Un'impostura criminale
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Il Manifesto, 22 marzo 2011
ONU e guerra umanitaria: un'impostura criminale
di Danilo Zolo
Il vento di rivolta che ha investito i paesi del Maghreb e del Mashrek, dalla Tunisia alla Libia, all’Egitto, allo Yemen, al Bahrein, non annuncia una nuova primavera delle popolazioni arabo-islamiche. La libertà, la democrazia, la giustizia, un minimo di benessere sono un sogno ancora molto lontano. I loro nemici sono potenti.
La guerra che l’altro ieri gli alleati europei Francia e Gran Bretagna assieme agli Stati Uniti, hanno scatenato contro la Libia è la prova della loro volontà di porre sotto il proprio controllo l’area mediterranea, completamente il Golfo e in prospettiva l’Africa.
L’esaltazione dei diritti umani, la garanzia della sicurezza e della pace sono pura retorica, l’ennesima sanguinaria impostura dopo le tragiche aggressioni all’Iraq e all’Afghanistan e dopo le stragi che lo Stato di Israele – strettissimo alleato degli Stati Uniti – ha compiuto e continua a compiere contro il popolo palestinese.
Gli Stati Uniti, stavolta in aperta confusione con i loro alleati e probabilmente all’interno della stessa Amministrazione, provano a malapena a nascondere la loro vocazione neocoloniale e neoimperiale sotto il mantello dell’ennesima humanitarian intervention. La disinvolta violazione della Carta delle Nazioni Unite e l’uso opportunistico del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite provano alla fine la loro incontenibile volontà di potenza. Si ripete alla lettera il modello dell’aggressione criminale della Nato contro la Serbia del 1999, voluta dal presidente Bill Clinton per la «liberazione» del Kosovo. Si è trattato di un intervento «umanitario» che ha fatto strage dal cielo di migliaia di persone innocenti.
È sufficiente una rapida lettura della risoluzione 1973 del 17 marzo, con la quale si è deciso il «No-Fly Zone» contro la Libia, per cogliervi una gravissima violazione della Carta delle Nazioni Unite, oltre che del diritto internazionale generale. La violazione della Carta è evidente se si tiene presente che il comma 7 dell’art. 2 stabilisce che «nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengano alla competenza interna di uno Stato». È dunque indiscutibile che la «guerra civile» di competenza interna alla Libia non è un evento di cui possa occuparsi militarmente il Consiglio di Sicurezza.
Oltre a questo, l’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite prevede che il Consiglio di Sicurezza può autorizzare l’uso della forza militare soltanto dopo aver accertato l’esistenza di una minaccia internazionale della pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione (da parte di uno Stato contro un altro Stato). Questa è dunque una seconda, assoluta ragione che rende criminale la strage di persone innocenti che i volenterosi alleati europei e gli Stati Uniti si apprestano a fare in Libia. E copre di vergogna il governo italiano impegnato con le sue basi e i suoi aerei militari a contribuire nello spargimento di sangue di un popolo di cui si dichiarava enfaticamente amico sino a qualche settima fa. E non ha alcun senso servirsi – come più volte fa la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza - della cosiddetta «responsabilità di proteggere» (Responsibility to Protect). Si tratta della contestatissima risoluzione 1674 del 28 aprile 2006 del Consiglio di Sicurezza. Accertata una grave violazione dei diritti umani da parte di uno Stato, il Consiglio di Sicurezza – si sostiene – può dichiarare che si
tratta di una minaccia della pace e della sicurezza internazionale.
E può quindi adottare tutte le misure militari che ritiene opportune. Non è necessario spendere molte parole per argomentare che il Consiglio di Sicurezza non è competente ad emanare nuove norme di diritto internazionale.
Ed è altrettanto ovvio che la «guerra civile» interna alla Libia non rappresentava e non rappresenta tuttora una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, come del resto ben cinque membri del Consiglio di Sicurezza (Germania, Russia, India, Cina e Brasile) hanno implicitamente sostenuto rifiutando di votare a favore della risoluzione.
Di più, essi hanno deplorato l’aggressione che Francia, Inghilterra e Stati Uniti hanno scatenato contro la popolazione libica in nome della tutela dei diritti umani. Come la Lega araba ha sostenuto che, comunque il suo obiettivo è «salvare i civili non ucciderne altri». È ormai evidente che altre vie potevano essere imboccate alla ricerca di una mediazione e per una soluzione del conflitto.
Fino a poco tempo fa eravamo convinti che gli Stati Uniti avessero cambiato volto grazie al nuovo presidente Barack Obama. Ma ora siamo certi che il volto non basta e che può addirittura fungere da maschera, come dimostrano le continuità di guerra in Afghanistan, il silenzio assenzo sul disastro del popolo palestinese, la mancata - quanto promessa - chiusura di Guantanamo. A proposito di diritti umani.
Nulla è cambiato nella strategia egemonica degli Stati Uniti e questo avrà conseguenze molto gravi proprio nei confronti del popolo libico che si finge di voler salvare dalle violenze di un dittatore. È agevole prevedere che la guerra non cesserà finché Gheddafi non sarà fatto prigioniero o ucciso (così come il leader iracheno Saddam Hussein venne impiccato per volontà del presidente degli Stati Uniti, George Bush J.). Ed è altrettanto facile prevedere che a guerra conclusa gli Stati Uniti eserciteranno il loro potere per garantirsi il controllo della Libia – o della Cirenaica «stato», come oggi controllano militarmente e strategicamente il Kosovo – per sfruttarne le ricchissime risorse energetiche,
come è già accaduto in Iraq. Questa è, e sarà, la «guerra giusta» del Mediterraneo di Barack Obama e del «falco» Hillary Clinton.