Onora i tuoi defunti
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Analisi, 25 ottobre 2021 - Ma immagino il futuro mondo occidentale come un caos sociale e morale in cui la sopravvivenza, la sanità mentale e la felicità dipenderanno dalla capacità di costruire clan sani e forti...
Unz Review, 22 ottobre 2021 (trad.ossin)
Onora i tuoi defunti
Laurent Guyénot
Una lezione dall'Asia
Gli Asiatici non mostrano alcun segno di un desiderio di morte collettivo. Sono generalmente orgogliosi della loro etnia e nazionalità. Questo, dirò, ha molto a che fare con il loro atteggiamento generale verso gli antenati. Il culto degli antenati è una parte essenziale delle tradizioni asiatiche e, sebbene si sia ridimensionato nelle grandi città, è ancora ampiamente praticato. Gli antropologi preferiscono parlare di “venerazione degli antenati”; i morti non sono divinizzati, ma ad essi si dimostra rispetto e gratitudine, e ci si aspetta che essi guidino e proteggano i vivi, o che li rimproverino quando fanno del male. Onorare gli antenati è considerato non solo un'usanza religiosa, ma un dovere morale, perché è un'estensione della pietà filiale, che è vista unanimemente in Oriente come il fondamento della moralità: la tua pietà filiale significa che erediti la pietà filiale dei tuoi genitori, eccetera.
In Cina, nonostante decenni di indottrinamento comunista, la venerazione degli antenati è ancora molto comune. Trova sostegno nel confucianesimo, che enfatizza la pietà filiale e il rispetto per gli antenati (sebbene Confucio avesse poco da dire sull'esistenza degli spiriti). La gente fa offerte rituali ai morti indipendentemente dalla appartenenza religiosa. I Cattolici rimangono riluttanti, nonostante nel 1939 la Chiesa abbia ritirato il divieto ufficiale imposto nel 1707, con la scusa che la venerazione degli antenati non ha dopotutto carattere religioso, e quindi tollerandola.
La venerazione degli antenati è "uno degli elementi che compongono l'identità culturale del Vietnam". Poco importa se siano buddiste, cristiane o altro, quasi tutte le famiglie vietnamite, ricche o povere, hanno un altare per gli antenati in casa. Ovunque in Oriente, ma in Vietnam più che altrove, l'amore per gli antenati e l'amore per la nazione sono organicamente collegati, perché gli antenati sono coloro che hanno costruito la nazione e protetto la sua integrità territoriale nel corso dei secoli.
"I servizi rituali per gli antenati hanno una lunga e ricca storia in Corea e sono ancora una parte importante della vita tradizionale del villaggio". Questi rituali, a volte denominati Jesa, sono praticati durante tutto l'anno, per gli antenati fino alla quinta generazione. Alcuni cattolici partecipano ai riti ancestrali, ma i protestanti evangelici no. Molti coreani occasionalmente vengono coinvolti nello sciamanesimo, che si occupa principalmente di conflitti tra i vivi e i morti (buoni e cattivi). Anche in Corea del Nord, secondo recenti stime, il 16% della popolazione totale crede nello sciamanesimo.
In Giappone, nonostante la criminalizzazione delle tradizioni nazionali del secondo dopoguerra, la maggior parte delle persone mantiene un certo grado di venerazione verso i propri morti, anche se afferma di non avere religione. Nobushige Hozumi, che scrisse per gli occidentali un libro intitolato Ancestor-Worship and Japanese Law nel 1901, dissipa il pregiudizio occidentale che gli antenati siano adorati per paura. L'amore, non la paura, è il fondamento antropologico del culto degli antenati. È semplicemente una continuazione dei legami familiari.
Fino alla fine del XIX secolo, in Giappone c'erano tre livelli di adorazione degli antenati, spiega Hozumi: famiglia, clan e nazione. Ogni famiglia onora i propri antenati, quelli di cui si mantiene un ricordo diretto o indiretto, nel corso di tre, quattro generazioni o talvolta di più. I defunti vengono onorati individualmente nei compleanni della loro morte, ma anche collettivamente in determinate date di festa, che sono occasioni di ricongiungimento familiare. Monaci buddisti o sacerdoti shintoisti possono intervenire in alcuni riti, a seconda della famiglia.
Tradizionalmente, "Ogni clan aveva un dio-clan o 'Uji-gami', che è l'eponimo di quella particolare comunità". Poiché ogni clan occupava un certo territorio, gli antenati del clan tendevano a fondersi con le divinità tutelari. Il santuario principale del clan era anche il santuario della divinità protettrice di quella terra. Il culto degli antenati dei clan era il più importante fino al XIX secolo, perché l'unità originaria della società giapponese non era la famiglia ma il clan, e ogni clan era legalmente rappresentato dal suo capo. “Il culto degli antenati comuni, e le cerimonie ad esso connesse, mantenevano la parvenza di una comune discendenza tra un gran numero di parenti sparsi dovunque, che erano così lontani l'uno dall'altro che, senza questo legame, si sarebbero allontanati dai rapporti familiari",
A livello nazionale c'era il culto della stirpe imperiale. Non era un culto dell'imperatore, ma piuttosto la partecipazione della nazione al culto degli antenati dell'imperatore, sulla base del mitico presupposto che gli antenati imperiali fossero gli antenati dell'intera nazione. Questo culto nazionale era anche associato a una forma di monoteismo, poiché Amaterasu O-Mikami, “la Grande Dea della Luce Suprema” era considerata l'antenata primordiale, la madre del primo imperatore. È rappresentata dal sole che un tempo irradiava sulla bandiera giapponese.
Non ho una competenza particolare in antropologia asiatica, ma penso che sia incontroverso che la venerazione degli antenati sia una tradizione che ha persistito fino ad oggi in tutto l'Oriente, nonostante l'assalto della modernità e l'influenza culturale dell'individualismo occidentale. Avendo conosciuto intimamente una famiglia giapponese per venticinque anni, ho avuto l'opportunità di osservare che anche i Giapponesi di città occidentalizzati mantengono un senso di lealtà e di indebitamento nei confronti dei loro genitori e antenati, molto più forte rispetto all'Europeo medio. Mi sembra che faccia parte della loro cura mentale. Se ciò influisca sugli standard etici generalmente rispettati all'interno della loro famiglia, della loro comunità e della loro nazione, è qualcosa che difficilmente ha bisogno di essere dimostrato.
Siamo noi Europei fondamentalmente diversi? Il nostro cervello, per qualche ragione evolutiva, è cablato in modo diverso ed è semplicemente incapace di funzionare in questa modalità olistica e transgenerazionale? La storia ci dimostra con certezza che non è così.
Dove sono finiti tutti i nostri antenati?
Un grande libro di antropologia storica sugli ariani - indoeuropei, se preferite - è The Aryan Household, its Structure and its Development di William Hearn (1879). “Nel mondo arcaico”, scrive, “la società implicava l'unione religiosa. . . . La comunità di culto era, infatti, l'unico modo con cui, nei primi tempi, gli uomini venivano riuniti e tenuti insieme. . . . Il pasto comune preparato sull'altare era il segno visibile esteriore della comunione spirituale tra la divinità e i suoi adoratori”.[1] Il nucleo religioso più fondamentale per gli ariani è sempre stata la famiglia, che comprende i vivi e i morti. Il culto dei morti strutturava la società dal livello familiare in su. È persistito a lungo dopo la cristianizzazione. Triin Laidoner scrive in Ancestor Worship and the Elite in Late Iron Age Scandinavia :
Il fatto che le leggi del XIII e del XIV secolo menzionino spesso i sacrifici e le offerte ai tumuli, e che gli antenati fossero chiaramente la spina dorsale dell'ordine sociale e delle norme economiche e legali, mostra che le tradizioni relative agli antenati erano così profondamente radicate nella prima Scandinavia, che sono sopravvissute molto tempo dopo la conversione al Cristianesimo, e anche nell'era moderna.[2]
Il culto degli antenati non era solo una religione domestica, perché si estendeva al culto pubblico di grandi uomini, quelli che i Greci chiamavano eroi. Lewis Richard Farnell definì l'eroe come "una persona la cui virtù, influenza o personalità era così potente durante la sua vita o attraverso le particolari circostanze della sua morte, che il suo spirito dopo la morte è considerato di potere soprannaturale, tanto da diventare degno di riverenza e di essere propiziato", [3] Non c'era una chiara separazione tra i morti domestici e gli eroi adorati a un livello più pubblico.[4]
In effetti, non c'era nessuna frontiera tra il regno degli dei e il regno dei morti. Secondo il grande storico islandese Snorri Sturluson (1179-1241), il dio settentrionale Freyr era in origine un re svedese adorato dopo la sua morte per i benefici che continuava ad assicurare al suo popolo. Quando Freyr morì, fu posto nel suo tumulo ma si diceva che fosse ancora vivo, così gli Svedesi si presero cura di lui portandogli delle offerte. Poiché i raccolti furono buoni per tre anni dopo la sua morte, gli Svedesi lo nominarono il dio del mondo e lo adorarono per i buoni raccolti e la pace (Sturluson, Storia dei re di Norvegia, I, 10). La scuola ottocentesca di mitologia comparata era solita interpretare tali storie come casi di uomini inventati per dare un’origine umana ai loro dei (un processo che chiamavano dell'evemerismo, anche se è l'esatto opposto di ciò che Evemero suggeriva nel IV secolo AC). Ma l'antropologia storica adesso tende ad accettare ogni teoria che vede la trasformazione dei "grandi morti" in dei, come una tendenza generale tra tutti i popoli.
C'è anche un ampio spettro di argomenti a favore della diffusa teoria secondo cui la cultura nasce dai riti funebri.[5] È per i loro morti che gli uomini hanno costruito le loro prime abitazioni in pietra.[6] È per immortalare i loro morti che hanno plasmato le loro prime immagini,[7] raccontato le loro prime storie epiche e i loro miti dell'altro mondo,[8] o hanno interpretato il loro primo dramma.[9]
La teoria secondo cui la venerazione degli antenati è la radice primaria della religione era stata difesa da Numa Denis Fustel de Coulanges nella sua opera magistrale The Ancient City: A Study of the Religion, Laws, and Institutions of Greece and Rome, pubblicata nel 1864: “Questa religione dei morti sembra essere la più antica che sia mai esistita tra questa razza di uomini. Prima che gli uomini avessero idea di Indra o di Zeus, adoravano i morti”. Tra gli antichi greci e romani, la famiglia era la principale istituzione religiosa:
Il processo generazionale ha stabilito un misterioso legame tra il bambino, che è nato alla vita, e tutti gli dei della famiglia. In effetti, questi dei erano la sua famiglia, erano del suo sangue. Il bambino, quindi, riceveva alla nascita il diritto di adorarli e di offrire loro sacrifici; e più tardi, quando la morte lo avesse divinizzato, anche lui sarebbe stato annoverato, a sua volta, tra questi dei della famiglia. Ma dobbiamo notare questa particolarità: che la religione domestica veniva trasmessa solo da maschio a maschio. . . .Fuori casa, lì vicino, in un campo vicino, c'è una tomba, la seconda casa di questa famiglia. Là diverse generazioni di antenati riposano insieme; la morte non li ha separati. Rimangono raggruppati in questa seconda esistenza, e continuano a formare una famiglia indissolubile. Tra la parte viva e la parte morta della famiglia c'è solo questa distanza di pochi gradini che separa la casa dalla tomba. In certi giorni, stabiliti per ciascuno dalla propria religione domestica, i vivi si radunano presso i loro antenati; offrono loro il pasto funebre, versano loro latte e vino, offrono dolci e frutta, o bruciano loro la carne di una vittima. In cambio di queste offerte chiedono protezione; chiamano questi antenati loro dei e chiedono loro di rendere fertili i campi, prospera la casa e virtuoso il loro cuore.
C'è un'ovvia connessione tra il prendersi cura dei propri antenati e la speranza di un aldilà felice, perché tutti si aspettano di essere accolti dai propri antenati quando lasciano questo mondo. Tale connessione viene rappresentata nei cortei funebri romani, dove era consuetudine portare l'immagine del defunto; dal mausoleo di famiglia le immagini dei familiari defunti gli venivano incontro a metà strada, per accoglierlo, e per accompagnarlo alla tomba di famiglia.
Poiché ogni uomo si aspettava che i suoi discendenti maschi assicurassero ai loro Mani pace e felicità, «ogni famiglia doveva perpetuarsi per sempre. Era necessario per i morti che i discendenti non si estinguessero. . . . Tutti, quindi, avevano interesse a lasciare un figlio dopo di sé, convinti che da questo dipendesse la propria felicità immortale. Era anche un dovere verso quegli antenati la cui felicità non poteva durare più a lungo di quanto durasse la famiglia». Un'altra conseguenza fu l'orrore per l'adulterio. “Perché la prima regola del culto era che il fuoco sacro doveva essere trasmesso di padre in figlio, e l'adulterio turbava l'ordine della nascita. . . . il figlio nato dall'adulterio era straniero. Se fosse stato sepolto nella tomba, tutti i princìpi della religione ne sarebbero stati violati, il culto contaminato, il sacro fuoco sarebbe divenuto impuro; ogni offerta al sepolcro si sarebbe trasformata in un atto di empietà. . . e non ci sarebbe stata più felicità divina per gli antenati”.
D'altra parte, poiché “l'antica famiglia era un'associazione religiosa più che naturale”, era possibile integrarsi nella famiglia attraverso il rito religioso. Ecco perché «la moglie veniva annoverata nella famiglia solo dopo che la sacra cerimonia del matrimonio l'aveva iniziata al culto». Allo stesso modo, "un figlio adottivo era considerato un vero figlio, perché, sebbene non avesse legami di sangue, possedeva qualcosa di più: una comunità di culto". Anche lo schiavo entrava a far parte della famiglia attraverso una cerimonia che «aveva una certa analogia con quelle del matrimonio e dell'adozione. Significava senza dubbio che il nuovo venuto, uno straniero il giorno prima, diventava un membro della famiglia e condivideva la sua religione. . . . Per questo lo schiavo veniva sepolto nel luogo di sepoltura della famiglia”.
Ridley Scott ha compiuto un encomiabile tentativo di sceneggiare il culto degli antenati romani nel suo film epico Gladiator (2000).
In conclusione, il culto degli antenati era centrale nelle tradizioni greca, romana, tedesca e celtica. Perché allora il culto dei morti è così estraneo a noi, che siamo i loro posteri? Perché la nostra sacralizzazione dell'individuo sembra un'immagine invertita dei valori olistici del sangue dei nostri lontani antenati? Posto che un tempo gli indoeuropei erano adoratori degli antenati proprio come gli asiatici, dobbiamo capire perché e come, a differenza degli asiatici, abbiamo completamente abbandonato ciò che un tempo costituiva la sostanza del nostro tessuto sociale. Che cosa è successo?
Il dio parlante contro i morti che camminano
Redbad (o Radbod) fu re di Frisia dal 680 circa fino alla sua morte nel 719. È considerato l'ultimo sovrano indipendente della Frisia prima della dominazione dei Franchi. Secondo una leggenda, registrata per la prima volta nella Vita del missionario franco Wulfram, Redbad era stato persuaso ad accettare il battesimo e aveva già messo un piede nel fonte battesimale, quando ebbe ripensamenti e chiese a Wulfram: "Mi unirò ai miei antenati nell'aldilà?" Wulfram gli disse senza mezzi termini che questo era fuori discussione, dal momento che i suoi antenati, non essendo stati battezzati, erano tutti all'Inferno, mentre Redbad sarebbe andato in Paradiso coi Beati. Redbad allora ritrasse il piede e dichiarò che preferiva stare con i suoi antenati all'Inferno piuttosto che trascorrere l'eternità in Paradiso, insieme a un branco di Santi mendicanti. Poco dopo la morte di Redbad, tuttavia, i Frisoni furono sconfitti e battezzati, e non si seppe più nulla della loro indipendenza nazionale.
Questa storia illustra lo shock culturale che il Cristianesimo ha significato per i nostri antenati pagani. Il problema non era l'introduzione di un nuovo culto, tanto più che la condivisione rituale del pane e del vino in onore di un eroe divinizzato non era particolarmente esotica. Sarebbe stato bello se i missionari fossero rimasti fedeli al principio di Gesù secondo cui "nella casa di mio Padre ci sono molte stanze", una delle quali preparata appositamente da Gesù per coloro che lo amano (Giovanni 14:2-4). Ma un redattore fece contraddire Gesù stesso aggiungendo: "Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me" (14:6), e il Cristianesimo si attenne a quella regola. È il culto di un dio geloso, la stessa divinità “teoclasta” che parlava nella Torah.[10] La conversione al Cristianesimo significò la distruzione di tutti gli altri culti, e in particolare la rottura del legame che univa gli indoeuropei ai loro antenati.
La versione di Hollywood (non l'ho guardata)
Lo shock era arrivato ai Romani nei primi anni 390, quando il fenicio Teodosio,[11] avendo preso il controllo dell'Occidente dopo la sua misteriosa ascesa al trono in Oriente, emanò una legge che proibiva tutti i culti non cristiani, tranne quelli degli Ebrei. Agli ufficiali e ai magistrati del palazzo imperiale era proibito onorare i loro Lari con il fuoco, il loro Genio con il vino o i loro Penati con l'incenso. È difficile immaginare una politica più aggressiva contro la vita dei Gentili, ed è difficile capire come l'élite romana vi si sia sottomessa, prima di imporla al popolo. La società romana deve essere stata molto corrotta e molto degenerata, per aver ceduto a questo colpo di Stato cripto-ebraico – un po' come i Francesi che oggi si sottopongono al battesimo forzato del vaccino trinitario (le tre dosi Pfizer).
Certo, la gente comune ha continuato a lungo a pregare i propri antenati a casa: erano chiamati Pagani, cioè "gente di campagna", contadini.
Ma l'assalto è continuato. In particolare, "il Cristianesimo ha operato una rottura molto netta con le credenze e i costumi che avevano prevalso nella società antica riguardo ai defunti", spiega il medievalista Michel Lauwers. Agostino, altro cartaginese, compose intorno al 422 un trattato “sulla cura dei morti”, per affermare che i riti funebri tradizionali sono inutili, e che anche il luogo e il modo in cui i morti vengono seppelliti sono irrilevanti: “I fedeli non perdono nulla se sono privati della sepoltura, così come i miscredenti non guadagnano nulla ricevendola”. In un altro trattato, l'Encheiridion , ci si rammaricava che i Cristiani si ostinassero ad adorare i propri morti, a volte con banchetti ostentati, ma ammetteva che i funerali cristiani sono una “consolazione” per i vivi.[12]
E così, piuttosto che cercare di sradicare il culto degli antenati, la Chiesa si sforzò di stabilire il proprio monopolio quale unico mediatore per le offerte ai morti: ai Cristiani fu detto che potevano contribuire alla salvezza dei defunti pagando le messe, o facendo elemosine che la Chiesa avrebbe passato ai bisognosi. L'idea che i vivi potessero aiutare ad alleviare le sofferenze dei defunti comuni diede vita alla dottrina del Purgatorio e ad una delle maggiori fonti di reddito per la Chiesa.[13]
Sebbene i vivi potessero, per l'esclusiva intercessione della Chiesa, aiutare i loro morti sofferenti, non era vero il contrario. Solo i Santi, i "morti molto speciali" che erano stati ufficialmente ammessi in Paradiso, potevano concedere benedizioni ai vivi, ma non ai loro discendenti, poiché, essendo casti, non ne avevano.[14] I morti ordinari, consumati dal dolore, non potevano fare nulla per i loro parenti mortali, e qualsiasi segno apparisse come proveniente da loro era in realtà un trucco del diavolo. Tutti i riti, le storie o le credenze che non facevano parte del libro di testo clericale furono banditi e lentamente furono confinati nel folklore delle creature fatate, in modi che ho documentato nel mio libro La Mort féerique (basato sulla mia tesi di dottorato in antropologia medievale).[15] Erodendo notevolmente i legami di solidarietà tra i morti e i vivi, il Cattolicesimo ha gradualmente trasformato la “morte solidale” in “morte solitaria”, nelle parole di Philippe Ariès.[16]
Inoltre, la dottrina del peccato originale, una pietra angolare del Cristianesimo posta da Paolo, implica che la nostra genealogia biologica è infetta e che dobbiamo essere purificati da essa rinascendo "dal sangue di Cristo", mediante il battesimo (Efesini 2:11-13). In questo modo i nostri antenati furono dichiarati nostri nemici, dai quali Gesù ci ha salvato. L'enfasi stessa posta da Gesù sulla salvezza personale si accompagna in realtà ad una forte ostilità verso i legami di sangue: "Chiunque viene a me senza odiare padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle, sì e anche la propria vita, non può essere mio discepolo" (Luca 14:26).[17]
Applicando questo comando alla lettera, i Santi o l'agiografia cristiana hanno reciso i loro legami familiari e hanno rinunciato a tutte le responsabilità e i beni terreni. Una delle opere letterarie più note di tutto il Medioevo fu la Vita di Sant'Antonio, padre del monachesimo. Antonio è nato da genitori benestanti. Dopo aver ascoltato durante la messa Matteo 19,21 ("Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri; e vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli"), "uscì subito dalla Chiesa e diede i beni di suo padre ai contadini”, vendette il resto e diede il denaro ai poveri, e chiuse sua sorella in un convento. Poi andò nel deserto e visse da solo per il resto della sua vita.
Naturalmente, i Santi uomini che vivono vite ascetiche solitarie esistono anche nei paesi non cristiani, l'India è un buon esempio. Ma Louis Dumont, indianista, ha mostrato che il Cristianesimo differisce in modo fondamentale dalle tradizioni indiane. Gli Indiani ammettono e approvano che alcuni individui abbandonino la loro esistenza sociale per cercare l'illuminazione, purché questi individui non mettano in discussione l'ordine sociale e la sua dinamica olistica, ma rimangano delle eccezioni che confermano la regola. Il Cristianesimo, secondo Dumont, ha sconvolto quell'equilibrio di civiltà dichiarando che la Santità è l'unica vita perfetta, l'unica strada diritta per il Paradiso, e che la salvezza da questo mondo è la chiamata di ogni cristiano. Poiché considera la salvezza come una ricerca individuale, la purificazione dai peccati personali, il Cristianesimo ha posto le basi dell'individualismo occidentale moderno.[18]
I Santi che sono morti passivamente per il loro credo hanno sostituito gli eroi che sono morti combattendo per le loro comunità. Il potere debilitante del Cristianesimo non sfuggì ai pagani romani che, dopo il sacco di Roma da parte dei Visigoti di Alarico nel 410, accusarono i Cristiani di aver lanciato una maledizione su Roma vietando l'antico culto degli dei Penati. Agostino scrisse “La città di Dio” come risposta a questa accusa. Il suo primo punto è che la miseria sofferta dai Romani era una benedizione che li avvicinava a Dio. Quanto alle vergini stuprate, la loro anima non era contaminata, a meno che non avessero provato qualche piacere, quindi non avevano subito alcun danno (Libro I, capitolo 10). Edward Gibbon ha fatto propria l'opinione dei pagani romani, che i Cristiani, con i loro occhi puntati sulla Città di Dio, avessero causato la caduta dell'Impero Romano:
Questo indolente, o anche criminale, disprezzo per il pubblico benessere, li esponeva al disprezzo e ai rimproveri dei Pagani, i quali molto spesso si chiedevano quale sarebbe stato il destino dell'Impero, attaccato da ogni parte dai Barbari, se tutti avessero adottato i pusillanimi sentimenti della nuova setta. A questa ingiuriosa domanda, gli apologeti cristiani offrirono risposte oscure ed ambigue, non volendo rivelare la causa segreta della loro sicurezza: l'aspettativa che, prima che la conversione dell'umanità fosse compiuta, la guerra, il governo, l'impero romano e il mondo stesso, non sarebbero più esistiti.[19]
La fine del paganesimo cattolico
Può essere che la storia di Redbad sia oggi irrilevante, dal momento che il Cristianesimo è ormai la religione dei nostri antenati europei da infinite generazioni. È vero che la Chiesa cattolica incarnava l'identità europea da più di un millennio e nel 1920 Hilaire Belloc poteva ancora proclamare “La Chiesa è l'Europa: e l'Europa è la Chiesa” (L' Europa e la fede, 1920). Ma il Cattolicesimo dei miei nonni aveva poco in comune con il Cattolicesimo di oggi. Il primo differiva dal secondo come un corpo vivente di carne e sangue differisce da uno scheletro.
La carne era, in realtà, in gran parte pagana.[20] In effetti, la tesi secondo cui l'esclusivismo cristiano ha distrutto le tradizioni cultuali europee deve essere mitigata da un'antitesi: questo stesso esclusivismo era, ai fini pratici, in una certa misura un inclusivismo. La Chiesa ha abbracciato le tradizioni che non poteva soffocare. Così James Russel scrive sulla germanizzazione del Cristianesimo altomedievale [21], e si può parlare anche di “celticizzazione” in Irlanda e Bretagna. Il culto della Vergine Madre è un'appropriazione cristiana di culti più antichi. Sembra che il culto degli antenati non sia stato molto influenzato dalla cristianizzazione prima della riforma gregoriana: l'archeologia funeraria in Gallia mostra che, dal V all'VIII secolo, i morti venivano sepolti con vestiti, gioielli, resti di animali, ceramiche, monete e armi.[22]
Questo paganesimo travestito, che era probabilmente la parte migliore del Cattolicesimo, è sopravvissuto fino agli anni '50, quando l'80% della popolazione francese viveva ancora in comunità di villaggio. Il Concilio Vaticano II dichiarò guerra al paganesimo cattolico, come aveva fatto in precedenza la Riforma. Da allora iniziò il crollo della pratica religiosa, e con essa lo scioglimento della parrocchia del villaggio. Naturalmente il Vaticano II non è stato l'unico fattore; i trattori resero meno essenziale l'aiuto reciproco e i pesticidi si dimostrarono più efficaci dell'acqua santa. Ma è stato il Vaticano II a privare la gente di campagna delle difese spirituali contro le devastazioni della modernità.
Una nuova generazione di sacerdoti illuminati, di estrazione piccolo-borghese, prese di mira le usanze popolari rurali come “vestigia del paganesimo”. Niente più riti agrari di benedizione dei semi e dei raccolti! Il Cattolicesimo cessò di essere “la religione dei Santi”, celebrata in preghiere, pellegrinaggi e feste. Molte statue sono state rimosse dalle absidi. I Santi, a dire il vero, erano una pallida imitazione degli eroi pagani, ma il culto delle loro reliquie differiva poco e adempiva allo stesso scopo.[23]
Il miracoloso era disapprovato. Maria, la destinataria privilegiata delle preghiere popolari, il cui culto era tanto radicato che Notre-Dame di Qui non fu mai confusa con Notre-Dame di Altrove, venne ridimensionata, e la pietà mariana sospettata di impurità. «Ricordino i fedeli», impartiva Paolo VI nel novembre 1964, «che la vera devozione non consiste in uno sterile ed effimero moto di sentimentalismo, e nemmeno in una vana credulità». L'icona della Madre di Dio era stata per secoli la figura ipostatizzata della maternità, e la politica natalista aveva sempre potuto contare su Maria come sicura alleata. Il tasso di natalità è diminuito insieme alla frequenza in chiesa dopo il Vaticano II (di nuovo, non l'unico fattore).
Il perdono a Kergoat (1891) di Jules Breton (Wikipedia)
Il sentimento religioso è stato razionalizzato. L'antico Cattolicesimo popolare festivo aveva scarso contenuto dogmatico. Ma ora che la misteriosa nebbia del latino era stata dissipata, le persone che erano state educate nelle scuole secolari dovevano dichiarare ogni domenica che credevano letteralmente che Gesù fosse nato da una vergine e fosse risorto dopo la morte. La recitazione del Credo in volgare è stata, credo, uno dei peggiori colpi al Cattolicesimo: agli uomini d'onore non piace che si chieda di mentire, soprattutto davanti a Dio.[24]
Non sarebbe, tuttavia, logico considerare il Vaticano II come un tradimento del Cristianesimo. I chierici che guidavano il Concilio erano i degni eredi dei padri della Chiesa, quegli intellettuali urbani infatuati dell'ultima mania ebraica e intenti a distruggere, secondo lo stile biblico, tutti i falsi Dei dei Gentili. Il Vaticano II è stato semplicemente l'ultimo assalto alle tradizioni religiose europee. La Chiesa ha ripulito dalla “venerazione dei morti” quanto aveva sinora tollerato, che non era molto ma meglio di niente.
Ora che gli Europei non sono più grati ai loro morti, la stessa pietà filiale è superata - persino ridicolizzata -, le unioni matrimoniali non sono affari dei genitori, la procreazione è "il mio corpo la mia scelta", e gli anziani, non avendo nulla da aspettarsi oltre la tomba, non vogliono più morire, preferendo prolungare la loro solitudine con una periodica iniezione di sangue giovane. I bambini hanno solo la festa della mamma per esprimere ritualmente la pietà filiale. Aggiungendo la beffa al danno, Halloween, quella beffa satanica dell'antica festa celtica dei morti, ora sta dissacrando anche il nostro Giorno dei Morti cattolico.
Il nostro istinto singenico, e anzi tutta la nostra sostanza antropologica, sono stati erosi da duemila anni di “salvezza” cristiana, con il suo micidiale cocktail di individualismo e universalismo. Solo le persone la cui mente è stata indottrinata dal Cristianesimo per molte generazioni possono essere rese vulnerabili come noi all'accusa di razzismo, al punto da accogliere invasori ostili in nome di principi morali universalistici e non osare denunciarli quando stuprano i nostri figli. Dobbiamo perdonare.
Se, come credevano i nostri lontani antenati e come credono ancora gli Asiatici, il ricordo rituale delle generazioni passate è la chiave per costruire famiglie, comunità e nazioni con un'anima, allora è altamente significativo che noi, Europei occidentali, abbiamo ora il legame ancestrale più debole nel mondo, mentre i nostri nemici mortali ne hanno uno incomparabilmente forte, che risale a cento generazioni.
La cultura del clan semitico
Nell'ebraismo opposto al Cristianesimo, l'esclusività del culto significa purezza razziale. Come osserva Kevin MacDonald, "Adorare altri Dei è come avere rapporti sessuali con un alieno - un punto di vista che ha perfettamente senso supponendo che il Dio israelita rappresenti il pool genetico razziale israelita puro".[25] Anche per gli Ebrei impegnati non religiosi, non esiste un comando più alto dell'endogamia. Il matrimonio misto è, "da un punto di vista biologico, un atto di suicidio", ha scritto Benzion Netanyahu, padre del primo ministro israeliano.[26] Martin Buber ha scritto che gli Ebrei fanno del sangue "lo strato più profondo e più potente del [loro] essere". L'Ebreo percepisce «quale confluenza di sangue lo ha prodotto. . . . Percepisce in questa immortalità delle generazioni una comunità di sangue».[27]
Paradossalmente, il culto degli antenati in senso stretto è sempre stato bandito dall'ebraismo. Il divieto risale alla Bibbia.[28] È coerente con la negazione dell'immortalità individuale nell'antropologia biblica. Quella smentita, ben nota agli studiosi, spinse Schopenhauer a scrivere: “La vera religione degli Ebrei, come presentata e insegnata nella Genesi e in tutti i libri storici fino alla fine delle Cronache, è la più cruda di tutte le religioni perché è assolutamente l’unica che non contenga alcuna dottrina dell'immortalità, nemmeno una traccia di essa”.[29] Ma, da un altro punto di vista, la negazione dell'immortalità individuale è vantaggiosamente compensata dalla credenza dell'immortalità nazionale. "Gli Ebrei che hanno una comprensione più profonda dell'ebraismo", scrisse Harry Waton, "sanno che l'unica immortalità che esiste per l'ebreo è l'immortalità del popolo ebraico. Ogni Ebreo continua a vivere nel popolo ebraico e continuerà a vivere finché vivrà il popolo ebraico».[30] Così Moses Hess protestò contro il tentativo del giudaismo riformato di imitare il concetto cristiano dell'anima individuale: "Niente è più estraneo allo spirito del giudaismo dell'idea della salvezza dell'individuo". Per Hess e per molti sionisti dopo di lui, l'essenza del giudaismo e la fonte della forza del popolo ebraico è la fede nel destino di Israele come essere collettivo con una vita e un'anima. Come ho scritto in "Israele come un solo uomo" :
Un individuo ha solo pochi decenni per compiere il suo destino, mentre una nazione ha secoli, persino millenni. Geremia può rassicurare gli esuli di Babilonia che tra sette generazioni torneranno a Gerusalemme ("Lettera di Geremia", in Baruc 6:2). Sette generazioni nella storia di un popolo non sono più di sette anni nella vita di un uomo. Mentre il Goy attende la sua ora sulla scala di un secolo, il popolo eletto vede molto oltre. L'orientamento nazionale dell'anima ebraica inietta in ogni progetto collettivo una forza spirituale e una resistenza con cui nessun'altra comunità nazionale può competere.
Questo vale per il progetto ebraico di distruggere Esaù, alias Roma o la razza bianca. Chi vuole distruggere una razza deve solo distruggere la pietà filiale in una generazione, e quella generazione finirà il lavoro dall'interno. Ciò si è ottenuto negli anni '60, ma era iniziata rieducando i bambini tedeschi a odiare i loro genitori e nonni per aver sostenuto Adolf Hitler. Come ho sostenuto in "La denazificazione finirà mai?", spezzare quella maledizione è una battaglia importante. I tedeschi possono prendere esempio da Monika Schaefer.
I nostri signori ebrei, che hanno sempre creduto che "Tutto è razza - non c'è altra verità",[31] ora ci stanno facendo il lavaggio del cervello con il dogma che la razza non esiste; e la Chiesa cattolica, ovviamente, è d'accordo. Siamo completamente disarmati contro il potere ebraico, ma anche contro la spinta invasiva di Arabi e Africani clandestini. A differenza del Cristianesimo, l'Islam non ha mai mosso guerra alle solidarietà etniche e di clan, e l'esempio di Maometto è significativo al riguardo. Nel XIV secolo, lo storico Ibn Khaldoun fece un vivido ritratto della cultura del sangue araba, che “rende le truppe composte da Arabi (del deserto) così forti e così formidabili; ogni combattente ha un solo pensiero, quello di proteggere la sua tribù e la sua famiglia. . . . Il danno fatto a uno dei nostri genitori, gli oltraggi che subiscono, ci sembrano altrettanti attacchi a noi stessi». Per gli Arabi, insiste Ibn Khaldoun, la leadership appartiene sempre a un clan, mai a un individuo:
Una famiglia che si è fatta rispettare e temere per la sua unità e il suo spirito di corpo, e che è composta da individui appartenenti a una razza il cui sangue è puro e la cui reputazione è intatta, si pone con questa fratellanza di sentimenti, in una posizione molto vantaggiosa e ha ottenuto un grande successo. Se, inoltre, questa famiglia annovera anche tra i suoi antenati diversi personaggi illustri, la sua influenza è ancora maggiore.[32]
Non sto dicendo che essere un cristiano oggi sia dannoso per il senso di parentela. Non lo è, ovviamente, perché il Cristianesimo è stato a lungo una roccaforte del conservatorismo. Ma non c'è nulla nella fede cristiana che sia intrinsecamente favorevole alla solidarietà razziale – o alle differenze di genere, se è per questo. Il Dio cristiano, che conosce solo individui — a differenza del Dio ebraico, che conosce solo tribù e nazioni —, sarà di scarso aiuto nelle lotte a venire.
D'altra parte nemmeno Darwin ci salverà. I "realisti razziali" darwiniani si sbagliano grandemente se pensano che la loro teoria possa instillare nelle masse l'amore per la loro razza - o un qualsiasi tipo di significato alla loro vita. Ho spiegato in "Sangue e anima: un saggio di metagenetica" perché considero il darwinismo, non solo una scienza obsoleta, ma un disastro culturale. Essere un darwiniano coerente significa credere che gli esseri umani siano esseri puramente materiali, assemblaggi casuali di molecole autoreplicanti, evolutisi dai batteri unicellulari per una serie indefinita di incidenti chimici. Inoltre, un'altra indiscutibile "verità" del darwinismo, e il suo messaggio principale alle masse, è che i nostri antenati fossero scimmie africane. Come può allora il paradigma darwiniano aiutarci a ricostruire un rapporto verticale con i nostri antenati? La venerazione degli antenati significa parlare con essi per esprimere gratitudine e chiedere protezione e guida, ma un darwiniano ha riempito la nostra mente con l'assoluta certezza che i nostri antenati morti non hanno esistenza. Proprio come il Cristianesimo non può essere una soluzione al problema che ha creato, Il darwinismo non può essere una soluzione alla mentalità materialista e individualista che contribuisce molto ad amplificare. Posso solo qui ripetere la profezia di Nietzsche secondo cui, se le idee di Darwin sono state "spinte sulla gente nel solito modo folle per un'altra generazione, nessuno deve sorprendersi se quella gente affoga nei suoi piccoli miserabili banchi di egoismo, e si pietrifica nel suo egocentrismo". Si noti che Nietzsche non condannò la teoria dell'evoluzione, ma solo la sua riduzione darwiniana a mutazioni casuali. Era più o meno un vitalista, come Schopenhauer che denunciava la stupidità di ridurre la “Natura organica . . . a un mero gioco casuale di forze chimiche”. [33]
In conclusione, spero di aver dimostrato che una panoramica storica e antropologica molto basilare è sufficiente per giungere alle conclusioni oggettive che, in primo luogo, la venerazione degli antenati è stata, ed è tuttora in Asia, un fondamento spirituale vitale per le società organiche, e in secondo luogo, che la distruzione dell'antenata religione romano-tedesca da parte del Cristianesimo lascia ora la razza bianca totalmente indifesa nella guerra antropologica condotta contro di essa.
Non sto suggerendo che, se un numero sufficiente di famiglie invitasse i propri antenati a pranzo, questo potrebbero salvare la nostra civiltà. La Ghost Dance non salvò i Sioux nel 1890 [34]. E nel 1854, il Capo Seattle dei Suquamish che adoravano gli antenati dovette arrendersi, dicendo:
Ancora poche lune, ancora pochi inverni, e nessuno dei discendenti dei potenti eserciti che un tempo si muovevano su questa vasta terra o vivevano in case felici, protetti dal Grande Spirito, resterà a piangere sulle tombe di un popolo un tempo più potente e pieno di speranza della tua. . . . E quando l'ultimo Uomo Rosso sarà morto, e il ricordo della mia tribù sarà diventato un mito tra gli Uomini Bianchi, queste rive brulicheranno dei morti invisibili della mia tribù. . . L'Uomo Bianco non sarà mai solo. Sia giusto e tratti benevolmente il mio popolo, perché i morti non sono impotenti. Morto, ho detto? Non c'è morte, solo un cambiamento di mondi.
Ma immagino il futuro mondo occidentale come un caos sociale e morale in cui la sopravvivenza, la sanità mentale e la felicità dipenderanno dalla capacità di costruire clan sani e forti, il che suppone una fondazione religiosa che sostenga la sacralità del sangue e della parentela e la lealtà verso antenati, con o senza Cristianesimo.
Nel caso in cui ti chiedi se io stesso pratico la venerazione degli antenati, la risposta è: sì, in qualche modo. Vorrei condividere con voi il fatto che vedere me stesso - e i miei genitori - come membri di una comunità di anime in difficoltà, ha dato alla mia vita una dimensione in più. Ma questa è una storia troppo personale. Posso solo consigliare l'esperimento.
Note:
[1] William Hearn, The Aryan Household, its Structure and its Development , 1879, pp. 26-29.
[2] Triin Laidoner, Ancestor Worship and the Elite in Late Iron Age Scandinavia: A Grave Matter, Routledge, 2020.
[3] Lewis Richard Farnell, Greek Hero Cults and Ideas of Immortality (1921) Adamant Media Co., 2005, p. 343. Un'altra importante opera classica sull'argomento è Erwin Rohde, Psyche: The Cult of Souls and the Belief in Immortality between the Greeks, 1925.
[4] Martin P. Nilsson, Greek Popular Religion, Columbia UP, 1940. Nilsson mostra che gli eroi erano i soggetti delle storie di fantasmi, come altri morti. Più recentemente, Carla Antonaccio, in An Archaeology of Ancestors: Tomb Cult and Hero Cult in Early Greece (Rowman and Littlefield, 1995), ha mostrato che nel periodo in cui furono scritti i Vangeli, la Grecia era "satura di eroi" (p. 1 ).
[5] Jan Assmann, Mort et Au-delà dans l'Égypte ancienne , Rocher, 2003.
[6] Pierre Deffontaines, Géographie et religions, Gallimard, 1948.
[7] Hans Belting, Pour une anthropologie des images, Gallimard, 2004.
[8] Frands Herschend, “Material Metaphors – some Late Iron Age and Viking Examples,” in Margaret Clunies Ross, a cura di, Old Norse Myths, Literature and Society, University Press of Southern Denmark, 2003, pp. 40-65.
[9] Le maschere mortuarie venivano usate per far parlare i morti, come ancora raccontava dei funerali di Cesare Appiano d'Alessandria (2.146-147).
[10] L'espressione è tratta da Jan Assmann, Of God and Gods: Egypt, Israel, and the Rise of Monotheism, University of Wisconsin Press, 2008.
[11] Teodosio nacque e crebbe in Hispania Carthaginensis, dove suo padre (morto a Cartagine) era un potente proprietario terriero. I fenici iberici sono i probabili antenati degli ebrei sefarditi.
[12] Michel Lauwers, La Mémoire des ancêtres. Le souci des morts. Morts, rites et société au Moyen Âge (Diocèse de Liège, XI e -XIII e siècles) , Beauchesne, 1997, p. 79.
[13] Dominique Iogna-Prat, Ordonner et exclure. Cluny et la société chrétienne face à l'hérésie, au judaïsme et à l'islam, 1000-1150 , Aubier, 1998.
[14] Peter Brown, The Cult of the Saints: Its Rise and Function in Latin Christianity, University of Chicago Press, 1981.
[15] Laurent Guyénot, La Mort féerique. Anthropologie du merveilleux (XII e – XV e siècle), Gallimard, 2011.
[16] Philippe Ariès, L'Homme devant la mort, tomo 1: Le Temps des gisants, Seuil, 1977.
[17] Questa è una estremizzazione di Matteo 10:37: “Nessuno che mi preferisce un figlio o una figlia è degno di me”.
[18] Louis Dumont, Essays on Individualism: Modern Ideology in Anthropo¬logical Perspective, University of Chicago Press, 1992, pp. 23-59.
[19] Edward Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, vol. I, chapter XV, part 5, su ccel.org .
[20] Bernadette Filotas, Pagan Survivals: Superstitions and Popular Cultures in Early Medieval Pastoral Literature , Toronto, Pontificio Istituto di Studi Medievali, 2005.
[21] James C. Russel, The Germanization of Early Medieval Christianity: a Sociohistoric Approach to Religious Transformation, Oxford University Press, 1994, p. vi.
[22] Bonnie Effros, Merovingian Mortuary Archaeology and the Making of the Early Middle Ages, University of California Press, 2003.
[23] Notwithstanding what Peter Brown claimed in The Cult of the Saints, molti Santi locali in Europa erano eroi o divinità precristiane con una nuova biografia.
[24] Questa sezione sul Vaticano II tratta da Patrick Buisson, La Fin d'un monde Albin Michel, 2001. Buisson scrive, p. 228: «la scelta della Chiesa in favore di una lotta implacabile contro le superstizioni ha infine favorito la scristianizzazione disincarnando la vita religiosa, privandola di ciò che la rendeva espressione del sensibile e del sentimentale, una persistenza di strutture mentali arcaiche».
[25] Kevin MacDonald, A People That Shall Dwell Alone: Judaism as a Group Evolutionary Strategy , Praeger, 1994, kindle 2013, e. 2557-58.
[26] Benzion Netanyahu, The Founding Fathers of Zionism (1938) , Balfour Books, 2012, kindle ed, e. 2203-7.
[27] Citato da Brendon Sanderson nella sua recensione di Geoffrey Cantor e Mark Swetlitz's Jewish Tradition and the Challenge of Darwinism, in The Occidental Observer .
[28] Il Deuteronomio vieta l'attività di “indovino, augure o stregone, tessitore di incantesimi, consultatore di fantasmi o medium, o negromante. Perché chiunque fa queste cose è abominevole per il Signore tuo Dio” (18:11-12). Il Levitico conferma: “Non ricorrere agli spiriti dei morti né ai maghi; ti contamineranno. Io, Yahweh, sono il tuo Dio» (19:31). Chi viola questa regola deve essere messo a morte (20,6-7 e 27). Isaia condanna coloro che consultano "fantasmi e maghi che sussurrano e mormorano" o "i morti per i vivi" (8:19). Yahweh rimprovera il suo popolo perché «mi provoca costantemente davanti alla mia faccia offrendo sacrifici nei giardini, bruciando incenso sui mattoni, abitando nei sepolcri, trascorrendo la notte in angoli oscuri» (65:3-4). Leggi Susan Niditch, Ancient Israelite Religion, Oxford University Press, 1997.
[29] Arthur Schopenhauer, Parerga and Paralipomena ( 1851), Oxford UP, 1974, vol. 1, pp. 125-126. Ha ripetuto, nel vol. 2, pag. 301: “E così, a questo riguardo, vediamo la religione degli ebrei occupare il posto più basso tra i dogmi del mondo civilizzato, il che è del tutto in linea con il fatto che è anche l'unica religione che non ha assolutamente alcuna dottrina dell'immortalità, né ne ha nemmeno traccia”.
[30] Harry Waton, A Program for the Jews and an Answer to All Anti-Semites: A Program for Humanity, 1939 (archive.org), p. 133.
[31] Sidonia, alter ego di Disraeli, in Coningsby (1844).
[32] Ibn Khaldoun, Les Prolégomènes, traduits en français et commentés par William MacGuckin, 1863, parte I, pp. 281-283, leggere su http://classiques.uqac.ca/classiques/Ibn_Khaldoun/Ibn_Khaldoun.html
[33] Le citazioni complete sono nel mio articolo "Blood and Soul: An saggio in Metagenetics".
[34] È interessante notare che l'antropologo Weston La Barre ha usato la Ghost Dance come simbolo per la teoria secondo cui il rapporto con gli antenati morti è il fondamento delle società tradizionali (The Ghost Dance: The Origins of Religion , 1970).
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