L’invecchiamento dell’Europa e l’immigrazione
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L’Expression 16 dicembre 2008
L’invecchiamento dell’Europa e l’immigrazione
La popolazione europea sta invecchiando e si stima che di qui al 2050 il 30% avrà più di 65 anni
L’invecchiamento dell’Europa e l’immigrazione afro-maghrebina verso l’Europa sono due fenomeni strettamente, addirittura intrinsecamente legati. La popolazione europea sta invecchiando e si stima che, di qui al 2050, il 30% avrà più di 65 anni (Proiezione Eurostat 2004/2050).
Considereremo come causa di questo invecchiamento l’aumento della speranza di vita e la riduzione della natalità e della fecondità.
L’Europa, che conta oggi 495 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali sono distribuiti tra la Germania (80 milioni di cui l’8,8% è composto da stranieri), la Francia (60 milioni di cui l’8% è di stranieri), l’ Italia (57,8 milioni di cui il 4,6% è di stranieri) e la Gran Bretagna (57,5 milioni di cui il 5,2% è di stranieri), sta veramente invecchiando e questo comporterà inesorabilmente grandi difficoltà, in termine di squilibrio economico e sociale, prodotto dalla diminuzione della popolazione attiva, dalla difficoltà di reclutamento nei settori che non possono essere delocalizzati, con un inevitabile declino di loro tassi di crescita. E’ questa considerazione che ha spinto paesi come la Francia, la cui percentuale di ultrasessantenni era nel 2005 del 20,85 ed aumenterà nel 2050 al 27,2%, a discutere della questione dell’”immigrazione di sostituzione”.
In un rapporto pubblicato nel 2006 dal Centre d’analyse stratégique del governo francese, intitolato “Bisogno di mano d’opera e politica migratoria”, viene posto il problema se sia possibile frenare l’invecchiamento demografico con l’immigrazione di sostituzione. E viene indicato che è proprio la necessità di attenuare il più possibile gli annunciati effetti negativi dell’invecchiamento demografico sull’attività economica che è all’origine del dibattito sull’immigrazione di sostituzione.
Un intervento sui flussi di entrata piuttosto che sui tassi di fecondità presenta il doppio vantaggio di essere più governabile dalle autorità pubbliche e di avere un effetto immediato. A questo obiettivo demografico quantitativo, si è poi aggiunta la preoccupazione di un controllo qualitativo dei flussi di entrata. L’avvio di una procedura di selezione dovrebbe favorire l’arrivo di immigrati qualificati, che si suppone possano integrarsi più facilmente nel mercato del lavoro e possano apportare un contributo molto positivo alle finanze pubbliche.
Un altro argomento milita a favore delle politiche selettive. L’attuale evoluzione demografica fa temere notevoli squilibri nelle finanze pubbliche, in assenza di politiche correttive. Un massiccio ingresso di immigrati, oltre al positivo effetto demografico diretto, produrrà effetti positivi anche nelle finanze pubbliche, tanto più questi saranno altamente qualificati. La loro contribuzione netta (imposte e tasse versate detratte le prestazioni ricevute) è a qualunque età quasi sempre positiva e di un ammontare largamente superiore a quella di un immigrato poco o mediamente qualificato. Non vi sarebbero dunque che vantaggi economici da ricavare da una politica migratoria di sostituzione selettiva (Rapporto del Centre d’analyse stratégique).
Possiamo comprendere, attraverso questa analisi, valida anche per gli altri paesi dell’Unione, che un intervento sui flussi migratori piuttosto che sui tassi di fecondità è più adatto ad arginare i problemi economici derivanti dall’invecchiamento della popolazione francese, dato che questa soluzione sarebbe immediata e che sarà sufficiente selezionare degli stranieri qualificati nel loro paese di origine in funzione dei bisogni di reclutamento, di accordare dei visti che permetteranno loro di stabilirsi, lavorare e, sotto un altro profilo, di apportare una contribuzione effettiva alle finanze dello Stato col pagamento di imposte e di tasse, come contropartita delle loro attività salariate. Contrariamente a quanto accade con la categoria degli stranieri che entrano nell’ambito della immigrazione familiare e che vedono irrigidirsi sempre più la legislazione in materia di ricongiungimento familiare. Ciò perché questi ultimi, meno qualificati, sono più in grado di beneficiare delle prestazioni sociali che di contribuire al funzionamento dell’economia.
Un simile processo di selezione è già stato recentemente avviato a Bamako, in Mali, con la creazione di un Centre d’information et de gestion des migrations (Cigem), agenzia specializzata in materia di impiego, finanziata dall’Unione Europea, il cui obiettivo è di contribuire alla definizione ed attuazione di una politica migratoria del Mali adattata alle dinamiche nazionali, regionali e internazionali in costante evoluzione, con un’attenzione particolare ai rapporti tra migrazione e sviluppo (www.cigem.org).
Questo tipo di agenzia, che dovrebbe trovare applicazione generalizzata in diversi paesi africani, è nata dalle conferenze euro-africane sulla migrazione e lo sviluppo tenute a Rabat nel luglio 2006 e a Parigi nel novembre 2008, nel corso delle quali i paesi dell’Unione europea, che a torto trattano i problemi delle migrazioni come questioni di sicurezza, hanno confermato agli Stati africani l’opzione europea di “un’immigrazione selettiva che privilegi l’ingresso di lavoratori altamente qualificati pur cercando di prevenire la fuga dei cervelli”. Cosa che sembrerebbe totalmente contraddittoria giacché si sa che la maggior parte degli stranieri del sud che s’installano in Europa non ritornano nei loro paesi di origine. Dal momento che, per gli immigrati legali attivi, le differenze di salario, delle condizioni di lavoro e di vita sono enormi e, per quelli che vivono in clandestinità, il timore di non potere più ritornare in caso di rientro volontario nel paese di origine per via dell’irrigidimento delle condizioni di ingresso e di regolarizzazione amministrativa nello spazio Schengen li spingono a restare in Europa come clandestini.
In proposito il Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, adottato nell’ottobre 2008, invita gli Stati membri dell’Unione ad avviare, nel rispetto delle priorità comunitarie, con i mezzi che sembrino loro più appropriati, delle politiche di immigrazione professionali che tengano conto dei bisogni del mercato del lavoro conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di rafforzare la capacità di attrarre i lavoratori altamente qualificati nell’Unione Europea (…) ed a rafforzare la cooperazione degli Stati membri con i paesi di origine e di transito per la lotta contro l’immigrazione irregolare, vigilando per un effettivo allontanamento degli stranieri in situazione irregolare, invitando tutti gli Stati membri ad impegnarsi per l’effettiva applicazione di questo principio e riconoscendo le decisioni di allontanamento assunte dagli altri Stati membri.
Si raccomandano altresì politiche che incentivino il ritorno volontario.
Questa nuova politica migratoria dell’Europa determinata dall’invecchiamento della sua popolazione, che non tarderà ad essere ben rodata, porterà senza dubbio ad assorbire le professionalità dei paesi del Sud per rimediare alle difficoltà economiche che derivano dall’invecchiamento della popolazione. E ciò attraverso il rafforzamento di una immigrazione selettiva – immigrazione scelta – fondata su aspetti qualitativi (stranieri altamente qualificati), e non più quantitativa – immigrazione subita (stranieri che entrano nell’ambito della immigrazione familiare). Tutto questo a detrimento della cooperazione per lo sviluppo, perché quando si svuota un paese o un continente delle sue ricchezze, in particolare della sua giovinezza, dei suoi ingegneri, dei suoi medici, dei suoi architetti, dei suoi consulenti… è lo stesso sviluppo che viene compromesso.
I paesi del Nord non sono però da biasimare tanto su questo punto, quanto piuttosto per ciò che riguarda la politica restrittiva sull’immigrazione familiare, alla luce di quanto disposto dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, soprattutto dall’art. 8 che recita: “ciascuno ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare” e che conferma il diritto di ogni uomo, quale che sia la sua nazionalità, a vivere col coniuge e i suoi figli (gli Stati europei tendono attualmente a restringere questo diritto). Essi non fanno che preservare i loro interessi e quelli dei loro cittadini tentando di perpetuare un modello economico con l’apporto di una mano d’opera straniera altamente qualificata che possa attenuare gli effetti negativi dell’invecchiamento demografico, poco importandosene del fatto che la stessa mano d’opera potrebbe contribuire allo sviluppo dei paesi del Sud. E’ la legge del migliore offerente che apporterà ai paesi la mano d’opera che verrà loro a mancare nei settori di impiego che non possono essere delocalizzati, ed allo stesso tempo a selezionati emigrati del Sud il lavoro, le condizioni di lavoro e i salari cui non potrebbero aspirare nonostante l’alta qualificazione. Si tratta di una convergenza di fattori, in l’attrazione dei paesi dell’Europa (Pull Factor) si coniuga ai fattori che spingono le persone ad allontanarsi dai loro paesi (Push Factor).
Fino a che i governi del Sud non avranno compreso le regole e la posta in gioco, essi non potranno né giudicare né misurare la necessità assoluta di avviare un buon governo che sia in grado di garantire lavoro e salari decenti ai cittadini. E’ per colpa della loro incompetenza, della incapacità di darsi prospettive e spesso della povertà intellettuale che hanno finito per contribuire al fenomeno dell’emigrazione ed a svuotare il Sud delle migliori ricchezze: il loro popolo, altamente qualificato o non. E certamente non sarà sanzionando penalmente i tentativi di emigrazione clandestina o facendo dei discorsi politici autocompiaciuti che alterano la realtà di un quotidiano sociale poco brillante che riusciranno a frenare la sete e la tentazione di un avvenire migliore, sfortunatamente sotto altri cieli e spesso con pericolo di vita.
Ali Hammoutène