Analisi - L'aumento del prezzo del petrolio colpisce i paesi ricchi, ma in modo ancora più drammatico i paesi africani non produttori, dove aumentano fame e rabbia popolare. Ma l'Africa è anche terra di paradossi: produce oramai l'11% del petrolio mondiale, ma partecipa al consumo mondiale di energia solo con un 3%, concentrato in paesi non produttori.
L'editoriale del numero di dicembre 2007 di Afrique Asie, tradotto da ossin.

 



 

Afrique Asie, dicembre 2007
 


Editoriale: Lo shock petrolifero

 

Lo shock petrolifero attuale è paragonabile a quello del 1973 o del 1980? Per i paesi dell’OCDE non è così. Prima di tutto perché è stato graduale, contrariamente allo storico shock del 1973 che ha provocato una forte recessione economica, soprattutto in Europa. Inoltre, essendo il prezzo del barile fissato in dollari, l’aumento è molto meno sensibile per i paesi dell’euro, che continua a rivalutarsi rispetto alla divisa nordamericana. Globalmente, la crescita economica dei paesi sviluppati è, oggi, meno sensibile al prezzo del petrolio. Perfino in Cina, che non può essere indifferente all’aumento della sua bolletta petrolifera, la crescita economica non dovrebbe troppo risentirne, perché essa dipende da un insieme di fattori, tra cui il mantenimento di un tasso di cambio favorevole alle esportazioni.
La situazione è molto diversa per i paesi in via di sviluppo non produttori, soprattutto nell’Africa sub sahariana. Alcuni hanno tentato di sostenere il prezzo del carburante attraverso sovvenzioni, ma i loro budget non possono a medio termine sopportare tali costi. Volendo evitare eccessivi deficit di bilancio, il Senegal ha per esempio deciso di non intervenire più sul prezzo del petrolio. La sua bolletta petrolifera, che era già più che raddoppiato dal 2002 al 2005, cresce ancora vertiginosamente.
Il rincaro del petrolio si ripercuote sui prodotti di prima necessità, per i quali il costo del trasporto si fa sempre più oneroso, e questo in modo ancora più drammatico per i paesi interni. Già messo a dura prova da diversi fattori congiunturali e strutturali, il potere di acquisto nei paesi africani non produttori è in costante calo. Le conseguenze sono fin d’ora destabilizzanti su di un buon numero di questi paesi, dove si moltiplicano le manifestazioni di malcontento e di rabbia. Colmo del paradosso. Mentre negli anni ’80 era stato il calo vertiginoso del prezzo del petrolio che aveva provocato il tracollo dei piani di sviluppo di numerosi paesi del Sud, oggi è l’aumento ingiustificato di questo prodotto che potrebbe portare con sé gli stessi effetti devastanti.
Eppure i prodotti e le attività derivate dall’oro nero hanno costituito nel 2003 il 23% del prodotto interno lordo dell’Africa centrale ed il 76% delle esportazioni della regione. Percentuali che continuano ad aumentare con la crescita della produzione in Guinea Equatoriale o in Angola. L’Africa è così diventata una posta mondiale, una regione di approvvigionamento strategico di energia, sia per i paesi occidentali che per quelli emergenti. Oramai tallona l’Arabia Saudita: tra il 1990 e il 2004, la sua produzione è passata da 7 a 10 milioni di barili al giorno e dovrà aumentare del 50% da qui al 2010, grazie ad investimenti di qualche decina di miliardi di dollari.
Ma nello stesso tempo in cui il continente africano assicura l’11% della produzione mondiale, raggiunge solo il 3% della consumazione mondiale di energia, per la maggior parte nei paesi del Nord Africa e dell’Africa del Sud. La situazione così è paradossale: senza fonti moderne di energia, punto di sviluppo durabile per l’Africa. Poco o niente nei paesi produttori dell’Africa subsahariana , dove le risorse petrolifere, che hanno generato forti disuguaglianze e tensioni sociali, non hanno sempre gettato le basi di uno sviluppo reale ed un tantino durabile. 
 
 

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