Gabriel Garcia Marquez è morto
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Lutto della letteratura
Gabriel Garcia Marquez è morto
Ahmed Bensaada
Ho incontrato Gabriel Garcia Marquez nel 1982, sulla banchina di una stazione parigina. Stava là, davanti a me, bene in vista. La carnagione scura, le sopracciglia cespugliose, i folti baffi, gli conferivano più l'aria di un Arabo che di un Latino. E però sarebbe stato difficile sbagliarsi sulle sue origini, a causa del "liqui-liqui" (abito tradizionale delle pianure colombo-venezuelane, ndt) che sfoggiava fieramente. Era lo stesso costume immacolato che aveva indossato qualche giorno prima, quando gli avevano conferito il Premio Nobel per la letteratura. Io feci qualche passo lungo la banchina, ma i suoi occhi mi seguivano e il suo sorriso persistente sembrava squadrarmi.
Decisi allora di avvicinarmi al romanziera colombiano. Un poster con la sua immagine occupava quasi tutta la facciata del chiosco dei giornali. Lo guardai negli occhi e il suo sorriso mi parve diventare più conviviale. Sotto il poster, una pila di libri identici: "Cento anni di solitudine" era scritto a lettere bianche sulla copertina, proprio al di sopra di una casa rurale, qualche palma e altri alberi di cui ignoravo il nome.
"Cento anni di solitudine"? Come è possibile?
Decisi di acquistare il libro sotto lo sguardo benevolo dell'uomo baffuto del poster che non smetteva di guardarmi.
Sprofondato nella poltrona del treno che mi portava a Marsiglia, mi sistemai l'auricolare del walkman, inserii una cassetta dell'album "Oxygene" di Jean-Michel Jarre. Premetti sul "play", aumentai il volume e aprii il libro:
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio".
Per ore mi sprofondai nel romanzo come inoltrandomi in una foresta vergine lussureggiante e talmente fitta, che era impossibile trovare la via del ritorno. Come uno scienziato attonito davanti a una flora e una fauna non classificate nei libri, scoprii pagina dopo pagina il libro magico di questo scrittore dalla penna feconda e fiabesca: la saga dei Buendia, il fantastico villaggio di Macondo, Melquiades, il profeta gitano dalle mani di passerotto e dalla barba irsuta, il patriarca José Aureliano Buendia morto pazzo, legato a un albero, il colonnello Aureliano Buendia che partecipò a 32 guerre sfidando la morte, Remedios la bella che volò in cielo con le lenzuola, la misteriosa maledizione dei bambini con la coda di maiale, ecc.
Giunto a destinazione, non sapevo più se ero a Marsiglia o a Macondo. Anche senza auricolari, sentivo ancora la musica elettronica di Jean Michel Jarre risuonare intorno a me. Anche senza libro, non riuscii più a tirarmi fuori da questa storia fuori del tempo, dove il miracolo delle parole faceva della realtà e della magia una simbiosi perfetta. La morte, la vita, l'amore, l'odio, la guerra, la pace, la ragione e la follia sfidavano la linea inesorabile del tempo che non aveva alcuna presa sugli avvenimenti. Provavo la strana impressione di essermi avventurato in un mondo parallelo, un mondo affrancato dalla gravità e dalle inerzie terrestri, un mondo misterioso e sacro dal quale era impossibile uscire indenni...
Dopo questo shock letterario che non ha mai smesso di ossessionarmi fino ad oggi, ho imparato a conoscere Gabriel Garcia Marquez, Gabo per gli amici. Quale fu la mia sorpresa nell'apprendere, più tardi, che egli aveva simpatizzato per la rivoluzione algerina, fin dal 1956, quando vivacchiava a Parigi e passava dei momenti difficili.
Tutto era cominciato quando venne malauguratamente fermato dalla polizia insieme ad alcuni militanti algerini: il suo aspetto di arabo non l'aveva aiutato.
"Una sera, uscendo dal cinema, venni arrestato in strada da poliziotti che mi sputavano in faccia e mi fecero montare, a suon di botte, in un furgone blindato. Era pieno di Algerini taciturni, anch'essi beccati, con botte e sputi, nei bistrot del quartiere. Anche loro, come gli agenti che ci avevano arrestati, credevano che io fossi algerino. Così passammo la notte insieme, stretti come sardine in una cella del commissariato più vicino, mentre i poliziotti, in maniche di camicia, parlavano dei loro figli e mangiavano fette di pane inzuppate nel vino. Gli Algerini e io, per far loro dispetto, restammo svegli tutta la notte cantando le canzoni di Brassens contro gli eccessi e l'imbecillità della forza pubblica", ha raccontato (1).
Quelle 48 ore di carcere gli hanno dato l'occasione di conoscere un compagno di sventura, un medico algerino che si chiamava Ahmed Tebbal. Dopo il rilascio, essi divennero grandi amici e l'Algerino iniziò il Colombiano alla sua lotta "coinvolgendolo anche in qualche azione sovversiva fatta in nome della causa algerina" (2).
Garcia Marquez nel 1955, davvero sembra un Algerino
Gabo venne più volte invitato in Algeria, per partecipare alle festività di commemorazione del 1° novembre 1954, data di inizio della rivoluzione algerina. Come nel 1979, per il 25° anniversario di questo evento memorabile. Durante il suo soggiorno nella capitale algerina, dichiarò a un giornalista sbalordito: "La rivoluzione algerina è stata la sola lotta per la quale io sono stato imprigionato" (3).
D'altronde è stato proprio in occasione di questo viaggio che egli concepì la versione finale del celebre romanzo "Cronaca di una morte annunciata". Questa opera era ispirata ad un fatto diverso riguardante l'orribile assassinio di un amico di gioventù, Cayetano Gentile Chimento da parte dei fratelli Chica Salas per una questione di onore che riguardava la loro sorella. Gabo confidò al suo biografo che, all'aeroporto di Algeri, l'immagine di un principe arabo che portava con sé un falco gli aveva improvvisamente aperto gli occhi su un nuovo modo di presentare il conflitto tra Cayetano Gentile Chimento e i fratelli Chica Salas. Cayetano Gentile, un immigrato italiano, è diventato allora Santiago Nasar, un Arabo, amante della falconeria e protagonista del romanzo (4).
Gabriel Garcia Marquez ha raggiunto Remedios la bella. E' morto il 17 aprile 2014, data del 53° anniversario dello sbarco alla Baia dei Porci. Probabilmente una strizzatina d'occhio al suo amico di sempre Fidel Castro, chissà?
"Non si muore quando vogliamo, ma solo quando possiamo", aveva fatto dire al colonnello Aureliano Buendia.
Ma romanzieri di questo livello muoiono veramente?
Riferimenti:
1. Gerald Martin, "Gabriel Garcia Marquez: A Life", Penguin, Canada, 2008
2. Gabriel Garcia Marquez, « Desde Paris, con amor », El Pais, 29 dicembre 1982, http://elpais.com/diario/1982/12/29/opinion/409964412_850215.html
3. Ibid.
4. Vedi riferimento 1
10 dicembre 1982: Conferimento del Premio Nobel a Gabriel Garcia Marquez
"Cronaca di una morte annunciata" - In lingua spagnola