Procure e nomine: è l'ora del coming out
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Intervento, 28 giugno 2019 - . Chissà che un primo passo in questa direzione non possa essere il coming out degli attuali dirigenti degli uffici giudiziari, che rivelasse se e quali cene, incontri o contatti, abbiano preceduto la loro nomina...
Il Fatto quotidiano, 27 giugno 2019
Procure e nomine: è l'ora del coming out
Nicola Quatrano
Non tutti sanno quanto le procedure per la nomina dei dirigenti degli Uffici giudiziari possano essere complesse. Non basta per esempio che l’aspirante presenti la prescritta domanda, deve pure telefonare a uno o più componenti del CSM per perorarne l’accoglimento. O, almeno, è questa la scusa accampata da generazioni di consiglieri per giustificarsi coi trombati: “E che ti devo dire… Non hai telefonato a nessuno, pensavamo che non ci tenessi”.
E, se per i posti direttivi ordinari è questione di una telefonata, le cose si complicano ulteriormente per la copertura di quelli più importanti, specialmente le Procure, dove abbiamo scoperto che entrano in ballo anche cene notturne, incontri riservati, mediatori che garantiscono l’affidabilità del candidato, e così via fino ai dossier, alle indagini mirate, alle intercettazioni e ai trojan… Insomma una vitaccia !
Questo per dire che il “quadro sconcertante e inaccettabile” denunciato dal presidente Mattarella ha radici profonde, e che non è tutta colpa del ruolo nefasto esercitato dalle correnti, o delle interferenze «politiche» che inquinerebbero la scelta dei dirigenti. Quello che oggi ci propongono i giornaloni – e i magistrati non azzittiti dall’imbarazzo - è uno scenario francamente di comodo. Le correnti da tempo non esistono più, più o meno come la politica e i partiti politici, sono semplici etichette dietro le quali si celano i vari «signori della guerra». Sono loro a dettare legge, a tessere alleanze trasversali e a ordire guerre trasversali. Gettare la croce sul Palamara di turno è un’operazione di costruzione del capro espiatorio, mirante ad occultare le vere ragioni di una deriva, che usa certi valori forti come paravento “nobile” di pratiche che non lo sono affatto.
Prendiamo il caso della separazione delle carriere. E’ l’incubo della corporazione e, per scongiuralo, si fa uso (e abuso) dei valori forti dell’ ”autonomia” e dell’ “indipendenza”, che dovunque nel mondo tutelano la funzione del giudice, e non anche del PM. Poco male, se non fosse che la cosa provoca gravi danni, perché l’Italia è grosso modo l’unica democrazia occidentale in cui un organo intriso di “politicità” come la Procura non ha, né direttamente né indirettamente, responsabilità politica. Dunque è possibile avviare indagini che si rivelano poi insensate, che provocano magari danni irreversibili all’economia e alle persone, senza che nessun Procuratore debba mai renderne conto a nessuno.
Si noti poi che le cene e tutte la manfrine venute fuori in questi giorni riguardano quasi esclusivamente le nomine delle Procure. La cosa è in qualche modo “naturale”, dato il loro carattere “politico”. E sarà sempre così, qualsiasi riforma venga fatta. L’importante sarebbe che queste tensioni non si riverberino anche sull’organo che dovrebbe garantire l’autonomia e l’indipendenza del Giudice – questo sì un valore sacro della democrazia e della separazione dei poteri – e che oggi è, invece, quello stesso CSM che nomina i PM.
Ma, a parte questo, la cosa che davvero non va nella magistratura è quella sua cultura autoreferenziale che tende a identificare sempre di più la giurisdizione e la stessa Giustizia come una «cosa loro», da gestire secondo logiche opache e senza alcun obbligo di renderne conto ai cittadini e alle altre istituzioni. Un eccesso di «chiusura», piuttosto che di nefaste influenze esterne. Lo si vede anche nei processi: le decisioni che i giudici assumono sono per lo più incomprensibili, rispondendo a logiche burocratiche che spesso hanno poco a che fare con il fatto reale sul quale dovrebbero pronunciarsi.
Quello che non va, secondo me, è l’incapacità della magistratura di essere davvero «giusta», nel senso comune del termine, prodiga com’è di lezioni morali nei confronti di tutti gli altri (nei provvedimenti, nelle conferenze stampa, nelle dichiarazioni pubbliche), ma singolarmente priva di senso morale per ciò che concerne la sua propria attività e le sue carriere.
C’è dunque bisogno di riforme radicali, certamente, ma è indispensabile anche una rivoluzione culturale, occorre anche un salto di qualità nell’idea che i magistrati hanno di sé e del loro ruolo. Chissà che un primo passo in questa direzione non possa essere il coming out degli attuali dirigenti degli uffici giudiziari, che rivelasse se e quali cene, incontri o contatti, abbiano preceduto la loro nomina. Un’iniziativa di certo irrituale, ma forte, un segno di discontinuità con il passato.
Il rischio che sennò si corre è che una fredda e lucida analisi costi/benefici dimostri alla fine che l’autonomia e l’indipendenza di una magistratura così chiusa e gelosa delle sue prerogative, attenta agli equilibri interni ma sostanzialmente ingiusta nelle sue decisioni, rappresenta un danno, e non una garanzia, per i cittadini.