La privatizzazione delle terre in Cina
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La questione della privatizzazione della terra nel processo di integrazione “Città - Campagna” in Cina
Come un brusco risveglio agli albori del millennio, i funzionari cinesi e gli intellettuali dopo un’eccessiva attenzione allo sviluppo urbano stanno ridando centralità alle problematiche dei contadini.
I contadini costituiscono ancora il 56-70% della popolazione cinese e circa il 12-15% della popolazione mondiale. "La popolazione rurale" cinese (nongmin) rientra tra i ranghi della piccola proprietà agraria famigliare precariamente integrata nel capitalismo globale a causa di una crescente dipendenza dal mercato per soddisfare i bisogni primari. La popolazione rurale è sottopagata (spesso costituisce la forza-lavoro delle multinazionali) e subisce usurpazioni di tutti i tipi.
La riforma rurale di Deng Xiaoping (1978-1984) ha decollettivizzato la produzione rurale, ha smantellato il sistema delle Comuni e ha affidato la distribuzione dei prodotti agricoli e dei mezzi di produzione alla regolamentazione del mercato.
I diritti di utilizzo della terra sono stati separati dalla proprietà per instaurare ciò che è conosciuto come il "sistema di responsabilità famigliare". I terreni agricoli e le altre risorse naturali sono ancora di proprietà collettiva (dei villaggi o di gruppi di famiglie numerose). I diritti di utilizzo della maggior parte dei terreni agricoli sono contratti da singole famiglie che sono "responsabili dei profitti e delle perdite".
Dopo diversi anni di diversificazione, di crescita della produzione agricola e del reddito, alla metà degli anni ‘90, l'economia rurale, aveva cominciato a stagnare e in molti settori addirittura a declinare. La società rurale continuava ad essere stratificata, atomizzata e afflitta da molti problemi, alcuni dei quali eliminati durante il periodo delle Comuni: malattie come la schistosomiasi, le malattie sociali come la criminalità organizzata, la prostituzione, la tossicodipendenza e il suicidio erano soprattutto tra donne e anziani.
Nel frattempo, le città in rapida espansione e sempre più inquinate pesavano sempre di più sulle risorse rurali. Spesso si verificavano irregolarità nelle modalità di trasferimento e di compensazione dei prodotti agricoli che conducevano anche a violenti conflitti aggravando così i contrasti tra gli abitanti e i funzionari. Questi spesso erano in combutta con gli imprenditori immobiliari e industriali.
Questo antagonismo sociale trovava origine anche nelle imposte agricole del 1958 con numerosi contributi che si sono moltiplicati dopo la riforma fiscale 1994. Questa’ultima riforma ha reso le autorità locali "responsabili del bilancio delle amministrazioni locali" per cui ha incoraggiato tali funzionari a rifarsi sugli abitanti dei villaggi.
Con la fine del secolo, tutti questi fattori si sono combinati con l'integrazione della Cina nel mercato globale peggiorando le condizioni di vita e generando disordini nelle zone rurali.
Nella primavera del 2000 il quadro rurale Li Changping ha presentato una petizione all’allora premier Zhu Rongji con una lettera aperta: "vi racconto la verità sulla dura vita dei contadini, sulla povertà dei villaggi e sulla crisi dell’agricoltura."
L’aumento di questi appelli ha coinciso con fermenti sociali crescenti e con la rivolta delle campagna in particolare dei lavoratori che migravano dalle zone rurali. Nel 2003 ci sono stati 58.000 "incidenti di massa”, 74.000 nel 2004 e 87.000 nel 2005.
Per far fronte a tali minacce alla stabilità sociale e alla “pacifica” accumulazione di capitale, la nuova leadership cinese ha considerato il cosiddetto "problema rurale in tre dimensioni" (wenti sannong) come la "priorità assoluta" cui far fronte.
Nel 2004 il governo ha emanato una serie di misure di politica rurale, abolendo l'imposta agricola, aumentando vari sussidi per le famiglie rurali, e, come parte dell’undicesimo piano quinquennale, annunciando un progetto per "la costruzione di nuove zone rurali socialiste" principalmente attraverso l'aumento degli investimenti nelle infrastrutture rurali.
Molti attivisti e studiosi di sinistra hanno accolto con favore questa nuova attenzione al problema rurale, ma non hanno risparmiato critiche al costante predominio dell'ideologia neoliberista tra i funzionari e i principali circoli intellettuali.
Essi hanno proposto metodi alternativi alla "costruzione di nuove zone rurali socialiste" avvalendosi delle esperienze di economia contadina tradizionale, degli esperimenti passati e presenti di aiuto mutuale, dell'economia collettiva, delle reti di commercializzazione cooperativa città-campagna e dei modelli di "sviluppo alternativo" del Kerala, in India.
La questione delle privatizzazioni è recentemente tornata alla ribalta nel dibattito sulla Cina rurale sia sui mezzi di informazione di lingua inglese sia nel dibattito riguardo la sperimentazione di politiche statali. Questa discussione era stata accantonata nella metà degli anni ‘90 mentre le privatizzazioni creavano altri problemi sociali negli altri paesi post -socialisti e "in via di sviluppo".
Se si tratti di amnesia storica o di rigore ideologico non si può dire, ma numerosi servizi di informazione inglesi hanno recentemente riscoperto la loro decennale vecchia passione di salvare i “dannati della terra” con ricette di privatizzazione delle risorse comuni. Questa volta i giornalisti hanno sostenuto che le masse contadine in Cina sono in aumento come una tempesta neoliberista volta a privatizzare "una nazione nelle mani dello Stato" . Ma con qualche indagine si scopre che i quattro casi confermati di incitazione dei contadini a “privatizzare” sono stati redatti, nel corso di 10 anni, dallo stesso intellettuale, che, sostenuto dagli imprenditori immobiliari, ha perlustrato le campagne per due anni alla ricerca di abitanti impegnati in dispute sulla terra che fossero disposti a firmare il loro "manifesto". La prima sezione della nostra rivista presenta tre lettere aperte ai mezzi di informazione volte a spiegare gli argomenti per rafforzare, piuttosto che indebolire attraverso la privatizzazione, il controllo degli abitanti sulle risorse collettive del territorio.
Nel frattempo i governi locali hanno ripreso tranquillamente la spinta verso la privatizzazione de facto che il governo centrale aveva abbandonato nel 1990 a causa dell’instabilità sociale che si veniva a creare. La seconda sezione comprende due relazioni circa la sperimentazione di “governi municipali” volti a gestire la privatizzazione del territorio rurale e trasformando i diritti familiari di utilizzo delle terre in azioni di imprese agricole gestite in maniera moderna. Questi esperimenti, parte di diversi progetti pilota, avviati dal governo centrale per "integrare sviluppo urbano e rurale", sono appena iniziati, quindi è troppo presto per valutare gli effetti della loro attuazione. Tuttavia, non è troppo presto per prevedere che, se non si istituirà una rete di sicurezza sociale, tale privatizzazioni non faranno altro che esacerbare il problema rurale, per cui questa sezione comprende anche una critica di questi esperimenti scritta dall’economista Hu Jing.
Vorremmo aggiungere che questa nuova forma di "trasferimento di terra" rappresenta una sfida per le strategie convenzionali di resistenza dei contadini contro gli espropri della terra. Considerando che gli abitanti dei villaggi spesso organizzano, con un certo grado di successo, la resistenza collettiva contro i tentativi di esproprio, nel nuovo villaggio le unità abitative sono state dislocate lontane dal villaggio, quindi sarà più difficile organizzare la resistenza o controllare le operazioni delle nuove imprese, di cui sarà improbabile che i contadini riusciranno a possedere le azioni di controllo. Inoltre, mentre, in passato, la maggior parte delle espropriazioni erano limitate a usi non agricoli, nel territorio circostante le città più importanti, questa nuova forma di trasferimento apre le porte alle privatizzazioni che portano allo spopolamento delle campagne cinesi in nome della "modernizzazione dell'agricoltura." Abbiamo il sospetto, dunque, che tale privatizzazioni siano una forma insidiosa di nuova recinzione capitalista.
Il terzo gruppo di articoli esplora il significato e i rischi della privatizzazione; è inclusa una traduzione originale dall’inglese di un importante dichiarazione del 2003 di Li Changping, oggi uno dei più noti tra gli attivisti rurali di sinistra.
La quarta sezione presenta tre relazioni sulla questione dei movimenti contadini di protezione della terra, e un articolo in inglese che presenta alcuni dei risultati più rilevanti dello studio CASS riportati in cinese dal politologo Yu Jianrong. Queste relazioni sostengono che le espropriazioni organizzate da parte dei governi locali e dagli imprenditori sono la principale minaccia per molti contadini. Gli studi di casi dettagliati effettuati da Zhai Minglei e Gao Luli descrivono uno scenario comune di tali controversie, in cui gli abitanti dei villaggi non rivendicano la proprietà dei terreni di famiglia, ma rivendicano i diritti collettivi del villaggio nel suo complesso. Tali relazioni illustrano come la politica ufficiale del governo cinese, circa il mantenimento dei diritti collettivi sulle risorse, corrisponda spesso alle idee dei contadini sulla proprietà collettiva, per cui il vero punto della questione è di trovare il modo per rafforzare, anziché indebolire, la proprietà collettiva.
La quinta sezione introduce un nuovo approccio di sinistra circa l'interpretazione del problema rurale e la questione della terra. L’articolo del sociologo Xuefeng Si dimostra come questa corrente sia composita, tuttavia scrutiamo una coerenza di fondo nel modo di trattare la faccenda, per cui la consideriamo come una nuova corrente all'interno della "Nuova Sinistra cinese". Questa corrente rimette in piedi l’eredità del Movimento di ricostruzione rurale del 1930 in Cina. In particolare viene ripreso il pensiero del modernizzatore neo-confuciano Liang Shuming, ma viene sottolineato anche la specificità del problema rurale odierno, e viene tratto spunto dall'esperienza maoista e dalle esperienze di "sviluppo alternativo" in altri paesi. Per questi motivi, abbiamo ritenuto opportuno etichettare questa corrente come "Nuova Ricostruzione Rurale " (Xin xiangcun Jianshe Pai), un nome adottato da molti dei suoi sostenitori mentre il Partito-Stato, nel 2006, annunciava la sua campagna per "costruire una nuova campagna socialista".
Gli articoli di questa sezione trattano dell’approccio della “Nuova Ricostruzione Rurale” riguardo la questione della terra. In generale, questa corrente sostiene che la proprietà collettiva, comprese le terre, costituisca la base materiale delle "comunità di villaggio" e del ”economia contadina”, questi due fattori rappresentano ancora il fondamento della società cinese nel suo complesso e allo stesso modo sono lo “stabilizzatore" e il "serbatoio" della forza-lavoro che alimentano e stabilizzano il processo di modernizzazione della Cina. Vi è un certo disaccordo riguardo la misura in cui i diritti di utilizzo dei terreni debbano essere controllati dalle famiglie, dai gruppi di villaggio o dalle amministrazioni locali. Ma la corrente è unita nell’ergersi contro la privatizzazione e nello schierarsi a favore del controllo collettivo della terra e delle altre risorse, sia per la assegnazione periodica dei terreni agli abitanti dei villaggi che per promuovere progetti comunitari come il controllo delle acque.
La breve relazione svolta ad una conferenza dall’economista Wen Tiejun si erge proprio contro le iniziative di privatizzazione rurale, come quelle sopra descritte, dove le imprese agricole assumono il controllo dei terreni. Il punto centrale della critica di Wen si basa sulla sua lettura dell'economia cinese contadina che è in qualche modo antitetica alle logiche del mercato poiché, secondo le sue convinzioni, la stabilità della Cina dipenderebbe dalla tutela delle terre come mezzo sicuro di sussistenza non soggetto alle fluttuazioni del mercato.
Il secondo articolo è una co-relazione dettagliata scritta da Wen con il sociologo, nonché quadro rurale, He Huili sulle esperienze di aiuto mutuale “città-campagna” e “consumatore-produttore” a Lankao, nel Henan.
Questa relazione illustra le varie forme di cooperazione economica e culturale al di là del livello famigliare: si tratta delle forme di vita collettiva presenti all'interno della società contadina che il Nuova Ricostruzione Rurale mira a rafforzare. Inoltre vorremmo sottolineare un chiarimento di Ha Xuefeng sulle diverse tendenze interne a questa corrente (in particolare, la sua differenza da Wen Tiejun) e sulla coerenza di questa. Ha Xuefeng delinea le sue tesi a favore del rafforzamento della " comunità-villaggio"come elemento non-capitalista (fuori del mercato globale), anche se "integrato "da alcuni fattori tipici del mercato. C’è anche da mettere in evidenza la relazione del sociologo Wang Ximing sulle squadre di villaggio presenti nella pianura di Chengdu, il cui controllo sulla terra e sui meccanismi di cooperazione è alla base di uno dei sistemi di maggior successo di fornitura di beni pubblici, nonostante il limitato sostegno statale.
Le sezioni 6, 7, 8 sono concepite per ragionare su quest’ondata crescente di interessamento, di discussione e di sperimentazione circa i problemi rurali, andando oltre i limiti della “Nuova Ricostruzione Rurale” e introducendoci a quei sistemi grazie ai quali i villaggi hanno utilizzato le loro terre comuni e le altre risorse per mettere in piedi ambiziosi progetti di "economia rurale collettiva." Questi progetti integrano sia l’esperienza delle "Comuni popolari" tipiche del sistema socialista cinese (dal 1958 ai primi anni 1980), sia i cosiddetti “villaggi ricollettivizzati” (Nanjie, Henan) nel contesto del capitalismo odierno.
Usiamo il termine "rurale" perché entrambi questi tipi di organizzazione economica sono avviati nelle zone rurali, ma nella maggior parte dei casi hanno lo specifico obiettivo di diversificare l’economia, al fine di migliorare la qualità della vita pur mantenendo un certo grado di autosufficienza.
Alcuni esponenti di sinistra usano il termine "socialista" sia per descrivere le Comuni dell’epoca di Mao sia per definire le forme collettive sorte in epoca post-maoista, in particolare Nanjie, spesso definito il più importante "bastione del socialismo" cinese. Essi sottolineano che entrambe le forme di organizzazione coinvolgono almeno nella forma, e in alcuni casi nella sostanza, i principi della proprietà collettiva e la gestione su ampia scala delle risorse.
Essi sottolineano anche il fattore grazie al quale nelle Comuni e nei collettivi la distribuzione dei beni e dei servizi è effettuato in base alle necessità, piuttosto che semplicemente in base al lavoro o all'input di capitale. A Nanjie il rapporto ufficiale per gli abitanti dei villaggi è di 2/3 di distribuzione a seconda delle necessità e 1/3 in base al lavoro, e per i non residenti il rapporto è 1/3 necessità, 2/3 lavoro. Secondo l'intervista al leader di Nanjie Wang Hongbin, il villaggio nei prossimi anni ha intenzione di distribuire il 100% dei beni unicamente in base alle necessità .
Gli articoli nelle sezioni da 6 a 8, servono per illustrare gli aspetti positivi di entrambi i modelli collettivi e per estendere la discussione sulle lezioni da trarre per le sfide attuali circa il problema rurale della Cina e del resto del mondo. La sezione 8 aggiunge a questa discussione anche la dimensione ecologica, spesso trascurata.
Tuttavia, per non essere considerati dei nostalgici di questi modelli collettivi, e nella speranza di stimolare un'analisi più critica da sinistra, dobbiamo brevemente annotare i loro limiti. Tali limiti non dipendono dalla proprietà collettiva , dalla gestione e dalla distribuzione a seconda delle necessità, ma dai contesti sociali in cui si muovono sia le comuni di ieri che i collettivi di oggi.
Come la monografia di Wen Tiejun, sull’origine del problema rurale in Cina, dimostra che, dal 19 ° secolo, l'aggressione imperialista straniera ha costretto la Cina ad imitare, per poter sopravvivere, i percorsi di industrializzazione degli Stati capitalisti. Ma la Cina non poteva, così come i paesi "sviluppati" hanno fatto, saccheggiare altri paesi per acquisire il capitale necessario per iniziare l'industrializzazione su scala nazionale.
L'unica soluzione era "l’auto-sfruttamento," cioè aumentare temporaneamente l’estrazione del surplus dal settore agricolo pre-industrializzato alfine di raggiungere un livello sufficiente per supportare la rapida espansione dell'industria.
Lo Stato, nato dopo il 1949, che ha gestito l’economia e il sistema delle Comuni post-1958 ha permesso che avvenisse proprio ciò, minimizzando i costi di transazione, per favorire il trasferimento delle eccedenze da un settore all'altro.
Dal nostro punto di vista, il valore politico principale di questa analisi è quello di mostrare (come la lettera di Tan Tongxue nella sezione 1 suggerisce) che molti dei problemi comunemente associati alle Comuni dipendono dal fatto che queste erano costrette a dover svolgere innanzitutto questa funzione di "accumulazione primitiva". I problemi sorti non dipendevano, quindi, dalla proprietà collettiva o dalla distribuzione “a seconda delle necessità”, ma dal conesto sociale in cui si muovevano.
Nel solco del saggio di Mobo Gao nella sezione 7 e secondo il libro che tale saggio sintetizza, vorremmo anche aggiungere all'analisi di Wen l'invito a studiare più attentamente le metodologie che la Cina ha abbracciato nei primi anni ‘70 per invertire il processo di trasferimento del surplus. Queste metodologie hanno apportato in molte zone rurali un significativo aumento del tenore di vita e i mezzi per miglioramenti futuri (alcuni dei quali hanno subito un degrado a partire dagli anni ‘90 con la commercializzazione dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione). Le analisi di Wen e gli studi di Gao forniscono un punto di partenza per lo sviluppo di un'analisi sulle Comuni che ripudia l’idea che ci fossero fenomeni di sfruttamento, che invece sono emersi nelle aree in cui le Comuni sono state abolite (a volte contro la volontà dei membri del Comune) nei primi anni ’80. Invitiamo pertanto i lettori a togliersi i paraocchi ideologici e ad esaminare seriamente l'esperienza delle comuni per trovare soluzioni ai problemi rurali odierni.
Allo stesso modo, riteniamo che i collettivi parzialmente “socialisti” di oggi, come Nanjie, dovrebbero essere studiati per trovare soluzioni ai problemi del mondo rurale, ma devono anche essere considerati come esperimenti limitati dal contesto capitalistico in cui operano.
L'analisi di Liu Yongji su Nanjie, nella sezione 6, ci dice che i suddetti collettivi sono in primo luogo delle imprese commerciali concorrenti sul mercato capitalista.
Per mettere la questione in termini marxiani, questi collettivi, se vogliono sopravvivere, devono operare secondo la logica capitalistica di costante accelerazione dello sfruttamento o di auto-sfruttamento dei loro membri. Nel caso di Nanjie invece i collettivi devono basarsi sullo sfruttamento dei dipendenti non residenti, che apportano la maggior parte di valore alla produzione e hanno poca voce in capitolo nella gestione del collettivo. Inoltre, come Liu e molti fautori della Nuova Ricostruzione Rurale mettono in evidenza, nelle condizioni attuali e nella maggior parte dei villaggi cinesi, il modello di Nanjie non potrebbe essere riprodotto.
Tuttavia, come con le Comuni dell’epoca di Mao, riteniamo che i collettivi di maggior successo posseggano una duplice natura sia di sfruttamento che di comunitarismo e che quest'ultimo aspetto può essere liberato dal primo e addirittura rafforzato se si adottassero le riforme proposte da Liu. Ma sarebbe ancora più importante trasformare il contesto esterno di modo che i collettivi possano permettersi di essere più democratici e inclusivi.
Allo stesso modo dell'aiuto mutuale promosso dalla Nuova Ricostruzione Rurale, pensiamo che le Comuni maoiste e alcuni dei collettivi rurali odierni offrano delle lezioni importanti circa l’egualitarismo, la partecipazione democratica e la gestione della produzione e della distribuzione orientate al miglioramento duraturo dello standard di vita dei membri in circostanze di risorse limitate e di terreni collettivizzati.
Crediamo che queste esperienze dovrebbero essere studiate da chiunque sia interessato a superare la crisi del mondo rurale. Gli articoli in queste tre sezioni offrono alcuni spunti di riflessione per tale indagine, tanto più che sono solo l’inizio di una letteratura che si appresta ad emergere dalla palude dell’ideologia che ha dominato l’argomento.
Vorremmo in particolare sottolinear la prefazione di William Hinton alla traduzione in cinese di Shenfan: La rivoluzione ininterrotta in un villaggio cinese, ripubblicata qui in preparazione del prossimo libro, a lungo atteso, e per celebrare la pubblicazione del libro finale di Hinton: Come in uno specchio: il punto di vista americano sulla rivoluzione cinese (Monthly Review Press, 2006). I lavori di Hinton restano la documentazione più importante circa i cambiamenti istituzionali nelle zone rurali e riguardo le sperimentazioni durante il periodo maoista.
Allo stesso modo, anche se il saggio di Gao Mobo, "Scritti storici", è stato pubblicato precedentemente ed è stato ampiamente distribuito su internet, lo vogliamo allegare qui in attesa traduzione in cinese di Gao Village: Rural Life in Modern China, per celebrare il nuovo libro di Gao: La battaglia in difesa del passato maoista e della Rivoluzione Culturale (Pluto Press, 2008).
Noi consideriamo che i problemi rurali della Cina rientrino nel più vasto contesto della crisi globale, manifestatasi soprattutto tra i diseredati delle zone rurali che non possono o non vogliono integrarsi nel esercito permanente del lavoro al servizio del capitale. Il nostro interessamento alla questione è l’emblema della contraddizione che da una parte vede le espropriazioni gestite dal capitale (tra cui l'espropriazione delle terre dei contadini) come una correzione alla propria estenuante crisi di sovra-accumulazione, e che dall’altro vede l’incapacità del capitale a sostenere coloro che vengono espropriati.
Secondo noi, i contadini della Cina sono simultaneamente inglobati ed esclusi dal capitalismo globale così come i contadini, i proletari, i disoccupati, gli occupati e i lavoratori semi-autonomi del resto del mondo.
Pochissime famiglie contadine cinesi sono in grado di soddisfare i loro bisogni di base se non partecipano al mercato globale, e quando lo fanno, sia che si tratti di vendere il riso a prezzi di sfruttamento o di vendere forza-lavoro al super-sfruttamento o di pagare gli interessi sui prestiti per l'acquisto di fertilizzante o di pagare i costi per l'istruzione e la sanità, le forze capitaliste locali e straniere le sfruttano in Cina esattamente come in India, in Messico o negli Stati Uniti.
E il capitale le minaccia allo stesso modo con espropriazioni illegali e legali di ogni attività conquistata nel corso di decenni di lotta, come i diritti collettivi per le risorse. Il grado di sfruttamento e di resistenza alla spoliazione è un fattore interamente politico che riflette non solo la geografia irregolare dell'accumulazione capitalistica, ma anche il grado di organizzazione delle opposizioni dei diversi gruppi di contadini e lavoratori.
Gli ultimi anni di intensificazione della globalizzazione hanno visto una ripresa storica delle organizzazioni contadine transnazionali, come Via Campesina e delle altre reti di contadini in lotta contro le istituzioni del capitalismo transnazionale come l'OMC. I contadini cinesi, i lavoratori e i loro sostenitori hanno gradualmente cominciato a entrare in queste reti.
Riteniamo che i contadini cinesi abbiano molto da insegnare al movimento alter-mondista grazie alla loro esperienza di lotta politica e grazie ai loro esperimenti di tipo cooperativo e collettivo. Offriamo questa serie di letture come punto di partenza per lo studio di queste esperienze come una guida verso il coordinamento dell'uso sostenibile delle risorse del mondo, in modo che tutti possano godere dei frutti dell’industrializzazione senza dover lavorare a morte e senza dover distruggere la Terra.
fonte: China Left Reviw
traduzione di ossin