L’ONGismo: dal neoliberalismo al «regime change»
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Analisi, 9 giugno 2020 - C’è dunque bisogno di una legge che disciplini, controlli e perfino vieti il finanziamento straniero delle ONG in Algeria? Si tratta certamente di una questione che bisogna affrontare seriamente nell’immediato futuro...
L’ONGismo: dal neoliberalismo al «regime change»
Per quanto la loro genesi sia molto più antica, le entità note come organizzazioni non governative (ONG) sono cresciute notevolmente negli anni 1980 e 1990 dell’ultimo secolo e i loro campi di intervento si sono diversificati: emergenza umanitaria, alimentazione, diritti umani o ambiente
Secondo gli specialisti, questo sviluppo coincide con l’affermarsi del neoliberalismo degli anni Reagan-Thatcher. Secondo l’attivista Ana Minski, «la proliferazione delle ONG nel Sud, negli anni 1990, è indubitabilmente dovuta alla riduzione delle capacità dei governi di offrire servizi pubblici, risultato delle politiche neoliberali che si sono imposte nel contesto di un capitalismo mondializzato e fortemente finanziarizzato».
A causa delle politiche di austerità e di riduzione della spesa pubblica, i governi si sono rivolti alle ONG per fornire servizi a basso costo, servizi cui una volta provvedevano direttamente nei settori della sanità, della scuola, della cultura, ecc. Specificamente sul punto, la scrittrice indiana Arundhati Roy precisa che le ONG distribuiscono «al contagocce, sotto forma di aiuti o di volontariato, quello cui la gente dovrebbe normalmente avere diritto». E questo porta alcuni specialisti a definire le ONG come il «cavallo di Troia» del neoliberismo.
La ONGisazione della resistenza (di Arundhati Roy)
Da una conferenza tenutasi a San Francisco, in California, il 16 agosto 2004
Con la fine della Guerra Fredda, le ONG hanno cominciato ad essere utilizzate per altri scopi. Si trattava di «democratizzare» i paesi dell’Est già appartenenti all’area sovietica, per sottrarli all’influenza russa. A tal fine, gli Stati Uniti hanno mobilitato un arsenale di organizzazioni specificamente impegnate in questa mission. Citiamo, a titolo di esempio: l’USAID (United States Agency for International Development), la NED (National Endowment for Democracy) e i suoi quattro satelliti, Freedom House e l’Open Society di George Soros. A parte quest’ultima che è privata, tutte le altre organizzazioni sono finanziate direttamente o indirettamente, parzialmente o interamente dal governo statunitense.
I satelliti della NED sono ben conosciuti: l’IRI (International Republican Institute), il NDI (National Democratic Institute), il Solidarity Center e il CIPE (Center for International Private Enterprise).
Per poter rivendicare la denominazione di ONG, un’organizzazione deve soddisfare almeno le cinque seguenti condizioni: l’origine privata della sua costituzione, le finalità non lucrative della sua azione, la sua indipendenza politica e il carattere di interesse pubblico della sua mission. Nel caso delle organizzazioni statunitensi di cui prima ho detto e dei gruppi che esse finanziano nei paesi presi di mira, queste condizioni non sussistono.
L’uso di queste organizzazioni ha dimostrato l’efficacia del «soft power» statunitense nelle operazioni di «regime change». Questo è apparso chiaramente nelle rivoluzioni colorate in Serbia, in Georgia o in Ucraina. Durante la «primavera» araba, queste stesse organizzazioni statunitensi di «esportazione» della democrazia sono state impegnate in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Siria e in Yemen e il risultato disastroso del loro coinvolgimento è oramai noto, soprattutto nei tre ultimi paesi.
Il modus operandi di questa «democratizzazione» è sempre lo stesso. Alcuni attivisti locali, iscritti o meno in ONG locali, vengono selezionati, finanziati, formati e resettati nella loro regione di appartenenza (nel caso dei paesi arabi, si tratta della regione MENA/Middle East and North Africa). Nel corso di eventuali proteste popolari legittime causate da reali problemi sociali, questi attivisti si mettono in prima linea nelle manifestazioni e tentano di dirigerle secondo agende elaborate all’estero.
Per illustrare questo punto, citiamo attivisti come Slim Amamou (Tunisia), Mohamed Adel (Movimento del 6 aprile - Egitto), Ali Ramadan Abouzaakouk, (Libya Human and Political Development Forum – Libia), Aussama Monajed (Movement for Justice and Development – Siria) e Tawakkol Karman (Women Journalists Without Chains – Yemen).
In Algeria, diverse ONG locali finanziate dalle organizzazioni statunitensi sono state molto in vista nelle manifestazioni, sia nel 2011 che durante l’Hirak, nel 2019-2020. Parliamo, tra l’altro, della Ligue algérienne de défense des droits de l’homme (LADDH), del Rassemblement Actions Jeunesse (RAJ), del Collectif des familles de disparus en Algérie (CFDA), ecc. E’ quanto meno curioso constatare che le ONG che ricevono sussidi stranieri sono tutte in perfetta sintonia per quanto riguarda le loro rivendicazioni. Nemmeno una minuscola discordanza?
Definite d’ONG – Organizzazione Non Grata -, le organizzazioni statunitensi di «esportazione» della democrazia sono state bandite da taluni paesi come la Russia, che ha cacciato USAID per «ingerenza nella vita politica russa». La lista delle ONG «indesiderabili» in Russia si è allungata e attualmente comprende la NED, il NDI, l’IRI, Freedom House e l’Open Society di Soros.
In America del Sud, i paesi dell’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América) hanno firmato una risoluzione nel 2012 che chiede l’espulsione immediata dell’USAID dai paesi membri dell’alleanza (la Bolivia, Cuba, l’Ecuador, la Dominicana, il Nicaragua e il Venezuela).
D’altra parte, alcuni paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Africa del sud) hanno adottato leggi che vietano o rafforzano i controlli sulle ONG presenti sul loro suolo.
Dal 2014, le ONG che operano in Egitto hanno obbligo di registrarsi presso le autorità, in mancanza rischiano il sequestro dei loro beni o inchieste giudiziarie. Inoltre, spetta alle autorità di approvare anche qualsiasi finanziamento venga dall’estero.
Tra gli altri paesi arabi, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno proceduto, nel 2012, alla chiusura delle sedi di diverse ONG straniere tra cui NDI. Da parte sua, il deputato giordano Zakaria Al-Cheikh ha chiesto, nel gennaio 2016, alla Camera bassa del Parlamento della Giordania di porre termine alle attività di questa organizzazione sostenendo che essa «costituisce un pericolo per la sicurezza nazionale».
Va precisato che simili attività svolte in territorio statunitense sono disciplinate dal «Foreign Agents Registration Act» che è una legge statunitense che impone la registrazione dei lobbisti che rappresentano interessi politici o economici stranieri.
Infine non bisogna assolutamente credere che solo le ONG statunitensi siano attive in Algeria. Sono presenti anche altre ONG europee.
C’è dunque bisogno di una legge che disciplini, controlli e perfino vieti il finanziamento straniero delle ONG in Algeria? Si tratta certamente di una questione che bisogna affrontare seriamente nell’immediato futuro.
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