Analisi - In  un lavoro di grande erudizione che si legge (quasi) come un romanzo, George Corm decostruisce il mito dell’Occidente, diventato grande organizzatore del mondo. Vi parla della faccia luminosa, ma anche del volto oscuro delle culture europee che l’hanno costituito







L’Occidente ossidato

Di Corinne Moncel


Afrique Asie, giugno 2009



George Corm nel suo ultimo lavoro ci accompagna lungo un viaggio accattivante che, attraverso diverse epoche e luoghi, ci conduce al cuore della nozione di Occidente, termine abusato tanto nei discorsi mediatici quanto in quelli ideologici e accademici, ma che suona curiosamente vuoto e insieme capace di aggregare passioni. Un Occidente che ha trasceso la semplice accezione geografica per diventare un’entità globalizzante, omogeneizzante, portatrice di valori presentati come immanenti e invalicabili – democrazia, progresso, libero scambio, diritti dell’uomo…

Megaentità fantastica
L’Occidente, tuttavia, non è questa mega entità fantastica che tutto organizza, ricorda George Corm. La sua origine è l’Europa, piccolo continente dove una molteplicità di popoli, lingue e culture hanno prodotto tanti sistemi di rappresentanza ed economici, ma anche, fino ad oggi, enormi violenze intra ed extra europee.  Queste convulsioni hanno anche prodotto la nascita degli Stati Uniti e di Israele che costituiscono, con l’Europa, la triade che incarna l’Occidente. Per imporre la sua dominazione sul mondo fin dal XVI° secolo, ma anche per onorare il suo narcisismo e il suo desiderio di potenza, c’è stato bisogno che l’Europa si inventasse una unità, una storia e dei riferimenti comuni.  E’ cosi che uno stuolo di ideologici, ripresi da intellettuali a artisti di ogni genere, ha costruito il mito dell’Occidente, esaltando dei valori superiori che nulla devono agli scambi con gli altri popoli del mondo ma tutto ad una “essenza” o ad un “genio” propriamente occidentale. Questa costruzione ha presupposto, fin dal suo avvio, la costruzione di un contro-modello fondato su valori inversi rispetto a quelli dell’Occidente, che dovrebbe essere tutto quello che quest’ultimo non sarebbe: debole inferiore, arretrato… Appunto l’Oriente, per opposizione alla nozione di Occidente, anch’esso mistificato  e che ha conosciuto una nuova giovinezza nella sua funzione di male assoluto dopo l’11 settembre. Per rendere “in carne e ossa” l’astrazione occidentale, il mito deve non solo raccontare delle belle storie, ma anche farsi Storia. Ancorarsi ad una continuità storica che attesterebbe la purezza delle origini e la legittimità delle intenzioni, di un destino comune che adempie al compito di una civilizzazione universalizzante. Grandi pensatori e professori vi si sono applicati dalla fine del XVIII° secolo e lungo tutto il XIX°. Non è stato facile, nell’abbondante  patrimonio dei popoli d’Europa, identificare quelle che potessero essere considerate le fondamenta del grande recitativo unificato. La civiltà greca? Romana? Il monoteismo cristiano? La frammentazione religiosa della Riforma? Il Rinascimento? Ma cosa importa: l’essenziale è che il mito ha preso forma, si è radicato nelle scienze e nelle coscienze ed ha trovato i suoi difensori, fino ad oggi, tra i più illustri sapienti dell’istituzione accademica. Altri momenti della storia sono stati rimodellati per diventare, nella costruzione del mito, degli avvenimenti chiave  del “miracolo” europeo, come la rivoluzione scientifica o lo sviluppo del capitalismo. George Corm smonta anche queste immagini che servono a consolidare la favola della superiorità intrinseca dell’Occidente. No, il capitalismo non è nato dal protestantesimo, come ha sostenuto Weber per spiegarne il suo sviluppo negli Stati Uniti, ma nelle città cattoliche italiane che, fin dal XII° secolo, hanno creato delle banche, delle compagnie di assicurazione, dei meccanismo borsistici. Sì, l’Europa deve la sua crescita economica alle vaste migrazioni che vi sono state a partire dal XVI° secolo. Contrariamente a quanto si vuol fare credere, il suo “genio” non è esclusivamente endogeno, ma è stato fecondato dal contatto con le grandi civiltà extraeuropee, che conosceva da lungo tempo grazie anche al proselitismo dei missionari cristiani. Degli esempi? Il pensiero islamico ha avuto una considerevole influenza sulla vita intellettuale del medio Evo; la tecnologia e la potenza europea devono enormemente agli strumenti importati da altri continenti, come la carriola, la polvere da sparo o la stampa venute dalla Cina.  Se si impegna a decostruirne il mito, George Corm non nega tuttavia la grandezza  della cultura europea ed il suo geniale contributo alla civiltà mondiale. La sua musica meravigliosa, dall’Italia alla Germania, passando per la Russia e la Francia, potrebbe essere, secondo lui, l’elemento unificatore di questo spazio eterogeneo troppo spesso tormentato dagli orrori delle guerre e dalle divisioni etniche. Gli ideali umanisti moderni dei Lumi hanno anche illuminato l’Europa, dice, ed anche se questo contributo ha un valore universale, ritiene lo storico Corm, è diventato oggi il bersaglio dei neoconservatori, come lo fu del romanticismo tedesco nel XIX° secolo.
E’ stato in questa epoca che un grande movimento di reazione all’imperialismo dei valori borghesi francesi e inglesi ha investito la Germania e, più in generale, le elite europee formatesi alla scuola tedesca.
Perché se la Germania non ha preso parte alla spartizione del mondo, la grandezza delle sua filosofia, della sua letteratura, della sua musica ha irrigato tutta la conoscenza e le arti europee. Si è manifestato un violento scontro di posizioni all’interno stesso del Vecchio Continente: il materialismo conquistatore anglo-francese e la sua pretesa di incarnare tutta la potenza occidentale, e la reazione tradizionalista che, di fronte a questo liberalismo distruttore dei fondamenti della comunità, esaltava i valori immutabili delle origini e le eterne gerarchie che reggono l’ordine del mondo.
Questo scontro di posizioni ha attraversato tutte le culture europee, si è radicalizzato per esplodere nel cataclisma della Prima Guerra Mondiale. I Tedeschi sconfitti hanno allora trovato un capro espiatorio: l’ebreo, categoria considerata sospetta fin dagli albori del cristianesimo e già indistintamente accusata, nel XIX° secolo, di propagandare il materialismo o predicare il comunismo minaccioso. La ricerca della purezza della razza in una Germania più nostalgica che mai va considerata come l’elemento di “infezione” della civiltà europea, che ha goduto del consenso di gran parte delle elite europee e dei popoli servili. Si è presto dimenticato nell’Europa di oggi, ricorda Corm, che Mein Kampf, il delirante pamphlet di Hitler, altro non era se non un condensato di tesi radicali sugli ebrei  diffuse nella più assoluta impunità dai più importanti scrittori, accademici, uomini politici di allora. In modo che l’autore può parlare di un vero “ebreicidio” annunciato. E’ questo clima di degenerazione mentale, una variante della tradizionale dicotomia tra le due visioni europee del mondo, che ha provocato una nuova deflagrazione mondiale. Nella sua lunga storia, la cultura occidentale continua a produrre valori tanto magnifici quanto mortali…
Dopo la Seconda Guerra mondiale gli Stati Uniti sono diventati i padroni assoluti del mondo.  Essi sono i fautori trionfanti del liberalismo e del materialismo ed hanno asservito al loro disegno di grande potenza la madre Europa. Il loro nuovo nemico si è chiamato Comunismo. L’URSS e i suoi alleati sono diventati gli obiettivi di una nuova crociata, grazie al braccio armato creato per l’occasione: la Nato. L’Occidente non è più che una nozione geostrategica che ingloba anche paesi che non hanno niente a che fare con la sua area geografica (ivi incluso il Giappone, per esempio). Gli Stati Uniti, l’Europa e Israele difendono nozioni abusate di occidente in nome di un “mondo libero” mistificato, su di un pianeta in completa riconfigurazione postcoloniale.

Rappresentazione glorificante
Ma il progresso, il libero scambio e la giustizia internazionale, presentati come valori uguali per tutti, altro non sono, oltre la vuota retorica, che l’appannaggio del principe che consolida i suoi interessi. I princìpi apparentemente universali di giustizia sono applicati solo a quelli che non danni dimostrazione di obbedienza ai potenti. Peggio: sono respinti da alcuni popoli che condannano un modello occidentale che si fonda su simili ingiustizie, e questo sentimento viene strumentalizzato da ogni genere di tiranno.
Della diversità delle storie delle culture europee, resta solo questa rappresentazione monolitica e glorificante dell’Occidente che svilisce gli spiriti, constata George Corm. Che si interroga: l’Europa sarà capace di liberare il suo pensiero dalle barriere del mito di sé stessa, e ritrovare l’atmosfera di un tempo? Perché l’autore sottolinea che il dinamismo del suo modello e le potenzialità che racchiudono i suoi valori umanisti restano sufficientemente attrattivi per continuare ad affascinare…  
 
      


 



Estratti


Rimodellamento della storia europea e costruzione del mito della “occidentalità”

 

“La ricostruzione mitologica della storia d’Europa come un continuum razionale che porta a compimento un destino eccezionale nella Storia universale si fonda su dei rimodellamenti e delle idealizzazioni di diverso tipo. L’accento viene posto talora su un fenomeno idealizzato e magnificato, talora su un altro, a seconda della passione politica di colui che traccia il quadro dello svolgimento della storia di Europa e della sua supposta unità. Nella recente storia d’Europa, cosiddetta moderna, si tratta del Rinascimento e della Riforma, della Rivoluzione scientifica e della Rivoluzione industriale. Per quanto riguarda invece il XIX° secolo romantico, la nostalgia per l’unità dello Stato cristiano viene considerata uno dei grandi motori per il mantenimento dell’unità europea”.


 

La funzione di storicizzazione trascendente

 

“Questa nostalgia si può ritrovare in molti grandi autori dallo stile e dall’erudizione così ammirevole che il lettore fa fatica a rendersi conto di essere intensamente esposto al fascino provocato dalla costruzione di un mito capace di ottundere ogni spirito critico. Diversi autori fanno riferimento ad altri fenomeni, considerandoli come germi permanenti della specificità europea fin dall’Antichità: si tratta della razionalità greca, dell’eredità dell’elaborazione romana del diritto e dello Stato, del monoteismo dopo la sua comparsa tra le tribù di Israele, ma anche del contributo delle tribù germaniche che invasero l’Europa nel IV°  e V° secolo, che avrebbero insegnato all’Europa l’amore per la libertà.

Per dimostrare l’esistenza di una genetica europea unica e specifica che esisterebbe fin dall’origine dei tempi, conviene evidentemente procedere ad una idealizzazione di questi momenti storici scelti come fondativi e magnificarli attribuendo loro caratteri eccezionali, che dovevano essere ben presenti a coloro che li hanno vissuti. Bisogna dunque stilizzare al massimo il racconto storico, che assume una dimensione epica; bisogna anche stabilire delle complesse derivazioni, tra secoli e avvenimenti totalmente eterogenei e procedere così alla loro “rivelazione”, cosa che attribuisce luminosità e fascino al racconto del genio europeo o occidentale. E’ la “funzione di storicizzazione”. Molto ben descritta da un filosofo francese husserliano e gnostico, Raymond Abellio (1907-1986)”.

 

Il “mistero” della rottura nazista nella storia d’Europa

“Se non sono mancate crude descrizioni della efferatezza e della disumanità del nazismo, esse si limitano però all’analisi di un fenomeno specificamente tedesco o alle trasformazioni socio-economiche che hanno percorso l’Europa, favorendo l’era delle tirannie. Ma come spiegare il sostegno e l’ammirazione col quale è stato accolto il sorgere del nazismo da significativi settori delle elite europee, raffinati, artisti, filosofi, umanisti e cosmopoliti, nutriti di scienza e conoscenza? L’immenso successo del nazismo fuori dalla Germania, così come l’ampia collaborazione assicurata all’esercito nazista in molte zone dell’Europa sono fenomeni scarsamente studiati. E tuttavia essi pongono un problema molto preoccupante e complesso, che mette direttamente in discussione la coerenza del discorso occidentalista. Se l’Occidente è questa entità massiccia, questo titano che discende dal genio greco, dal cristianesimo e da una rivoluzione scientifica e razionalista propriamente europea, come spiegare allora questo accesso di barbarie che occupa tutta la prima metà del secolo scorso?

Se l’Occidente è l’avanguardia dell’umanità, se la sua civiltà è al centro dell’avventura umana, allora questa barbarie improvvisa, dopo secoli di progresso e raffinatezza, non può che restare inspiegabile e misteriosa, sfuggendo proprio a quella ragione che l’Occidente pretende di incarnare. Se invece questa barbarie affonda le sue radici nella stessa storia dell’Europa, allora vuol dire che la sua storia non è meno “selvaggia” di tutte quelle che la stessa Europa ha gratificato di questo termine dispregiativo. E, in questo caso, fa vacillare e toglie credibilità a tutti i discorsi che l’Europa fa su sé stessa e sul suo genio specifico nella storia dell’umanità, che mostra agli altri popoli come un modello da seguire”.

 

L’effetto perverso del dogmatismo occidentale in materia di giustizia internazionale

“Ne è una prova, per esempio, la protezione di cui hanno beneficiato a lungo certi dirigenti dei Khmers rossi, responsabili del genocidio cambogiano (1975-1979), ma allo stesso tempo alleati degli Stati Uniti. Un tribunale penale internazionale è stato insediato nel 2006 in Cambogia per giudicare i responsabili del genocidio, ma lavora con una lentezza incredibile. I principali capi delle milizie libanesi, responsabili di molti massacri collettivi e di trasferimenti forzati di popolazione tra il 1975 ed il 1990 non sono mai stati giudicati da un tribunale internazionale. Alcuni di loro, dopo essere stati a lungo i pilastri dell’egemonia siriana in Libano, sono diventati degli eroi democratici dei governi occidentali, quando nel 2005 si sono ribellati alla Siria per diventare adepti ferventi della politica di George W. Bush in Medio oriente. Al contrario, l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri nel febbraio 2005, nel corso di un’imponente operazione terroristica, ha provocato l’istituzione di una commissione di inchiesta internazionale e la costituzione di un tribunale internazionale per giudicare i suoi assassini (che prosegue i suoi lavori all’inizio del 2009).   

Su di un piano diverso, il dittatore iracheno Saddam Hussein, a differenza del dirigente serbo Slobodan Milosevic, non è stato giudicato da un tribunale internazionale, ma in modo sommario in un’Iraq occupato dall’esercito USA, poi giustiziato nel dicembre 2006, prima ancora che fosse concluso il processo relativo ad altri capi di accusa. E l’assassinio nel dicembre 2007 dell’ex primo ministro pachistano Benazir Bhutto non ha dato luogo ad alcuna seria inchiesta internazionale, né alla costituzione di un tribunale speciale, come nel caso di Rafik Hariri. Non si possono non rilevare, in questa giustizia internazionale “a geometria variabile” i condizionamenti degli interessi geostrategici”.

 

L’importanza dei flussi migratori nel successo economico

 

“Per comprendere la capacità di certi paesi europei di generare un flusso continuo di progressi tecnici nella produzione agricola prima di tutto, poi in quella dei prodotti di consumo, così come in quella dello sviluppo dei mezzi e sistemi di trasporto sempre più sofisticati, bisogna analizzare i due principali fattori che hanno consentito di superare i grandi limiti economici e demografici del continente europeo. Si tratta prima di tutto dei flussi migratori permanenti che l’Europa ha conosciuto a partire dal XVI° secolo, abbinati per altro all’aumento della produttività agricola ed al miglioramento continuo dell’alimentazione dovuto all’importazione di nuove colture ed a tecniche di sfruttamento e irrigazione imparati da popoli vicini o lontani.

E’ questo che spiega perché le sinistre previsioni di Malthus non si sono realizzate. Questi pensava che bisognasse attendersi delle carestie che avrebbero eliminato il surplus di popolazione determinata dalla crescita demografica in rapporto a risorse limitate. Non aveva previsto l’ampiezza che avrebbero assunto i flussi migratori permanenti, iniziati a partire dal secolo XVI°, né il concomitante aumento della produttività agricola ed il miglioramento delle tecniche di produzione artigianale che si evolvevano verso il capitalismo industriale.  Uno dei più forti stimoli a questo progresso, almeno in una prima fase, è stata la povertà del suolo europeo in risorse naturali e l’arretratezza della sua agricoltura che non riusciva a produrre a sufficienza per  sfamare la sua popolazione, come testimoniano le carestie che hanno segnato la storia del continente, nel quale un basso livello di igiene favoriva il diffondersi delle grandi epidemie. In uno stretto territorio, circondato da tre mari e da potenze vicine, a sud ed a est del Mediterraneo (Impero bizantino, poi gli imperi arabi e turco), o nei grandi spazi vuoti della Russia, gli Europei hanno dovuto fare sforzi particolari per migliorare la loro sorte. D’altra parte i primi grandi progressi tecnici si sono realizzati proprio nelle zone europee più povere di risorse naturali: il Portogallo, l’Olanda, l’Inghilterra. Allontanarsi dal proprio territorio per conquistare il mare  (o estendendolo a detrimento del mare, come in Olanda), migliorare le tecniche agricole e, quando tutto questo non era sufficiente, esportare gli uomini e colonizzare, importare le conoscenze presenti altrove, oltre alle piante, i farinacei e i legumi, e gli animali utili, ecco quello che più verosimilmente ha stimolato il progresso materiale. Una volta avviata la crescita demografica, grazie al miglioramento dell’alimentazione, le società europee hanno dovuto gestire il surplus di popolazione”.




 


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