Il volto oscuro dell'Occidente
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Il volto oscuro dell’Occidente
(Afrique Asie, giugno 2009)
All’indomani dell’11 settembre i media occidentali si erano posti questa domanda falsamente ingenua: “Perché ci odiano?”. Dopo l’operazione “piombo fuso” contro Gaza, scatenata da uno Stato di Israele considerato dai suoi teorici come “un ponte avanzato dell’occidente nel mondo arabo”, il cronista inglese Robert Fisk ha indirettamente risposto su The Independent: “E ci chiediamo ancora perché ci odiano?”
Qualche settimana prima di Gaza, Jean Ziegler ha preso posizione nel dibattito, pubblicando un libro dal titolo evocatorio e provocatorio: L’odio dell’Occidente. George Corm si spinge ancora oltre nella spiegazione del fenomeno nel suo nuovo saggio, L’Europa e il mito dell’Occidente, che farà certamente epoca. “Come e perché – scrive – una semplice nozione geografica, quella di Occidente, è diventata un assioma organizzatore dell’intera visione del mondo”. E si domanda legittimamente: “Da Mozart a Hitler, che cosa è successo?”
In questo dossier dedicato al volto oscuro dell’Occidente, l’autore ha risposto alle nostre domande sulla stessa genesi di questa nozione, la sua nuova funzionalità, le sue derive e le sue abiure… Demistificando l’inganno dello “scontro di civiltà”, ci dimostra come “ i germi della potenza europea si trovino nell’eccezionale intensità delle sue relazioni con le altre civiltà, fin dall’Alto Medio Evo: è stata questa continua fecondazione delle culture europee a rendere possibile la rivoluzione di Galileo, gli enciclopedisti ed il secolo dei Lumi, oltre alla rivoluzione industriale…”
Poiché mette in discussione anch’essa questo mito, in questo dossier deve figurare anche l’ultima opera del romanziere Amin Maalouf, Le Dérèglement du monde.
Infine una intervista con Aymeric Chauprade, professore di geopolitica francese all’Ecole de guerre dal 1999 al 2001, vittima della strategia atlantista della Francia e del pensiero unico. Ed una analisi dell’economista ed intellettuale algerino Ahmed Benzelikha, intitolata “Omar e l’Occidente”.
Parte prima
“Bisogna restituire credibilità all’ideale democratico”
Intervista a cura di Augusta Conchiglia, Corinne Moncel e Majed Nehmé
E’ un intellettuale di quelli che ci piacciono: erudito, uomo di convinzioni e di azione. E non sarà certamente il suo ultimo libro, L’Europe et le mythe de l’Occident (Ed. La Découverte, 2009) che ci farà cambiare opinione su George Corm. Questo Libanese nato ad Alessandria nel 1940 vi analizza con vivacità la costruzione del mito dell’Occidente per poterlo meglio demolire.
Parliamo per prima cosa dell’erudito: a 21 anni, George Corm si diploma all’Istitut d’études politiques di Parigi in economia e finanze, e l’anno successivo si laurea in diritto privato, prima di sostenere il dottorato in diritto costituzionale (1969) con il plauso della commissione. Ma è tanto appassionato di storia, filosofia e anche sociologia politica, che continuerà ad approfondire queste discipline, nel corso del suo insegnamento in diverse università libanesi dal 1969 ad oggi – attualmente è professore all’università Saint-Joseph a Beirut. Autore di undici opere soprattutto dedicate alla storia del Medio oriente, si ricordano tra l’altro Le Proche-Orien eclaté (1956-2007) (Gallimard), Orient-Occident, la fracture immaginaire (La Découverte, 2006), La Question religieuse XXI° siècle. Géopolitique et crise de la post-modernité (La Découverte, 2006). Deve anche ricordarsi, sperduto in questa massa di erudizione, un breve romanzo: La Mue (Noel Blandin), pubblicato nel 1989. Geroge Corm è anche uomo di convinzioni. Le grandi convulsioni del medio oriente e soprattutto la terribile guerra civile del suo paese ch’egli ha vissuto intensamente, lo hanno ancor più determinato a difendere la costruzione di uno Stato nazionale e laico per evitare la conflittualità tra clan identitari o confessionali indeboliti, E non ha mai rinnegato questa convinzione, neppure di fronte alla tendenza al ripiegamento comunitario oggi così diffusa.
L’intelletualie, infine, non ha mai voluto restare chiuso nella sua torre d’avorio. E’ anche un uomo d’azione il cui credo è sempre stato: agire per far andare avanti le cose. E’ perciò che, parallelamente alla ricerca ed all’insegnamento, George Corm ha messo a disposizione le sue competenze di specialista del medio oriente e del mediterraneo come consulente di organismi internazionali e istituzioni finanziarie. Alla fine del 1998 egli ha accettato l’incarico di ministro delle Finanze in Libano, una esperienza che durerà fino all’ottobre 2000. Si deve a lui una riforma fondamentale delle finanze pubbliche con l’avvio di un piano di risanamento finanziario (1999-2004), il pagamento degli arretrati dello Stato al settore privato ed un abbassamento sostanziale dei tassi di interesse.
E’ questo “Rambo” della riflessione, che ha sempre la risposta pronta, che oggi intervistiamo. I nostri lettori vi troveranno molti motivi di riflessione.
DOMANDA: Si usano molto le espressioni “Europa”, “Occidente”, senza sapere veramente bene che cosa indicano. L’Occidente è oggi una nozione operativa e pertinente? Lo è mai stata?
RISPOSTA: No, non l’è mai stata, è una nozione relativamente moderna. E’ stata coniata dalla filosofia tedesca, soprattutto Hegel e Weber. Ha designato in un primo momento, in Europa, l’opposizione tra l’Occidente della filosofia dei Lumi franco-inglese e l’Europa dei vecchi regimi che volevano conservare i valori religiosi e la gerarchia sociale contro l’Occidente democratico e materialista. Il primo grande dibattito nasce all’interno dell’Europa stessa. Si svolge intorno al concetto di Occidente, provoca la prima guerra mondiale e prepara il terreno alla seconda. E’ una nozione che ha prodotto enormi violenze e che continua a farlo perché oggi il termine Occidente è diventato una nozione esclusivamente geopolitica. Esso designa i paesi dell’OCDE e soprattutto della NATO, che si ammantano di un sistema estremamente confuso di valori detti oggi “giudaico-cristiani”. Anche questa è una innovazione concettuale, solo fino a quarant’anni fa questo termine era riservato alle prime sette o comunità di cristiani che mal si distinguevano dagli ebrei all’inizio dei primi due secoli dell’era cristiana. Si parlava di sette giudaico-cristiane. Questa denominazione assai precisa è stata pervertita da una strumentalizzazione politica intensiva. Il concetto di Occidente è diventato un concetto totemico, tribale, attorno al quale la potenza degli USA federa lizza i paesi europei e qualche altro, come l’Australia, il Giappone ed il caso ambiguo della Turchia, che è nella NATO ma che non può assolutamente definirsi occidentale, nel senso dell’interpretazione giudaico-cristiana. Siamo in una confusione totale, che permette di fare qualunque cosa nell’ordine internazionale, come invadere dei paesi sovrani all’inizio del xxi° secolo con la coscienza assolutamente a posto, come l’Iraq e l’Afghanistan, e di spiegare eserciti in tutto il mondo predicando la difesa della democrazia e dei valori giudaico-cristiani. Ora questi valori “giudaico-cristiani” della democrazia e dei diritti umani sono in contraddizione con l’idea di una democrazia moderna. Prima di tutto accostare ebrei e cristiani in una insieme che produrrebbe gli stessi valori non ha senso. Il cristianesimo è nato contro il giudaismo e lo ha oppresso durante secoli di ostilità. E poi, se si vuole parlare di valori democratici, bisogna ricordare che essi hanno al proprio centro la laicità, vale a dire la neutralità della religione nell’ordine politico. La definizione di “cittadino” esclude le primarie radici identitarie. Nel concetto di cittadinanza moderna, questi ultimi sono confinati nella sfera privata e non appaiono sulla scena pubblica., riservata all’espressione della cittadinanza. Oggi assistiamo ad una completa perversione dello spazio pubblico, completamente assorbito dalle sceneggiate identitarie, etniche, religiose, della memoria. Ora non v’è democrazia senza una netta separazione tra spazio pubblico e spazio privato. La crisi è più acuta sul piano culturale, assai inquietante se si procede ad un minimo di riordino concettuale.
D: Questa confusione non colpisce in modo definitivo l’idea dell’Occidente che hanno voluto imporre al mondo?
R: L’Occidente è uno spazio economico e geopolitico che, per il momento, domina il mondo. Quello che chiamano comunità internazionale è composta solo dagli Stati Uniti, gli alleati europei e qualche nuovo giunto come il Giappone, diventato una grande potenza. Il mondo mussulmano, non occidentale, è in piena decadenza. Si sta cercando, è sempre ossessivamente fissato sul referente religioso per definire la propria identità, ragione per la quale non potrà trovarla, giacché l’Islam è una religione transnazionale che non si preoccupa delle identità nel senso nazionale e moderno del termine.
D: Non le pare che l’emergere di potenze non occidentali rimetta in qualche modo in discussione l’”Occidente”?
R: Io non credo che i Cinesi mettano in discussione direttamente l’egemonia occidentale, perché sono coscienti della propria fragilità. Un processo di sviluppo che supera il 10% all’anno per quindici anni distrugge l’ambiente, sradica i contadini senza tanti riguardi. I Cinesi hanno realizzato opere faraoniche, come queste enormi dighe che non si sa tecnologicamente dove mirino. Il governo cinese mi sembra dunque caratterizzarsi per una grandissima prudenza geopolitica. E’ la stessa cosa per quanto riguarda il governo russo – salvo quando ci si avvicini troppo alle frontiere di quel che resta dell’ex impero sovietico. La diplomazia russa è timida. Nel Consiglio di Sicurezza succede di frequente che Russia e Cina si accodino agli Stati Uniti ed all’Europa in decisioni assurde. La Cina ha perfino approvato la risoluzione di trasmettere il dossier sul Darfur alla Corte penale internazionale. Perché non ha opposto il veto, visti i suoi grandi interessi in Sudan? Russia e Cina si caratterizzano per una eclatante modestia geopolitica. Salvo, evidentemente, quando sono in gioco i loro diretti interessi, come nel caso del Kosovo. Ma questa vicenda non preoccupa solo la Russia: parecchie persone provano inquietudine per lo smantellamento del diritto internazionale classico, che ha prodotto un periodo di incredibile incertezza.
D: La prudenza di queste potenze non potrebbe esprimere una volontà di integrarsi nell’”Occidente”?
R: In tutto il mondo c’è un grande desiderio di “Occidente”. Gran parte delle elite cinesi sono affascinate dal modello occidentale, che spesso è irresistibile. E vi è una circolazione delle elite che fa sì che i fautori della globalizzazione siano molto più tra gli Occidentali che tra i non Occidentali. Sono loro che dominano il mondo.
D: L’attuale globalizzazione sarebbe dunque una globalizzazione occidentale?
R: No. Prima di tutto perché le grandi potenze non occidentali, come il Giappone, la Cina e l’India, hanno costruito su di essa la loro prosperità. Questo modello – che io trovo aberrante – ha cominciato a toccare i suoi limiti ma, è bene sottolinearlo, possiede una potenza di attrazione per merito delle sue elite transnazionalizzate che in più egemonizzano gli ambienti accademici, economici, politici e mediatici. E’ per questo che è così difficile fare emergere dei contro-modelli credibili. Quelli che criticano la globalizzazione, denunciandone i pericoli, sono emarginati. Senza contare che manca ogni riflessione organizzata su un possibile contro-modello. Siamo ancora in una “melassa” ideologica e intellettuale dove tutto si mescola, e così è oggi estremamente difficile concepire non un modello – io non amo questa espressione che ricorda il “sistema”, un termine antidemocratico – ma almeno una riflessione organizzata critica. Se il modello democratico occidentale portato avanti dagli Stati Uniti perde di credibilità tra le popolazioni del Medio-Oriente – esso è comunque considerato oppressivo nella sua proiezione geopolitica – il contro modello, con le sue diverse forme di fondamentalismo islamico, non regge il confronto. Nello stesso tempo l’elezione di Obama ha restituito un po’ di lustro alla democrazia. Mostra una eccezionale capacità di risollevarsi. E’ per questo che non credo al crollo degli USA. La forza degli Stati Uniti deriva dalla sua capacità di attrarre le elite del mondo intero. I nordamericani sono in certo qual modo estremamente ruvidi nella politica estera, ma all’interno, se si è dinamici, competenti, è possibile farsi strada.
D: Cosa che non succede in Europa. Perché questa miopia?
R: L’Europa è un continente spossato dalla sue guerre intestine. Dopo le guerre di religione, ha conosciuto una violenza estrema parallelo ad un progresso straordinario delle arti, della filosofia e delle scienze… Un vero paradosso. Pensate al Rinascimento: i Principati italiani che lo hanno generato erano allo stesso tempo di una grande spietatezza, ben descritta da Macchiavelli. Allora quando sento dire che da noi in Medio oriente non ci si può sviluppare con simili regimi, con Israele, dico: è falso! E’ una scusa. La Corea, Taiwan, paesi dell’America Latina ed altri lo hanno fatto.
D: Alcuni dicono che tutte le volte che c’è un progetto di rinascita, viene distrutto militarmente
R: Io non condivido questo modo di vedere le cose. In Giappone per esempio, che era assai lontano dal modello di sviluppo occidentale nel XIX° secolo, quello che ha prodotto la differenza è stato prima di tutto la soppressione dell’analfabetismo, il fatto di avere promosso l’emancipazione del mondo rurale, di fornire mezzi di sussistenza ai contadini emigrati nelle città, di dare responsabilità a settori operai capaci di dirigere la produzione. Cosa che da noi non è mai successo. Dopo Mohammed Ali, anche Nasser ha tentato un’esperienza di sviluppo accelerato appoggiandosi, come il suo predecessore, ad esperti stranieri. Il mondo rurale è stato abbandonato. Ora quando questo mondo si scompone, o si produce stagnazione o la società entra in una fase di regressione identitaria, come oggi. Da qui il nostro ritardo. Senza contare questo terremoto sociale che ha cancellato il predominio culturale dei prestigiosi centri urbani del Medio oriente, come Il Cairo, Damasco e Bagdad, a vantaggio della società beduina del Golfo che è diventata l’aristocrazia finanziaria dell’umanità a partire dagli anni 1970 ed ha avuto buon gioco ad imporre la sua egemonia sulla maggior parte delle società arabe.
D: E tuttavia non si può dire che il Medio Oriente manchi di intellettuali, di gente capace di realizzare questo progetto di rinascita
R: Bisogna fare delle distinzioni. Prima di tutto le istituzioni accademiche del Medio Oriente si trovano in uno stato pietoso. Non ci sono mezzi finanziari, nessuna ricerca finanziata dallo Stato. Il settore privato, d’altro canto, non investe nulla né nella ricerca né allo sviluppo o nelle risorse umane. Inoltre l’invasione dei fondamentalisti ha fatto sì che l’80% degli intellettuali si siano dedicati a ricerche autoreferenziali di carattere religioso e senza interesse. Basta che uno abbia scritto tre articoli su un giornale e gli si attribuisce il termine arabo di “mouthaqaf” (istruito). Quelli che nel mondo arabo sono chiamati “intellettuali” sono generalmente i propagandisti delle forze economiche e politiche proprietarie dei media e della grande stampa panaraba, che ha una influenza determinante. Quando si presentano come intellettuali arabi moderati ma molto islamisti, diventano i beniamini di tutti i media occidentali che non vogliono soprattutto dialogare con le forze nazionali islamiche, considerate tutte “estremiste” e “radicali”.
D: Ma questo è anche il caso dell’Africa, che tuttavia non è corrosa dal fondamentalismo…
R: Io non conosco bene l’Africa, ma so che è un continente devastato dalle guerre civili, i massacri collettivi ed il neocolonialismo economico. Ma vi è stato anche un grande successo: l’Africa del Sud, che può costituire un esempio per la Palestina.
D: Perché?
R: Perché la sua indipendenza non ha avuto bisogno di massacri e la popolazione africana convive molto bene con gli ex colonizzatori bianchi. E’ andata molto meglio che nello Zimbabwe. Nessuno avrebbe immaginato che potesse esservi un’uscita così pacifica dal regime dell’apartheid. Io ho l’intima convinzione che succederà lo stesso in Palestina, dove non è possibile fare 2 Stati e dove nessuno riuscirà a cacciare i 400.000 coloni presenti nei territori. Israele ha molto abbreviato la sua sopravvivenza come stato ebraico. Si ritorna alle tesi che sostenevamo noi, Libanesi e Palestinesi, all’inizio degli anni 1970: una Palestina laica e democratica, dove mussulmani, ebrei orientali ed occidentali e cristiani possano vivere insieme in posizione di uguaglianza. Questa idea di uno stato comune si diffonde ed è stato oggetto recentemente di un congresso a Boston, dove molti nordamericani di confessione ebraica, Israeliani soprattutto sefarditi, hanno convenuto che si tratta della sola soluzione. D’altronde le grandi voci che contestato lo Stato di Israele sono di confessione ebraica, e sono totalmente emarginati nei media come nella produzione accademica sul conflitto israelo-palestinese. Ma l’evoluzione storica è molto lenta e dunque questa soluzione non è certo per domani.
D: La Turchia potrebbe diventare un modello? Un paese mussulmano ma laico, che vorrebbe essere occidentale ma che l’Occidente respinge…
R: Non è proprio un rifiuto perché la Turchia fa parte della Nato, e la si vuole anche integrare nell’Unione Europea. Il modello turco mi interessa moltissimo, io sono un kemalista convinto. Se la Turchia riesce ad avere un governo che si richiama ai valori religiosi mussulmani senza che questo destabilizzi il paese o provochi una guerra civile, è perché la base dello Stato è laica. Altrove, come in Algeria o in altri paesi, lo stesso fenomeno ha provocato situazioni drammatiche. Anche la Turchia ha conosciuto un periodo di corruzione ed il successo del fondamentalismo islamico ne è stata la conseguenza, come nell’Indonesia del dittatore Suharto. Non bisogna dimenticare che lo spazio della Turchia non è né il Machrek né il Maghreb. L’Impero ottomano si è prima di tutto esteso in Europa. Lo spazio economico vitale dei Turchi, quello entro il quale le grandi imprese turche crescono, sono i paesi turcofoni dell’Asia centrale, non il mondo arabo. I Turchi ottomani hanno conquistato il mondo arabo in un secondo momento. Sono soprattutto i Balcani che li interessano, la Crimea, il Mar Nero… Inoltre resta un contenzioso storico forte, coltivato dagli intellettuali fondamentalisti mussulmani arabi: il “delitto” che gli Arabi avrebbero commesso separandosi dall’Impero ottomano, rompendo la solidarietà panislamica. I Turchi non lo dimenticano.
D: Lei sostiene che Israele è una variante dell’Occidente?
R: Ne è una componente. L’Europa che si è riunificata politicamente e culturalmente nel momento in cui l’Europa centrale e quella dell’est non sono più nell’orbita russa, si trova oggi nell’orbita americana. L’Occidente è composto dall’Europa, che è uno spazio economico e non politico – quest’ultimo è dominato dalla Nato -, dagli Stati Uniti che sono egemoni nella Nato, ed in fine lo Stato di Israele. Gli Stati Uniti e Israele sono figli dell’Europa. Il figlio americano ha protetto i genitori durante la Prima e la seconda guerra mondiale, non per amore, ma perché la Germania minacciava i suoi interessi. E’ piuttosto ingenuo pensare che gli USA si siano sacrificati per gli Europei. I nordamericani avrebbero potuto evitare le due guerre mondiali se solo avessero detto fin dall’inizio ai Tedeschi: se attaccate noi scenderemo in campo al fianco dei Francesi e degli Inglesi.
D: Quale contributo può apportare questa componente israeliana all’Occidente?
R: La politica non è razionale. Io resto sempre sbalordito quando lo si suppone. La potenza è totalmente irrazionale, non può essere dominata. Oggi la questione di Israele è completamente sfuggita dalle mani di chi decide, siano essi europei o nordamericani. E’ del tutto evidente che essi continuano ad ignorare la realtà cruda delle cose. Dicono che la soluzione è la creazione di due Stati, ma nessuno sottolinea che non c’è lo spazio per due Stati. E’ un’idea puramente virtuale, i responsabili delle decisioni a livello internazionale sono fuori della realtà. Tutta l’esperienza storica che dimostra che non si può occupare un popolo senza suscitare una resistenza è stata completamente ignorata. Nel processo di Madrid, si è ritenuto che gli oppositori di questo progetto fossero degli scarti della Storia privi di ogni importanza. Oggi, sul terreno, due grandi movimenti di resistenza, gli Hezbollah e Hamas, sono riusciti a tenere testa ed a mantenere vivi la causa i diritti palestinesi. Hamas ha anche vinto le elezioni nel 2006-2007 nei territori occupati. E’ per questo motivo che nel mio ultimo lavoro io parlo di autismo dei responsabili della politica internazionale: essi hanno il loro linguaggio, il loro gergo, e ascoltano solo quelli che parlano questo linguaggio. Dopo l’assassinio di Rafic Hariri, l’ex presidente del Consiglio dei ministri libanese, questi responsabili occidentali dilagano in modo straordinario nel paese e considerano loro interlocutori solo quei Libanesi che sanno dire quello che loro vogliono ascoltare. Gli altri non esistono per loro. E’ successa la stessa cosa in Ucraina, dove una parte della popolazione ha simpatia per la Russia, o in Georgia. Questa politica dell’ignoranza crea guerre civili: favorisce una parte della popolazione in un paese e vuole cancellare l’altra parte. E’ la politica del peggio, la politica della Nato.
D: Come fanno i paesi occidentali a imporre la loro egemonia se, nei fatti, incontrano forti resistenze?
R: E’ effetto della perversione delle istituzioni democratiche. Nell’Europa colta, sviluppata, esiste una sorta di fascino per la personalità perversa. Più si è mascalzoni più si suscita ammirazione. Facciamo l’esempio del Libano: si sostengono degli ex capi di milizie diventati miliardari che continuano a sfruttare la popolazione. E gli Europei sono stupidi davanti a loro. Oggi, agli occhi dell’Europa democratica, sono eroi della democrazia quelli che si sono resi responsabili della morte di 200.000 Libanesi! E’ una perversione assoluta. E costa caro dirlo: quelli che lo hanno fatto sono stati emarginati, esposti a ostilità formidabili.
D: Bisogna rimettere in discussione il concetto di democrazia?
R: Bisogna piuttosto restaurare l’ideale democratico. Oggi il modello di democrazia è quello che la televisione ripete ossessivamente con una marca di dentifricio o di deodorante. Dove è continuo il rapporto incestuoso tra interessi privati e interessi di Stato, dove si costruiscono fortune dall’oggi al domani su operazione poco chiare, ecc… E’ questo che viene offerto alla nostra ammirazione. Guardate come è stata esaltata dai democratici la Russia di Boris Eltsin, proprio nel momento in cui il paese veniva saccheggiato in modo scandaloso. Si legga la testimonianza di Joseph Stiglitz, l’ex vice-presidente della Banca mondiale (nel libro La grande désillusion), che descrive il contributo del Fondo Monetario Internazionale allo scandaloso saccheggio della Russia. I dirigenti del FMI avrebbero dovuto rispondere del loro operato davanti ad un tribunale. Abbiamo assistito al furto su scala mondiale di migliaia di miliardi di dollari e nessuno è in prigione per questo, a parte Bernard Madoff per 50 miliardi di dollari. Ma cosa sono 50 miliardi di dollari di fronte ai trilioni rubati!
E’ tutto questo che toglie credibilità alla democrazia. Bisogna restituirgliela!
D: Sembra difficile immaginare che un sistema così aberrante possa durare…
R: E’ proprio per questo che ci troviamo in una fase storica pericolosissima. E’ vero che la storia non si ripete, ma oggi ci troviamo in una situazione tipicamente propizia allo scoppio di una guerra civile mondiale, gli occidentali tirano troppo la corda con la Cina, la Russia e l’Iran. Questo asse e quello della Nato potrebbero arrivare allo scontro. Io spero che non succeda, ma noi ci troviamo in una fortissima crisi economica, se continua potrebbe sfociare in una nuova guerra. Io denuncio nel mio libro la persecuzione verbale nei confronti di taluni paesi. E’ gravissimo ed è suscettibile di preparare una guerra. Un esempio: in occasione del primo anniversario del terremoto in Cina, qualche settimana fa, tutti i media occidentali ci hanno propinato servizi fino alla nausea, solo per denunciare la dittatura cinese. Tre settimane prima, per contro, c’era stato un terremoto in Italia e tutti hanno rilevato come gli imprenditori edili avevano costruito case senza rispettare le norme. Ma la questione è subito finita lì. Non per la Cina.
D: Lei parla della cancellazione degli Stati davanti ad interessi che vanno al di là delle loro competenze
R: Non è tanto questione di cancellazione, quanto di asservimento dello Stato ad interessi economici meschini e particolari. Perché lo Stato possa proteggere la comunità nazionale occorre che abbia il senso della dignità dei suoi cittadini. Il discorso di Hezbollah sulla dignità, per esempio, è molto forte. Nell’ordine geopolitico internazionale, la democrazia favorisce spesso l’imperialismo. Non ne verranno mai delle discussioni serie sugli interessi strategici nazionali. Anche sull’Iraq. Per un momento i Francesi, i Tedeschi ed i Belgi hanno detto no, ma non è durato che un istante. Poi c’è stato un appiattimento totale. Nonostante il fatto che, con quello che è stato speso nelle guerre di Iraq ed Afghanistan, si sarebbe potuta vincere la fame, debellare le pandemie in Africa.
D: Se il mondo globalizzato è tuttora controllato dall’Occidente, dove stiamo andando?
R: Il mondo globalizzato è quello delle elite transnazionali deculturate e sradicate del jet set, del turismo di lusso e dei congressi accademici, dei funzionari delle Nazioni unite dagli stipendi elevati e detassati, dei bonus mirabolanti dei golden boy….
La Nato è una coalizione militare dominata dagli Stati Uniti. Bisogna metterne in discussione l’esistenza. E’ stata creata contro la potenza URSS, ma è sopravvissuta alla sparizione del nemico. Perché posiziona eserciti in tutto il mondo per lottare contro gruppi di esaltati takfiristi che praticano il terrorismo cieco più nei paesi mussulmani che nei paesi occidentali? Così non fanno che favorirne la crescita. Ma quando si dice questo, si risponde con l’accusa di non voler combattere il terrorismo. Si usa il terrorismo contro chi lo afferma. I sentimenti dell’Occidente contro l’Oriente sono fuori del controllo degli stessi occidentali (e viceversa). E’ uno stato passionale assoluto.
D: Vi sono responsabilità dei media?
R: Sono stupito di non trovare nella Costituzione europea delle misure che disciplinino la separazione tra lo spazio pubblico e quello privato. Perché al tempo d’oggi i media hanno abolito questa distinzione. Bisogna dunque disciplinarla. Non dimentichiamo che quando si emigra, i media continuano a farci vivere a casa nostra. Ci rendono schizofrenici. I media favoriscono la mercificazione del’identità. Le prime radio che sono nate in Francia dopo la liberalizzazione dell’etere promosso da Mitterand negli anni 1980 erano tutte etniche o religiose. Adesso, dopo che si è arrestato il processo di integrazione, niente da fare. I Francesi si sono fatti affascinare dal modello anglo-sassone multiculturali sta e questo ha rovinato il suo modello repubblicano. Ma secondo me le società europee non sono multiculturaliste. Le società francese e tedesca, che si sono tanto scontrate, non sopportano l’eterogeneità culturale. Al contrario, in Libano, noi ci siamo costruiti su questa eterogeneità: è un fatto storico da secoli. Tutto il Medio oriente si fonda su meticciati culturali. In Europa, a partire dal momento in cui nascono gli Stati nazionali, succede tutt’altro. Se un emigrato pretende assolutamente di continuare a vivere come se fosse a casa sua, è meglio che resti a casa sua, non può pretendere di imporre il suo modo di vivere ad un’altra società. L’Europa ha sofferto un processo di omogeneizzazione delle sue origini attraverso l’industrializzazione, lo sradicamento degli Europei. La rivoluzione francese ha rifiutato ogni particolarismo. Quando vedo gli emigranti traversare il Mediterraneo, rischiare la vita, e molti perderla, per andare a vivere in squallide periferie, senza documenti, con la paura di essere denunciati, della polizia, mi sento atterrito. Essi sono vittime del mito dell’Occidente mentre, a mio avviso, starebbero meglio a casa loro, dove la povertà è molto più sopportabile.
D: L’Europa e l’Occidente si sono costruiti sul diritto internazionale. Ora, dopo 30 anni, è diventato a geometria variabile…
R: Siamo entrati in una civiltà imperiale, quella degli Stati Uniti che hanno rapidamente assunto l’eredità degli imperi coloniali francesi e inglesi che hanno dominato il mondo. Il segreto di un buon impero è quello di trattare tutti su un piano di uguaglianza. Il centro dell’Impero, vale a dire gli Stati Uniti, trattano invece molto meglio quelli che vengono dall’estero per risiedervi piuttosto di quelli che dominano all’estero. Finché il cuore dell’impero resterà aperto per le elite e per i poveri provenienti dal mondo intero, manterrà il consenso. L’Impero romano faceva questo. Si abbandonavano le province per andare a Roma. L’Europa ha rinnegato la sua storia. Carl Schmitt, malgrado le sue simpatie per il nazismo, aveva già annunciato nel periodo tra le due guerre il crollo del diritto internazionale.
D: Quale può essere oggi il ruolo dell’ONU nella giustizia internazionale?
R: Io penso che l’ONU non sia riformabile. E’ diventata la Società delle Nazioni, che serve come strumento per la Nato, con la più o meno grande complicità della Russia e della Cina. Sono assai scettico. Il Tribunale internazionale sul Libano ha chiesto al liberazione dei generali imprigionati. Si potrebbe pensare che sia indipendente, ma non si può essere certi che non si sottometterà domani a nuove pressioni di tipo politico.
D: Il fondamentalismo e l’oscurantismo nel mondo arabo perdureranno?
R: Non credo, si tratta di un momento passeggero, come reazione alla chiusura identitaria di israele. Questo Stato pretende di incarnare l’ebraismo ed è un’aberrazione, perché uno Stato non può incarnare una religione. Tutta l’indigesta letteratura attuale sulla guerra di civiltà, i valori giudaico-cristiani, il valori arabo-mussulmani o buddisti un bel giorno finirà. Tutto il mio lavoro saggistico costituisce una denuncia di questa deriva del pensiero. Dureranno un tempo limitato, ma a confronto della Storia, un tempo può durare uno o due secoli. E’ il progresso tecnico che si accelera, non la Storia.
D: Ci siamo liberati dei neoconservatori?
R: No, ci siamo solo liberati della direzione neoconservatrice di George Bush che ha reso ridicoli sul piano internazionale gli Stati Uniti, non del pensiero neoconservatore che è condiviso dalla elite che partecipa e trae vantaggi dalla globalizzazione. La sceneggiata identitaria procura potere, importanza; promuove a livello accademico e dei media, la cui stessa natura è quella di annullare la necessaria separazione tra spazio pubblico e privato, col fatto che è capace di penetrare in miliardi di case. Ogni nozione di cittadinanza perde la sua ragionevolezza. Ci troviamo oggi di fronte alla lotta tra due modelli: da un lato il modello multiculturale di tipo anglo-sassone e, dall’altra, i resti del modello europeo, con una teorica separazione tra spazio pubblico e spazio privato, che significa netta separazione tra politica e religione. Ora l’Europa è colpita dal virus del multiculturalismo anglosassone. Oggi sfortunatamente gli estremisti della laicità sono più islamofobi che neoconservatori. E non si riesce ad arrivare ad una rimessa in ordine concettuale.
D: Un Occidente che si ricostruisse in altro modo avrebbe un futuro?
R: Io tento di contribuire alla decostruzione di questo concetto di Occidente per renderlo desueto e inefficace. Edward Said ha utilizzato le armi del pensiero critico europeo per decostruire la visione dell’Occidente sull’Oriente – e fa del globalismo senza troppe sfumature. Da parte mia voglio decostruire l’Occidente non perché sia un Libanese o un orientale perseguitato dall’Occidente, ma a partire dall’interno delle società europee. Dimostro che esse non hanno mai raggiunto una unità, che gli Europei si sono essi stessi inflitti ferite inverosimili. Finché non si sarà preso in considerazione questo, non si comprenderà il funzionamento politico dei regimi europei e nordamericani. Oggi i dirigenti europei e le elite altro non fanno che negare sé stesse. Il loro discorso è totalmente separato dalla realtà storica dell’Europa? Allora si va avanti a celebrare memorie, per meglio ignorare la Storia…
Io vorrei che il mio libro sia letto non come una denuncia dell’imperialismo occidentale, ma come decifrazione del volto oscuro e di quello luminoso della storia d’Europa. Oggi l’Europa ha dimenticato la sua faccia luminosa e ritrova aspetti del suo volto oscuro erigendosi a giudice della morale universale e fungendo da supporto dell’imperialismo USA. Gli Europei sono davvero un popolo di artisti, di sapienti e di eruditi; hanno inventato una musica sublime, la musica barocca, che continua ad essere amata in tutto il mondo, e continuano a realizzare opere d’arte. E’ questa una valida ragione per pretendere di spadroneggiare sul mondo?