wordpress.com, 19 aprile 2014 (trad. ossin)



La Baia dei Porci e lo scrittore che sfidò la CIA

Gabriel Garcia Marquez


L'invasione della baia dei Porci fu il fallito tentativo da parte di esuli cubani e mercenari addestrati dalla CIA di conquistare la parte sud-ovest di Cuba, per invadere Cuba e rovesciare il governo di Fidel Castro.

L'operazione è conosciuta in inglese come "Bay of Pigs Invasion" e in spagnolo come "La Batalla de Girón".

L'operazione, programmata dal direttore della CIA Allen Welsh Dulles durante l'amministrazione Eisenhower, venne lanciata nell'aprile 1961, neanche tre mesi dopo l'insediamento di John Fitzgerald Kennedy alla presidenza. Le forze armate cubane sconfissero la forza d'invasione in tre giorni di combattimenti.

La forza da sbarco principale prese terra in una spiaggia chiamata Playa Girón, motivo per cui nei paesi sudamericani il fatto è noto anche come "battaglia di Girón" o semplicemente "Playa Girón". Il piano preparato dal 5412 Committee della CIA, il 16 marzo 1960, fu denominato "Programma per un'azione segreta contro il regime di Castro" (A Program of Covert Action against the Castro Regime) ed in seguito chiamato "operazione Zapata", dal nome geografico della zona da conquistare (Ciénaga de Zapata).

L'operazione screditò la propaganda elettorale di John F. Kennedy, detta della Nuova Frontiera, improntata su auspici di pace e libertà (da Wikipedia)

 




Il modo in cui il Governo rivoluzionario di Cuba riuscì a sapere con diversi mesi di anticipo il luogo e le modalità con cui venivano addestrate le truppe che sarebbero dovute sbarcare alla Baia dei Porci è uno dei miei migliori ricordi di giornalista. Le prime informazioni giunsero all'Ufficio centrale di Prensa Latina, a La Havana, dove lavoravo nel dicembre 1960, per un caso quasi inverosimile. Jorge Ricardo Masetti, il direttore generale, la cui ossessione dominante era di fare di Prensa Latina una agenzia migliore di tutte le altre, sia capitaliste che comuniste, aveva istituito una sala speciale di telescriventi per centralizzare e poi analizzare in comitato di redazione l'attività quotidiana dei servizi stampa del mondo intero.  Passava ore ed ore a scrutare gli immensi rotoli di notizie che si accumulavano senza tregua nel suo ufficio, valutava quel torrente di informazioni, che si ripetevano secondo diversi punti di vista e secondo tante prospettive contraddittorie,  in uscita da agenzie tanto diverse e, alla fine, le paragonava coi nostri servizi.


Una notte, non si sa come, gli capitò tra le mani un rotolo che non proveniva dalle agenzie, ma da una compagnia di comunicazioni commerciali, la Tropical Cable, filiale della All American Cable in Guatemala. Tra vari messaggi personali, ve n'era uno, molto ampio e denso, scritto in un codice complicato. Rodolfo Walsh che, oltre a essere un buon giornalista aveva pubblicato eccellenti romanzi polizieschi, si prese l'incarico di decrittare il messaggio, con l'aiuto di un qualche manuale di crittografia  raccattato in qualche bancarella di libri usati de La Havana. Ci riuscì, dopo molte notti di veglia, e quello che trovò fu non solo una notizia sconvolgente, ma anche una informazione provvidenziale per il governo rivoluzionario.


Il messaggio era inviato a Washington da un funzionario della CIA assegnato all'ambasciata degli Stati Uniti in Guatemala, ed era un rapporto preciso su tutti i preparativi per uno sbarco armato a Cuba, patrocinato dal Governo degli Stati Uniti. Si rivelava anche il luogo dove le reclute dovevano andare ad addestrarsi: la hacienda di Retalhuleu, una vecchia piantagione di caffè nel nord del Guatemala.



Un'idea magistrale

Un uomo del temperamento di Masetti non poteva dormire tranquillo senza approfondire la cosa. Come rivoluzionario e come giornalista, si mise in testa l'idea di infiltrare un inviato speciale nella piantagione di Rethuleu. Per molte notti, nel corso delle riunioni nel suo ufficio, avevo l'impressione che non pensasse ad altro. Alla fine ebbe un'idea magistrale. Gli venne improvvisamente, mentre guardava Rodolfo Walsh, che si avvicinava lungo lo stretto vestibolo dell'ufficio, con la sua camminata un po' rigida e i passi piccoli e rapidi. Aveva lo sguardo luminoso e gli occhi sorridenti dietro gli occhiali dalla grossa montatura di tartaruga, un inizio di calvizie e dei ciuffi ondeggianti e pallidi, e la sua pelle era dura e segnata dal sole come quella di un bracconiere in vacanza. Quella notte, come quasi sempre, portava dei pantaloni di panno molto scuri e una camicia bianca senza cravatta con le maniche arrotolate fino al gomito. Masetti mi chiese: "Di che tipo di persona Masetti ha il viso?" Io non ebbi bisogno di riflettere perché la risposta era troppo evidente: "Di un pastore protestante", risposi. E Masetti radioso: "Esattamente, ma di un pastore protestante che venderà le Bibbie in Guatemala". Aveva finalmente terminato le sue intense meditazioni degli ultimi giorni.


Essendo di diretta discendenza irlandese, Rodolfo Walsh era inoltre un bilingue perfetto. Di modo che il piano di Masetti aveva poche probabilità di fallire. Rodolfo Walsh sarebbe dovuto partire il giorno dopo per Panama, per poi passare in Nicaragua e in Guatemala con un abito nero e un colletto bianco rialzato, e avrebbe predicato i disastri dell'Apocalisse, che conosceva a memoria, vendendo Bibbie di porta in porta, fino al luogo esatto del campo di addestramento. Se fosse riuscito a guadagnarsi la fiducia di una recluta, avrebbe potuto scrivere un reportage eccezionale. Il piano fallì perché Rodolfo Walsh venne arrestato a Panama per un errore del governo di Panama. Nell'occasione la sua identità venne accertata e quindi non si volle proseguire la messa in scena del venditore di Bibbie.


Non per questo Masetti accettò l’idea che le agenzie di stampa yankee avessero i loro corrispondenti a Retalhuleu, mentre Prensa latina doveva accontentarsi di continuare a decrittare i messaggi segreti. Poco prima dello sbarco, lui ed io ci recammo dal Messico a Lima, e ci toccò fare uno scalo imprevisto per cambiare aereo in Guatemala. Nel soffocante e sporco aeroporto di La Aurora, bevendo una birra ghiacciata sotto i ventilatori a pale dell'epoca, infastiditi dal ronzio delle zanzare e dall'odore di fritto rancido che veniva dalla cucina, non riuscimmo a chiudere occhio. Masetti progettava di noleggiare un'auto, scappare dall'aeroporto e andare senza troppe formalità a scrivere il gran reportage di Retalhuleu. Io lo conoscevo allora già abbastanza bene per sapere che aveva delle ispirazioni brillanti e degli impulsi audaci, ma allo stesso tempo era molto sensibile alle critiche ragionevoli. Anche quella volta, come altre, riuscii a dissuaderlo: "Benissimo, che - mi disse, convinto forzatamente - ho di nuovo sfidato il tuo buon senso". E poi, sollevato, mi disse per l'ennesima volta:


"Tu sei un piccolo tranquillo liberale".


Allora, siccome l'aereo tardava, gli proposi un'avventura di consolazione, che accettò incantato. Scrivemmo a quattro mani un articolo dettagliato, basato sulle molte verità ricavate dai messaggi in codice, ma lasciando credere che si trattava di informazioni che avevamo raccolto sul terreno nel corso di un viaggio clandestino nel paese. Masetti scriveva, morendo dal ridere, arricchendo la realtà di dettagli fantastici che inventava mano a mano che scriveva. Un soldato indio, magro e a piedi nudi, ma con un casco tedesco e un fucile della Seconda Guerra Mondiale, scuoteva il capo vicino alla cassetta delle lettere, senza staccare da noi il suo sguardo abissale. Poco più lontano, in un piccolo parco piantato con qualche triste palma, c'era un fotografo con un apparecchio dal manico nero, uno di quegli apparecchi che scattano istantanee davanti a paesaggi idilliaci di laghi e di cigni. Quando terminammo di scrivere l'articolo, vi aggiungemmo qualche diatriba personale che ci sorgeva dal fondo del cuore, firmammo coi nostri veri nomi e coi nostri titoli giornalistici, poi, come prova, ci facemmo scattare qualche foto, senza però lo sfondo di cigni, piuttosto davanti al vulcano ansimante e riconoscibile che dominava l'orizzonte della sera. C'è ancora una copia di questa foto, ce l'ha la vedova di Masetti a La Havana. Alla fine infilammo il reportage e la foto in un plico indirizzato al signor generale Miguel Ydigoras Fuentes, presidente della Repubblica del Guatemala, e, approfittando di una frazione di secondo nel quale il soldato di guardia si lasciò vincere dalla siesta, infilammo la lettera nella cassetta.


Qualcuno aveva detto pubblicamente all'epoca che il generale Ydigoras Fuentes era un vecchio inutile, e allora lui era apparso alla televisione, a 69 anni, vestito da atleta, e aveva fatto degli esercizi alla sbarra e sollevato dei pesi, e perfino rivelato taluni intimi exploit della sua virilità, tutto questo per dimostrare ai telespettatori che era ancora un militare fino in fondo. Nella nostra lettera non mancavano ovviamente le nostre felicitazioni per il suo ridicolo talento.


Masetti era radioso. Io lo ero meno perché l'aria si andava saturando di vapori umidi e freschi e qualche nuvola notturna si era addensata sul vulcano. Mi chiedevo che cosa ci sarebbe capitato se si fosse scatenata una tempesta imprevista e il volo fosse stato rinviato al giorno successivo e il generale Ydigoras Fuentes avesse ricevuto, prima della nostra uscita dal Guatemala, la lettera con le nostre fotografie. Masetti si indignò con la mia immaginazione diabolica. Però più tardi, in volo verso Panama, al riparo dai rischi di quella puerile provocazione , finì per ammettere che noialtri tranquilli liberali riusciamo talvolta ad avere una vita più lunga, perché prevediamo anche i fenomeni più improbabili. Ventun’anni dopo, una sola cosa rimpiango di quel giorno indimenticabile: non avere mai saputo se il generale Ydigoras Fuentes ha ricevuto la nostra lettera il giorno successivo, come avevamo previsto durante la nostra estasi metafisica.    

 

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