Analisi, agosto 2009 - Il capo della diplomazia USA, Hillary Clinton sta effettuando da qualche giorno una tournée in sette paesi africani nell’ambito della cooperazione “paritaria” col continente avviata dal presidente USA. Un modo di andare alla riconquista di un continente che hanno sempre trascurato







Stati Uniti/Africa


La grande offensiva


(Nouvel Horizon, Dakar - Senegal, 7/13 agosto 2009)

 


Il capo della diplomazia USA, Hillary Clinton sta effettuando da qualche giorno una tournée in sette paesi africani nell’ambito della cooperazione “paritaria” col continente avviata dal presidente USA. Un modo di andare alla riconquista di un continente che hanno sempre trascurato.


 

Yacine Seydi Kane


 

Il giro comincia in Kenya, poi in Africa del sud, Angola, Repubblica democratica del Congo (DC), Nigeria, Liberia, per finire a Capo Verde.  Questa grande tournée del segretario di Stato fa seguito alla visita-lampo del presidente Barack Obama il 10 e 11 luglio scorsi in Ghana, nel corso della quale aveva parlato di un impegno nordamericano ad un partenariato con l’Africa basato sulla responsabilità ed il mutuo rispetto. La tournée tocca sette paesi dell’Africa sub sahariana, dove s’è molto accresciuta in questi ultimi anni l’influenza della Cina. Si tratta del più lungo viaggio di Hillary Clinton dopo la sua nomina alla testa della diplomazia USA a inizio d’anno, e certamente di uno dei più delicati.  Oggi Hillary Clinton ha il difficilissimo compito di trovare le parole giuste per convincere i suoi interlocutori che non è venuta per fare loro la lezione, tre settimane dopo l’appello lanciato da Barack Obama durante la visita in Ghana. Il presidente USA ha un bel dire che il continente africano costituisce una delle priorità della sua politica estera, ma questa professione di fede lascia scettici parecchi dirigenti della regione, che vedono ancora tutte le energie e gli investimenti della Casa Bianca rivolgersi a questioni come la crisi economica, l’Afghanistan o il Medio oriente, piuttosto che verso il loro continente.

Inoltre i capi di stato e di governo del continente nero aspettano qualcosa di più che semplici promesse. Vogliono impegni precisi e stanziamenti in materia di investimenti. Dei sette paesi scelti da Hillary Clinton, tre – la Nigeria, l’Africa del sud e l’Angola – figurano tra le prime potenze economiche del continente. C’è da chiedersi quali sono le ragioni per questa ripresa di interesse per un’Africa che, fino ad oggi, è stata trascurata dagli Stati Uniti.


 

L’Africa, parente povera della politica estera USA

Dalla nascita della Federazione americana  alla seconda guerra mondiale,  la politica estera USA verso l’Africa è stata caratterizzata da una sorta di trascuratezza e indifferenza, che si è rafforzata senza cambiamenti nel corso degli anni. Perché, all’indomani della seconda guerra mondiale, tra il 1947 ed il 1989,al centro della politica africana degli Stati Uniti vi è stata soprattutto la lotta contro l’espansione del comunismo.  Quel che è peggio, dopo la caduta del muro di Berlino, George Bush senior ha assunto la presidenza senza avere alcuna strategia per il continente africano. Conseguentemente il nuovo ordine mondiale che ha tentato di mettere in piedi ha escluso completamente l’Africa, che aveva perso ai suoi occhi la sua importanza geopolitica dopo l’implosione dell’URSS. Bisognerà attendere gli otto anni di presidenza di Bill Clinton per un riavvio, od un avvio secondo alcuni, delle relazioni tra Stati Uniti e Africa. Il continente nero non aveva mai, fino ad allora, realmente  attirato l’attenzione di Washington, che ha sempre rivolto tutta la sua attenzione all’Europa, al Medio Oriente, all’America Latina, e più recentemente all’Asia.  E’ la ragione per la quale la Casa Bianca non ha mai realmente esercitato la sua leadership sul continente africano, perché disinteressata ad esso.  E’ così  che le prime iniziative dell’Amministrazione Clinton in Africa sono state soprattutto interventi in situazioni di crisi. Si sono risolte in fallimenti in Somalia e in Liberia, tanto sul piano militare che politico. E taluni esperti avevano anche previsto un ritiro di Washington dalla scena africana. Invece si è dimostrato che, proprio dopo questi avvenimenti, l’Africa è diventata un dossier più importante per Washington.

E’ stato verso gli anni ’90 che il continente africano ha cominciato a destare l’interesse degli investitori USA a causa delle materie prime ed i prodotti energetici di cui è ricca. Tanto da diventare in pochi anni tra i principali partner commerciali dell’Africa. Nel 1993 l’Amministrazione Clinton ha privilegiato gli interessi petroliferi ai danni del movimento democratico in Nigeria. Infatti quando il generale Sani Abacha ha preso il potere con le armi nel novembre 1993, Washington ha continuato a comprare il petrolio nigeriano nella misura di un mezzo milione di barili al giorno, vale a dire l’8% di tutte le importazioni nordamericane di petrolio in quell’anno.  E ciò proprio mentre i difensori dei diritti umani e della democrazia in Nigeria e la comunità internazionale chiedevano un embargo petrolifero USA.

George W. Bush  è diventato presidente senza avere né conoscenza né interesse per la politica internazionale. E il continente africano è caduto nel più completo oblio nelle relazioni degli USA con la comunità internazionale. Infatti, durante il secondo dibattito Bush-Gore nel corso della campagna elettorale, Bush non ha esitato a dichiarare che il continente nero non è una priorità per gli Stati Uniti, a differenza dell’Europa, dell’Asia e del Medio oriente e le Americhe, che sono strategicamente più importanti.  Durante la sua presidenza, Bush si è occupato esclusivamente della guerra al terrorismo e ha  subito concluso che i paesi africani sono più un terreno potenzialmente propizio per lo sviluppo di attività terroriste che una terra di opportunità. Così per otto anni gli Stati Uniti hanno perso piede nel continente africano, mentre l’unilateralismo USA produceva effetti nefasti sull’immagine di Washington in questa regione, come del resto in tutto il mondo. Oggi sembra chiaro che l’amministrazione Obama ha bisogno di riconquistare l’Africa. E’ sotto questo angolo di visuale che bisogna analizzare il “nuovo partenariato”. L’abbondanza delle ricchezze naturali dell’Africa, il petrolio in particolare, sono le ragioni del riposizionamento della diplomazia USA.

 

Un nuovo partenariato per contrastare l’influenza cinese

Oggi gli USA devono fare i conti con un nuovo attore, la Cina, che fatto grandi passi avanti in Africa negli ultimi anni. La Cina intrattiene relazioni strette con l’Africa sub sahariana, soprattutto nell’ambito degli scambi economici e commerciali. Pechino è diventata per forza di cose un protagonista in Africa sub sahariana  e Barack Obama ne è pienamente consapevole. I massicci investimenti cinesi in Africa hanno reso la Cina più popolare degli Stati Uniti. Attualmente, se Obama beneficia di una immagine eccezionale sul continente dove vive parte della sua famiglia, la Cina è il paese che porta ciò di cui gli Africani hanno più bisogno: degli investimenti massicci. E su questo terreno, la crisi economica che ha colpito gli Stati Uniti non lascia prevedere una ripresa massiccia degli investimenti USA. Anche la presenza demografica cinese gioca un ruolo importante nella strategia di Pechino sul continente africano.

La Cina vede nell’Africa un serbatoio di materie prime (come il carbone dell’Africa del Sud o i minerali del Gabon) ed uno sbocco per la sua industria manifatturiera. Così oggi in Africa vi sarebbero più di 150.000 Cinesi. Questa forte presenza non è solo costituita da numerosi piccoli commercianti, ma anche dall’enorme contingente dei dipendenti delle imprese cinesi che, una volta terminata la loro missione, scelgono a volte di restare nel continente, dove sono generalmente bene accetti. E tutto questo concorre a fare della Cina un paese più popolare degli Stati Uniti in Africa, soprattutto in Ghana. Stando così le cose, malgrado le apparenze, il compito del primo presidente USA originario del continente africano non sarà cosi semplice in Africa. La politica estera USA verso l’Africa è una politica opportunista, priva di etica e paternalista. E’ economicamente poco redditizia per l’Africa, perché l’interesse economico statunitense resta per loro il solo fondamento di ogni trattativa o accordo economico. 


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