Il “Castello” d’avorio dei Giudici
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Intervento, 9 giugno 2021 - Da anni assistiamo ad un inarrestabile esclusione dal processo di tutti gli “estranei”, perfino del “Popolo” in nome del quale pure si decide. La Giurisdizione, nell’idea di molti togati, è diventata “cosa nostra”...
Corriere del Mezzogiorno, 9 giugno 2021
Il “Castello” d’avorio dei Giudici
Nicola Quatrano
Un arcano “verboten” ha trasformato il luogo in cui i Giudici del Riesame di Napoli decidono “in nome del popolo italiano” in una meta irraggiungibile, più o meno come il “Castello” di Kafka. Difatti, all’avvocato che, per necessità o trasgressione, venisse di varcare quella sacra soglia, qualcuno spiegherebbe, forse con le stesse parole usate col signor K. dal figlio del custode del predetto Castello, che è vietato l’ingresso e che, per favore, smammi
Aggiungendo che si tratta di un divieto che riguarda tutti, avvocati e PM.
La costernazione dell’espulso sarebbe a quel punto del tutto giustificata. Egli sa bene infatti che, a differenza degli avvocati, i Pm hanno il numero dei Giudici registrato nel telefonino. I Giudici sono quei colleghi insieme a cui i PM vanno ai convegni del CSM, con cui hanno una confidenza fatta di comuni ricordi di tirocinio e di lavoro, gli stessi amici, gli stessi matrimoni e compleanni. Per i PM non c’è bisogno di scomodarsi a varcare quella vietata soglia. Se hanno qualcosa da dire al Giudice, basta un click sul cellulare.
Lo stesso click, d’altronde, che risparmia ai PM della DDA la fatica di dover attendere per delle ore, insieme agli avvocati, che la causa venga chiamata, e conferisce loro il privilegio di restarsene comodamente in ufficio, fin quando la telefonata del cancelliere li avvisi che “l’udienza è servita”.
E così una vicenda banale ci riporta al tema, non banale, della necessità della separazione delle carriere. Ma non solo. Perché l’avvocato K verrà anche informato che si tratta di misure imposte dalla pandemia. Sì, proprio quelle oramai revocate dovunque (dai cinema, agli stadi, alle palestre), salvo che negli gli uffici giudiziari, dove sono state accolte con entusiasmo, quasi un’occasione per meglio nascondere agli occhi del volgo i turbamenti di una casta traumatizzata dal caso Palamara.
L’emergenza COVID – diranno - comporta che le camere di consiglio si tengano a porte aperte, e sarebbe dunque sacrilego se un avvocato, passando, ne violasse il segreto, anche solo per un secondo. Senza contare che potrebbe acquattarsi nell’ombra per carpirne i segreti.
Si dà il caso, en passant, che seppure i predetti Giudici utilizzino per comodità quelle stanze come Camere di Consiglio, esse restino pur sempre i loro uffici, cosicché potrà darsi il caso che l’avvocato K. abbia qualche necessità di varcare la proibita soglia, per concordare un programma di udienza, segnalare un problema, chiedere un chiarimento, semplicemente interloquire con un Giudice che invece si nasconde, e si fa sempre più lontano, inaccessibile, inquietante. Proprio come il “Castello”.
Una vicenda banale, lo ripetiamo, magari un po’ ridicola. Ma purtroppo essa è spia di una grave degenerazione, soprattutto culturale. Da anni assistiamo ad un inarrestabile esclusione dal processo di tutti gli “estranei”, perfino del “Popolo” in nome del quale pure si decide, attraverso leggi, sentenze, e anche atti da niente come l’arcano ordine di chiusura del Riesame. La Giurisdizione, nell’idea di molti togati, è diventata “cosa nostra”: una interlocuzione tra magistrato Pm e magistrato Giudice, e l’attività difensiva una fastidiosa interferenza che mira solo a complicare le cose.
Anche l’imputato è stato espulso, ridotto ad una icona sullo schermo della video-conferenza, privato di ogni reale possibilità di interlocuzione. Ed è senza doverlo nemmeno guardare negli occhi che il Giudice può oggi – con agghiacciante leggerezza – dispensare ergastoli e decenni di galera.
Giorni fa, l’avvocato K. ha trovato, nel fascicolo che consultava prima dell’udienza, la sentenza già scritta. Certo, l’esperienza può consentire a un Giudice di prevedere l’esito del processo anche prima di cominciarlo, salvo colpi di scena. Ma quando si anticipa addirittura la redazione della sentenza, vuol dire che lo si considera solo una pura formalità. E sembra proprio questo il modello vagheggiato: il PM chiede la condanna e il Giudice decide, senza ulteriori ritardi e intralci, attento solo alla coerenza del testo e indifferente alla Verità. Ignorando perfino se riguardi un essere umano o solo un nome, un semplice tratto di penna sulla carta.
Una benda copre gli occhi della dea Giustizia, ed è per garantirne l’imparzialità. Sarebbe terribile che, come nella poesia di Lee Masters, si scoprisse invece che serve solo a nasconderne le palpebre imputridite, le pupille bruciate e la follia di anima morente che le dipinge il volto.
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