Perché regalare i nostri dati a Microsoft?
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Intervento, 21 aprile 2020 - Difendere la democrazia comporta la sottrazione di queste informazioni alle imprese commerciali che oggi le detengono. Ed è urgente cominciare subito, magari affidando la gestione delle comunicazioni in tempo di lockdown a piattaforme poste sotto il controllo pubblico...
Corriere del Mezzogiorno, 21 aprile 2020
Perché regalare i nostri dati a Microsoft?
Nicola Quatrano
Quando già lo scandalo di Cambridge Analytica aveva messo nei guai (si fa per dire) Facebook, alla fine di quello stesso 2018 un’inchiesta del New York Times rivelava un’altra storiaccia digitale che riguardava ancora l'azienda di Mark Zuckerberg e la sua resistibile ascesa. Da una serie di interviste ad ex dipendenti di Facebook, veniva fuori un accordo segreto tra quest’ultima società e altri colossi del mondo tech (tra cui Spotify, Netflix, Microsoft, Amazon e altri) per la gestione illecita dei dati personali degli utenti. Secondo l'inchiesta, Facebook ha permesso per anni al motore di ricerca Bing di Microsoft di acquisire nominativi, praticamente di tutti gli amici degli utenti di Facebook. Ha poi dato a Netflix e Spotify la possibilità di leggere i messaggi privati su Messenger. E ad Amazon, infine, di ottenere i nomi degli utenti e le informazioni di contatto attraverso i loro amici. E tutto questo senza che ci fosse alcun consenso da parte degli interessati, e in barba alle dichiarazioni solenni di Mark Zuckerberg al Senato USA, secondo cui gli utenti hanno il «controllo completo» su tutto ciò che condividono in Facebook.
Particolarmente opportuno sembra quindi il grido di allarme, lanciato su queste colonne da Sergio D’Angelo e Michele Mezza, ripreso poi dal Presidente del Consiglio comunale, Sandro Fucito, e assolutamente condivisibile è la forte richiesta della restituzione ad una gestione “pubblica” di tutti i nostri dati sensibili. Tanto più in una situazione nella quale, da quasi due mesi, Consigli elettivi, Scuole e Tribunali si affidano a piattaforme digitali gestite da quegli stessi giganti hi-tech, che hanno sempre dimostrato un avido interesse per i nostri dati personali.
Stupisce che le Autorità giudiziarie abbiano deciso di affidare la celebrazione delle udienze di convalida, e dei processi “in remoto”, a Microsoft Teams, senza porsi il problema della tutela dei dati. Capisco che i giudici si sono probabilmente entusiasmati del fatto di potersi finalmente liberare della fastidiosa presenza di imputati e difensori, e quest’ebbrezza li ha forse distratti, ma in questo modo stanno affidando dati sensibilissimi ad una società - come Microsoft – che è coinvolta nello scandalo denunciato dal New York Times e che riguarda proprio la commercializzazione dei dai personali. Lo stesso vale per i Consigli elettivi, le Scuole… una specie di corsa a regalare dati a gente che ne fa appunto commercio.
Dovrebbe infatti oramai essere chiaro che i servizi gratuiti online (e non solo gratuiti), hanno un prezzo nascosto. Nelle nuove dinamiche dei big data, il prodotto, la merce di scambio, è l'utente stesso. Oggi gli utenti utilizzano gratuitamente motori di ricerca, account di social media e app. E le aziende raccolgono gratuitamente dati preziosi (identità, le ricerche, i “mi piace”, i numeri di telefono e gli amici), utilissimi a indirizzare e vendere pubblicità.
Quanto è più grave che, in tempi di lockdown, “prodotto” e “merce di scambio” diventino adesso anche le assemblee elettive, la giurisdizione penale, la scuola e chiunque sia costretto, per ragioni sanitarie, a condividere informazioni a distanza.
Senza ricorrere all’abusato (ma non per questo incongruo) riferimento al “Grande Fratello”, il rischio che si corre è comunque elevato. Tanto più quando coinvolge i Consigli elettivi, una delle espressioni fondamentali della democrazia. Si è avuta larga esperienza, negli ultimi anni, della straordinaria capacità che hanno i social media e internet di influenzare – in maniera forse determinante – il voto, e questa capacità si fonda appunto sulla conoscenza perfetta dei gusti e delle idee delle persone cui si rivolgono i messaggi elettorali, conoscenza che deriva a sua volta dal possesso dei loro dati personali.
Difendere la democrazia comporta la sottrazione di queste informazioni alle imprese commerciali che oggi le detengono. Ed è urgente cominciare subito, magari affidando la gestione delle comunicazioni in tempo di lockdown a piattaforme poste sotto il controllo pubblico.
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