un film di avventura. E’ piena di eventi e sale e scende come su un ottovolante. Abbiamo visto che Placidia ha cominciato come principessa, poi è stata fatta prigioniera dai Goti, poi è diventata loro Regina, poi è ritornata ad essere loro prigioniera. Une serie di oscillazioni durate per un certo tempo.
Col ritorno di Placidia a Ravenna, le cose sono cambiate ancora. Sembra che Costanzo avesse qualche progetto per lei; infatti è stato forse uno dei suoi primi pretendenti. Comunque sia, i due si sono sposati poco dopo il loro arrivo a Ravenna. Noi non possiamo dire se Placidia ne sia stata felice ma, come sempre, non si è opposta all’inevitabile e ha colto l’opportunità che le si presentava. La coppia ebbe due figli e, più tardi, Costanzo, quale membro della famiglia imperiale, riuscì a farsi elevare al rango di «co-imperatore» dell’Impero occidentale. Fu allora che Placidia ottenne il titolo di «Augusta». Non era esattamente lo stesso titolo di «Imperatore» che significa «comandante» e ha a che fare col comando degli eserciti. Ma, a tutti i fini pratici, era l’imperatrice di Roma. Vedete? Una grande oscillazione verso l’alto delle montagne russe.
Ora ci sarebbe molto da dire sulla vita di Placidia quale imperatrice e sulle montagne russe che avrebbero ancora dato luogo a qualche alto e qualche basso. Ma lasciatemi raccontare rapidamente la storia giacché, come avete forse talvolta sentito dire, «l’arte di annoiare consiste nel raccontare tutto». Dunque Costanzo morì poco dopo essere stato elevato alla Porpora Imperiale e la situazione a Ravenna si trasformò in bagarre con Onorio e Placidia, Imperatore e Imperatrice, che cominciarono a comportarsi come i personaggi dei vecchi film western; come quando dicono «questa città non è abbastanza grande per tutti e due».
Vi sono molti dettagli curiosi sulla lotta di Onorio contro Placidia. Il primo è che Placidia venne accusata di incesto col suo fratellastro; era forse una fake news contro di lei, ma chissà, forse utilizzava tutti i mezzi a sua disposizione per tentare di controllarlo. E’ un curioso aspetto della personalità di Placidia, se solo si pensi che era una cattolica fervente e che è stata sempre considerata una moglie esemplare e una vedova casta. Era vero o falso? Non lo sapremo mai. Poi la questione delle guardie del corpo gotiche di Placidia. Erano la sua scorta da quando era regina dei Goti (cosa che era ancora – non volle mai rinunciare a questo titolo!). Quindi la lotta è diventata dura per le strade di Ravenna e, nonostante il coraggio delle guardie del corpo di Placidia, il fratellastro Onorio ebbe la meglio.
E qui c’è un’altra oscillazione verso il basso delle montagne russe. Placidia, espulsa da Ravenna, non poteva rifugiarsi che a Costantinopoli, la capitale dell’Impero d’Oriente, dove suo nipote era diventato imperatore col nome di Teodosio II. Placidia è giunta al suo cospetto con non molto di più degli abiti che portava. Ma le montagne russe risalirono di nuovo: mentre Placidia era a Ravenna, Onorio morì e un usurpatore prese il suo posto. Teodosio II pensò che la sua dinastia non poteva perdere l’Impero di Occidente; concesse quindi a Placidia un intero esercito per tornare in Italia e conquistare Ravenna. Era dura per l’usurpatore; il poverino non aveva alcuna chance. Venne battuto, fatto prigioniero, gli tagliarono una mano, poi fu fatto sfilare in groppa a un asino e alla fine venne decapitato. Non sappiamo se sia stata Placidia a ordinare tutto questo, ma i tempi erano duri e, se uno voleva diventare imperatore (o imperatrice), doveva assumersi i rischi necessari. Nessuno ha mai detto che Placidia fosse una gentildonna, in ogni caso.
Quindi, nel 425 d.C., Placidia tornò a Ravenna ed assunse da sola il titolo di Augusta, per quanto, in teoria, a nome del figlio Valentiniano. Fu la fine delle sue montagne russe – non ci furono più su e giù da allora. Avrebbe governato come imperatrice per 12 anni e ha poi esercitato una grande influenza a corte come madre dell’imperatore per altri 13 anni; fino alla sua morte, nel 450 d.C., a 62 anni.
Governare un impero
Facciamo adesso un piccolo gioco, un gioco che penso abbiamo tutti giocato qualche volta. Se foste il sovrano assoluto del mondo, l’Imperatore della Terra, che cosa fareste per risolvere i problemi del mondo? Sono certo che ognuno di voi ha molte idee che potrebbe mettere in pratica; che so… come eliminare la fame, ridurre l’inquinamento, fermare il riscaldamento climatico, dare a tutti la felicità, cose del genere. Ovviamente per noi è solo un sogno, ma c’è stata gente nel passato che ha avuto veramente molto potere nelle sue mani. Non sul mondo intero, ovviamente, nessuno lo ha mai governato. Ma c’era gente che regnava su parti importanti del mondo e il loro potere era assoluto e non sottoposto ad alcuna regola. Gli Imperatori romani dell’ultimo periodo dell’Impero erano di questo tipo. Erano chiamati porfirogeneti, «nati nella porpora», erano dei sovrani semidei. Sappiate che se eravate imperatori a quell’epoca non potevate girare la testa a destra e a sinistra mentre camminavate; i vostri sudditi non potevano parlarvi se non quando vi rivolgevate per primi a loro, dovevate portare vestiti pesanti sempre, e Dio sa che altro il protocollo imperiale vi imponeva. C’è un dettaglio curioso a proposito di Costanzo, il secondo marito di Placidia, che disse che diventare imperatore era stata per lui un’esperienza terribile: troppo protocollo! Era il prezzo del potere assoluto.
Dire «potere assoluto» è in realtà un’esagerazione. Galla Placidia, come tutti gli imperatori prima e dopo di lei, incontrava dei limiti. Uno dei quali era che non poteva essere lei il comandante degli eserciti. Doveva fare affidamento sui generali e questo era un problema grosso: come sempre nella storia, i generali vittoriosi tendono a prendersi tutto il potere e, naturalmente, i generali che perdono sono del tutto inutili. Quindi nel corso della sua carriera di imperatrice il problema principale di Placidia fu di controllare i suoi generali, mantenendoli in un certo equilibrio uno contro l’altro. Uno di questi generali si chiamava Ezio, forse avete sentito il suo nome. Era un personaggio sacro, era un Romano, ma era cresciuto con gli Unni, che erano quindi suoi alleati e si battevano per lui al bisogno (non che non avesse bisogno di pagarli però). Ma Ezio era anche il generale che impedì all’Unno Attila di invadere l’Europa durante la celebre battaglia dei Campi Catalaunici, nel 452 d.C. . Dunque Ezio e Placidia spesso non andavano d’accordo, ma nell’insieme riuscivano a intendersi. Dopo la morte di Placidia, suo figlio Valentiniano uccise Ezio, ripetendo l’errore commesso prima da Onorio con Stilicone. Ancora una volta ammazzando il suo migliore generale, Valentiniano ha quasi distrutto l’impero. Ma questa è un’altra storia.
Dunque la storia di Placidia imperatrice richiederebbe un intero libro ma, come ho detto, il segreto dell’annoiare sta nel raccontare tutto, quindi diciamo solo che Placidia è riuscita a mantenere l’Impero più o meno insieme finché è stata imperatrice. Uno dei suoi successi fu di assicurare l’approvvigionamento di Roma in cerali provenienti dall’Africa. Era una sfida, giacché l’Africa del Nord era stata conquistata dai Vandali; sì ma hanno continuato a spedire cereali a Roma finché Placidia è stata imperatrice. Dopo la morte di Placidia, smisero di inviare grano e non solo questo; presero Roma e la saccheggiarono nel 455 d.C. Penso che Placidia abbia fatto la differenza finché era a Ravenna; ella regnava davvero sull’Impero; non era solo una bambola con indosso abiti costosi.
Ma, dal nostro punto di vista, noi sappiamo che l’Impero di Occidente era condannato e sarebbe sparito qualche decennio dopo Placidia. La domanda che possiamo porci è se lei avesse capito che l’Impero sarebbe caduto. Se sì, che cosa abbia fatto per evitarlo. Immaginate di essere al suo posto: che cosa avreste fatto voi per salvare l’Impero?
Cerchiamo quindi di capire che tipo di problemi esattamente avesse l’Impero romano di Occidente all’epoca di Placidia. Abbiamo già detto che gli Imperi sono come delle reazioni chimiche e che le reazioni chimiche si placano quando si esauriscono i reagenti. Nel V° secolo, l’Impero romano era a corto di reagenti. Si era sviluppato grazie ai benefici delle campagne militari ma, nel III secolo, aveva toccato il suo limite. Senza ulteriori possibili facili conquiste in prospettiva, l’Impero ha dovuto vivere grazie alle sue risorse e non ha mai imparato a farlo davvero. L’impero, semplicemente, non poteva tassare i suoi sudditi tanto da ricavarne le risorse necessarie a sostenere le truppe che lo difendevano. L’Impero ha continuato a spendere più di quanto poteva permettersi per la sua difesa. E’ tipico di tutti gli imperi della storia; gli imperi si distruggono da soli, spedendo troppo per il loro apparato militare.
Gestire una grande struttura è difficile e tendiamo a farlo male; un intero impero può essere un caso particolarmente difficile. Per farlo bene, bisognerebbe utilizzare un metodo che ho già menzionato; la dinamica dei sistemi, che è un modo di descrivere i sistemi e la relazione tra i diversi elementi che li compongono. Ma è raro che la gente sia capace di comprendere i sistemi in questo modo. Quel che accade invece è che, nella maggior parte dei casi, noi riusciamo a individuare i punti critici («leve») che provocano i problemi, ma tendiamo ad agire su di essi nel modo sbagliato. E’ qualcosa che abbiamo capito in questa nostra epoca con Donella Meadows (come Placidia, una donna forte, ma non un’imperatrice) che ci ha molto insegnato sulla dinamica del sistema. E’ una tendenza molto generale: operiamo quasi sempre sulle leve nella direzione sbagliata così aggravando i problemi che cerchiamo di risolvere. E’ anche troppo chiaro nel caso dell’Impero romano, almeno dal nostro punto di vista. Nella fase del declino, gli imperatori romani hanno lottato per proteggere l’Impero dalle invasioni barbariche e hanno capito che non avevano abbastanza risorse per questo compito. Ma la loro risposta è sempre stata quella sbagliata: hanno continuato a tentare di raccogliere quante più truppe potevano. Era un’idea autolesionista: ogni volta che i Romani affrontavano i Barbari, potevano vincere o perdere, ma ogni battaglia rendeva l’Impero un po’ più povero e un po’ più debole. L’impero usava risorse che non potevano essere rimpiazzate; risorse non rinnovabili come si direbbe oggi.
Allora non c’era soluzione ai problemi dell’Impero romano? Ebbene una c’era, se ragionate in termini di dinamica del sistema. Si trattava di muovere le leve nella direzione giusta. Mettendo insieme nuove truppe e combattendo battaglie, gli imperatori romani muovevano le leve in direzione sbagliata, Avrebbero dovuto invertire la direzione; la soluzione non erano più truppe, ma meno truppe. Non ci voleva più burocrazia imperiale, ma meno, non maggiore pressione fiscale, ma meno. In fin dei conti la soluzione era là e semplice: era il Medio Evo.
Il Medio evo significava liberarsi della soffocante burocrazia imperiale, trasformare le costose legioni in milizie locali, decentralizzare il sistema fiscale, insomma trasformare l’impero centralistico in una costellazione di piccoli Stati. Senza le enormi spese della corte imperiale e della burocrazia imperiale, questi piccoli Stati avrebbero avuto una possibilità di ricostruire la propria economia e avviare una nuova fase di prosperità, come è peraltro accaduto nel Medio Evo. Era il destino dell’Impero, era inevitabile e avrebbe ben potuto favorire questa strada. Naturalmente, quando l’Impero era ancora forte e potente, nessun imperatore avrebbe avuto il potere di sciogliere le legioni, né la burocrazia imperiale. Ma questo è appunto accaduto nel V° secolo e quello che un imperatore (o un’imperatrice) avrebbe potuto fare era di dare agli eventi un colpetto nella direzione giusta. Non vi opponete al cambiamento, ma governatelo. E’ il modo di spingere le leve nella buona direzione. Placidia avrebbe potuto fare questo? Incredibilmente forse lo ha fatto.
Quel che Placidia avrebbe potuto fare come imperatrice era, principalmente, fare delle leggi. L’Impero disponeva ancora di una burocrazia efficiente e gli editti di Ravenna non erano quindi ignorati, almeno nelle regioni che l’Impero era ancora in grado di controllare. Essendo quindi la legislazione il terreno di gioco di Placidia, ella ha promulgato un certo numero di leggi, alcune delle quali ancora presenti nel codice Teodosiano, una raccolta di leggi compilata per il nipote di Placidia, l’Imperatore d’Oriente, Teodosio II. Il Codice Teodosiano è una massa incredibile di dati; contiene circa 2500 leggi. Val la pena di gettarvi un’occhiata perché è pieno di indizi e scorci su quella che era la vita nell’Impero romano all’epoca. Ma è impossibile approfondirlo senza essere uno specialista della materia – è semplicemente troppo. Io ho quindi appreso dell’esistenza delle leggi di Placidia principalmente grazie a Stewart Oost, che ha scritto la sua biografia nel 1966.
Ora, come ho detto, si tratta di una questione complessa e, assai spesso, non si capisce chi ci sia dietro una certa legge. Ma sembra esservi una certa logica in quel che faceva la corte imperiale di Ravenna. Una logica che assomiglia un po’ alla politica di Mikhaïl Gorbachev per l’Unione sovietica – chiamiamolo l’«Impero sovietico». Gorbachev rifiutava costantemente l’uso della forza per mantenere insieme un impero che si disintegrava – per quanto avrebbe potuto farlo. La corte di Ravenna, sembra, ha adottato lo stesso approccio nel corso della prima metà del V° secolo. L’Impero romano aveva ancora un esercito, avrebbe potuto tentare di distruggere le nazioni barbare che si erano istallate all’interno delle frontiere dell’Impero. Ma questo avrebbe solo significato sperperare le poche risorse di cui l’Impero ancora disponeva. E non avrebbe fatto altro che accelerare il crollo.
Sembra che Placidia agisse secondo il suo stile; adattarsi all’inevitabile, non opporvisi. Non che conoscesse la dinamica del sistema, ma dopo tutto la dinamica del sistema è semplicemente formalizzare il buon senso e sembra che Placidia ne avesse molto. Quindi possiamo constatare una tendenza costante a ridurre il potere della corte imperiale. Lo si vede in certi dettagli, come quando restituì al Senato, a Roma, il dono in oro che era costume per i senatori di offrire all’Imperatore ogni anno. Ma fece ben più di questo. Placidia proibì ai «coloni», i contadini legati alla terra, di arruolarsi nell’esercito. Questa misura privò l’esercito di una delle sue fonti di mano d’opera e possiamo immaginare che questo l’abbia grandemente indebolito. Un’altra legge promulgata da Placidia permetteva ai grandi proprietari terrieri di tassare essi stessi i loro suddditi. Ciò privò la corte imperiale della principale fonte di entrare, Tutto ciò significava una sola cosa: il Medio Evo.
Se l’obiettivo di Placidia era davvero di traghettare l’Impero verso il Medio Evo, si può dire che ci sia riuscita. Dopo di lei, l’Impero si sciolse. Suo figlio Valentiniano riuscì a farsi ammazzare qualche anno dopo la morte di sua madre. Poi Roma venne saccheggiata dai Vandali e questo fu un colpo mortale. Per qualche anno vi fu ancora qualche individuo, a Ravenna, che ha rivendicato il titolo di imperatore di Occidente, ma non ci ricordiamo i loro nomi, come probabilmente anche i contemporanei. Ricordiamo solo il nome dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo, che venne deposto nel 476, e questo solo perché fu l’ultimo. Dopo, fu ufficialmente il Medio Evo – la destinazione verso la quale l’Impero di occidente si dirigeva comunque.
Questa non è che una interpretazione possibile di quel che Placidia ha fatto e io sono il primo ad ammettere che si tratta di pura speculazione. Quelle leggi potrebbero essere state adottate semplicemente perché la corte imperiale vi fu costretta e non aveva altra scelta. E, naturalmente, non sapremo mai che cosa è passato per la mente di Placidia. Ci ha lasciato solo qualche lettera, miracolosamente sopravvissuta negli archivi del Vaticano, ma niente che possa esserci utile per penetrare nei suoi pensieri intimi. Si può solo dire che restare coi Goti, anche solo per qualche anno, le ha aperto sufficientemente lo spirito perché potesse avere una visione che nessun Imperatore, prima e dopo di lei, avrebbe potuto avere. Spingete l’impero verso il suo destino, realizzando il suo potenziale chimico, se volete. In un certo modo, Placidia è stata il catalizzatore che lo ha reso possibile.
L’eredità di Galla Placidia
Adesso vi chiederò un altro piccolo sforzo di immaginazione. Chiudete gli occhi per un istante e immaginate qualcosa che è accaduto molto molto tempo fa, 15 secoli prima della nostra era. Immaginate una giovane principessa. Immaginate che abbia vissuto tutta la vita in bei palazzi; che abbia portato splendidi abiti e ornamenti di valore, che fosse abituata a passeggiare in giardini chiusi, ricchi di statue e di fontane; sempre protetta, sempre isolata come accade a molte principesse. E poi immaginatela in una situazione completamente differente; si trova da qualche parte nelle montagne; attorno a lei la colonna lenta e sinuosa dei carri si è fermata. La nazione dei Goti si è fermata per la notte. E’ una notte fredda di inizio inverno e le donne hanno acceso dei fuochi di campo mentre i guerrieri sono seduti attorno, cantando le loro canzoni. Questi grandi guerrieri sono cristiani, ma sono Ariani, mentre la principessa è cattolica e questo fa una grande differenza. Ma c’è di più. E’ probabile che in uno di quei carri vi siano ancora le statue in legno dei loro dei pagani: forse Hertha la dea della terra, e forse altri dei del fuoco e del tuono. Forse le preghiere recitate per queste divinità antiche possono essere intese come dei mormorii lontani nella notte. Placidia ascolta queste canzoni lontane e poi guarda le stelle come non le ha mai viste. Sono le stesse stelle che possiamo vedere ancora oggi; debolmente perché noi abbiamo sporcato il nostro cielo con le nostre emissioni. Ma Placidia vede queste stelle, in un cielo limpido che noi non possiamo nemmeno immaginare oggi; il cielo di un mondo che si riduceva a quasi niente, le città spopolate, le strade abbandonate, le terre agricole abbandonate che si ritrasformavano in foresta. Proprio in quegli anni, Rutilius Namatianus ci ha dato un’immagine indimenticabile delle luci di Roma di notte, le luci che ha visto per l’ultima volta quando abbandonò la città per rifugiarsi in Galilea. Ma, intorno a Placidia, non vi erano luci umane, salvo i fuochi accesi dai Visigoti, e così poteva vedere quel cielo fantastico.
Ovviamente è solo una storia, ma vi parlo delle stelle per una ragione. Ho detto che Placidia non ci ha lasciato quasi nessuno scritto. Niente almeno dal quale capire che cosa pensava. Ma ci ha lasciato un messaggio che è forse ancora più chiaro di un giornale scritto. E’ il mausoleo che porta il suo nome a Ravenna, ed è là che c’è un trionfo di stelle nei mosaici del soffitto. Grandi stelle brillanti e fantastiche che ricordano un po’ quelle che Vincent van Gogh ha dipinto nel suo celebre quadro.
Sapete? Queste stelle del mausoleo di Placidia mi ricordano sempre «Natale», nel senso in cui lo celebriamo oggi. Non, ovviamente, le vacanze commerciali che è diventato oggi, ma l’atmosfera del «presepe» che ancora perdura in Europa del sud e in America Latina. Certo, nel mausoleo, non troverete il bambino Gesù e nemmeno la Vergine Maria. Queste figure diventeranno moneta corrente molto dopo. All’epoca di Galla Placidia, il cristianesimo era diverso da oggi. Ma non c’è dubbio che Placidia era una cristiana convinta; era credente ed ha sempre considerato il cristianesimo come una parte importante della sua vita. Il mausoleo è una parte di lei.
Nessuno può ovviamente sostenere che le stelle del mausoleo di Ravenna siano un ricordo dei viaggi di Placidia coi Visigoti, ma penso che possiamo prenderci questa piccola licenza e considerarle tali. E’ un modo di farsi un’idea della questione di cui discutiamo. Ne abbiamo bisogno. Vedete, potrei dirvi qualcosa che Marguerite Yourcenar ha scritto nelle Memorie di Adriano. Dice di avere avuto una tremenda sensazione di affinità con l’imperatore scomparso quando ha potuto avere tra le sue mani un gioiello che probabilmente Adriano aveva tenuto una volta in mano. Noi non abbiamo un gioiello di Placidia, ma abbiamo questa costruzione, il suo mausoleo.
Infatti quello di Ravenna non è un «mausoleo» nel senso di qualcosa costruita sulla sua tomba. E’ ragionevolmente sicuro che Placidia non vi sia stata mai sepolta; è probabilmente morta a Roma e la sua tomba si è persa da tempo. Non siamo nemmeno certi che abbia avuto un qualche ruolo nella sua progettazione; è solo una tradizione successiva. Tuttavia, se la tradizione esiste, ci sarà un motivo, e penso che sia così. Io penso che sia stata lei a ispirare questa costruzione. Molti dettagli sono per me assai chiari. Quindi se camminate all’interno del mausoleo, camminate in un luogo dove anche Galla Placidia ha camminato. E non è tutto: Io dico che il mausoleo è un messaggio che ci ha lasciato. Un messaggio che viene da tempi lontani.
Ormai, Placidia è quasi una creatura dell’universo mitico degli dei e degli eroi, proprio come Cassandra e Elena di Troia. Però non è stata ancora dimenticata. La sua voce è debole ma, se l’ascoltiamo attentamente, possiamo intenderla. E potete ancora intenderla se andrete a visitare quel piccolo edificio di Ravenna, il suo ultimo messaggio per noi. E’ semplice e senza pretese all’esterno, ma è un trionfo di colori all’interno. E’ già un messaggio in sé che viene da un’epoca in cui tutto quello che era bello doveva essere nascosto per salvarlo dalla distruzione. Ma stava lì e poteva essere apprezzato da coloro che ne avevano la chiave. Ma non è tutto. Questo edificio è come una donna che può mostravi spontaneamente qualcosa di intimo, ma solo se ve lo meritate. Tutto quello che c’è ha un senso; nelle figure e nelle immagini: è la sua storia, la storia di Placidia – quell’edificio ve la racconterà solo se ve lo meritate.
Vi ho detto che l’arte dell’annoiare consiste nel raccontare troppo e dunque non vi descrivo le decorazioni dell’edificio e come ogni dettaglio si accordi tanto bene con la storia di Placidia. Ve lo lascio immaginare e, se un giorno avrete l’occasione di visitare questo mausoleo, fatelo in silenzio e ascoltate. E’ una voce debole, debolissima, ma poterete intenderla se prestate attenzione. Dopo tutto, un poeta latino che è vissuto dei secoli prima di Placidia, Terenzio, diceva che «niente che sia umano ci è estraneo». Placidia era una dei nostri.
In 62 anni di vita, Placidia fu principessa, regina e imperatrice. Ruoli che ha svolto abbastanza bene e, negli anni in cui lo ha governato, l’Impero di occidente è stato relativamente sicuro e i Romani ebbero le derrate alimentari di cui avevano bisogno. Aveva certamente dei difetti, Non è riuscita a salvare la sua madre adottiva dalla morte quando, forse, ha avuto l’occasione di farlo. Era spietata coi nemici e il suo modo di essere cristiana ha forse rasentato il settarismo. Ma ha svolto il suo ruolo quanto meglio avrebbe potuto in quei tempi difficili ed ha forse giocato un ruolo fondamentale nella chiusura di un’epoca nella quale il concetto stesso di «Impero romano» era diventato anacronistico. Un giudizio di un cronista successivo, Cassiodoro, può sintetizzare al meglio il suo regno, «troppa pace», anche se era una critica. In fin dei conti, era un essere umano come noi tutti e ha seguito il suo destino, il suo potenziale chimico, se volete.
E se il destino di Placidia era di essere imperatrice, il vostro, ragazzi e ragazze, è quello di studiare la chimica. Allora il mio destino – il mio potenziale chimico se volete – è di insegnarvi la chimica. E’ quello che farò la prossima volta che ci vedremo in questa classe. Adesso grazie di avermi ascoltato e possiamo andare a prendere quel caffè!