Quando padrino di Israele era l'Unione Sovietica
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Le Monde diplomatique, settembre 2014 (trad. ossin)
Gli errori di Stalin
Quando padrino di Israele era l'Unione Sovietica
Michel Réal
Il 17 maggio 1948, l'URSS riconosceva lo Stato di Israele, creato solo tre giorni prima (1). Questo gesto, considerato come una grande vittoria dal movimento sionista, è l'epilogo di un processo durato diversi anni. I primi contatti si ebbero a Londra, all'inizio del 1941. Mentre l'URSS era ancora alleata con la Germania nazista, il presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, Chaim Weizmann, incontrò l'ambasciatore sovietico Ivan Maiski. Discussero del futuro della Palestina. Weizmann propendeva per la creazione di uno stato ebraico. I colloqui dell'ambasciatore sovietico proseguirono, qualche settimana dopo, con David Ben Gurion, dirigente dello Yichouv, la comunità ebraica residente in Palestina, e futuro primo ministro israeliano. Nonostante la storica opposizione del movimento comunista al progetto sionista, il nuovo stato non confliggeva con gli interessi sovietici, e tuttavia, fino al 1946, Mosca mantenne le sue riserve.
La svolta vi fu nel maggio 1947. Il Regno Unito, che aveva ottenuto dalla Società delle Nazioni (SDN), nel 1922, il mandato sulla Palestina, decise di sottoporre il dossier all'Organizzazione delle Nazioni unite (ONU), che cominciò a lavorarci sopra. Andrei Gromyko, giovane vice ministro degli Affari Esteri sovietico, annunciò allora che l'URSS avrebbe potuto appoggiare la divisione della Palestina in due Stati, uno ebraico e l'altro arabo, se la soluzione bi-nazionale si fosse rivelata impossibile da realizzare.
Da allora e fino al 1949, Israele ha beneficiato del sostegno politico, militare e demografico dell'URSS di Giuseppe Stalin. E ciò, nonostante il fatto che il leader sovietico avesse intanto avviato una campagna di repressione contro gli Ebrei, dovuta in gran parte a ragioni di lotta intestina per il potere al vertice dello Stato.
Uomini e armi
Sulla scena diplomatica, l'URSS giocò un ruolo centrale nell'adozione del piano di divisione della Palestina da parte dell'ONU, il 29 novembre 1947. Oltre al proprio, garantì anche il voto dei paesi satelliti, con la sola eccezione - mai spiegata - della Jugoslavia. Ma l’Unione Sovietica fornì anche a Israele le due risorse di cui aveva più bisogno: uomini e armi.
La battaglia demografica era vitale per la riuscita del progetto sionista. La popolazione ebraica in Palestina era, nel 1946, di 600.000 persone, vale a dire un terzo del totale. Occorreva a tutti i costi che i sionisti riuscissero a spostare a loro favore il rapporto di forze. L'URSS contribuì a questa riuscita in modo decisivo,
In primo luogo, fornì candidati all'emigrazione in Palestina. Nel corso dell'anno 1946, fece partire più di 150.000 ebrei polacchi verso le zone di occupazione inglesi e statunitensi in Germania, dove si unirono ai profughi dei campi. Si trattava di scampati ai campi nazisti, o gente che si trovava alla fine della guerra senza casa e senza famiglia, e che non aveva altra scelta se non quella di andare in Palestina. Il comportamento di Mosca aggravò questo problema, che mise il Regno Unito in una situazione difficile. Londra subiva forti pressioni non solo dal movimento sionista, ma anche dagli Stati Uniti. Gli Statunitensi non volevano accogliere questi rifugiati sul loro territorio e allo stesso tempo temevano gli effetti sull'opinione pubblica delle immagini di queste navi di emigranti illegali in viaggio verso la Palestina, respinti senza riguardi dalle forze inglesi.
Prima del 1948, l'URSS ha sostenuto, direttamente o indirettamente, alcune operazioni di immigrazione clandestina organizzate dall'Agenzia ebraica a partire dai paesi dell'Europa dell'est, soprattutto dalla Romania e dalla Bulgaria. I due terzi degli ebrei giunti in Palestina tra il 1946 e il 1948 provenivano da questi due paesi.
Dopo il 14 maggio 1948 e la proclamazione di indipendenza di Israele, la questione dell'immigrazione divenne ancora più vitale. Occorreva oramai rifornire di reclute il giovane esercito. In altri termini, alimentare i flussi migratori equivaleva a sostenere i progetti di guerra israeliani. Ebbene, tra il 1948 e il 1951, più di 300.000 ebrei dell'Europa dell'est emigrarono in Israele, vale a dire la metà del numero totale di immigranti di questo periodo.
Mosca sosteneva il giovane Stato ebraico anche sull'altro fronte della battaglia demografica: quello della omogeneizzazione della popolazione, che determinò l'esodo, e soprattutto l'espulsione, di più di 700.000 Arabi palestinesi. L'URSS escluse ogni responsabilità israeliana e accusò piuttosto Londra. Nel 1948, Londra votò contro la risoluzione 194 dell'Assemblea Generale dell'ONU sui rifugiati palestinesi, che prevedeva la possibilità del loro ritorno.
Sul piano militare, l'URSS fornì il suo aiuto alla causa sionista prima ancora della creazione di Israele, Fin dal mese di maggio del 1947, l'acquisto di armi era diventata una priorità per Ben Gurion. Su richiesta dell’URSS, la Cecoslovacchia diventò il principale fornitore di armi di Israele. Tra il 1948 e il 1951, Praga fornì armi leggere e pesanti, ivi compresi carri armati e aerei da combattimento, assicurando anche la formazione dei militari.
Nel 1968 Ben Gurion dirà che queste armi “hanno salvato il paese”: “Furono l’aiuto più importante che abbiamo ottenuto (…) Dubito molto che senza di esse avremmo potuto sopravvivere dopo il primo mese (2)”.
Una campagna antisemita
Nel corso di questa prima sequenza, che copre il decennio 1941-1951, Israele ottenne dunque dall’URSS, in tutti i campi, un aiuto superiore alle sue speranze, senza peraltro perdere gli aiuti occidentali, in primo luogo quello degli Stati uniti. Ma in seguito, diversi episodi provocarono discordie, fino alla rottura delle relazioni diplomatiche nel febbraio 1953. Prima vi fu l’arresto totale dell’emigrazione ebraica dall’Europa dell’est, dove le campagne antisemite infuriavano. Poi vi fu il processo di Praga del novembre 1952. Dopo il divorzio tra Stalin e la Jugoslavia del maresciallo Tito del 1948, le “democrazie popolari” dell’Europa dell’est conobbero vaste purghe. In Cecoslovacchia, il segretario generale del partito comunista, Rudolf Slansky, venne accusato di avere ordito un complotto “imperialista sionista”. Durante il processo, undici dei quattordici accusati erano ebrei ed esplicitamente indicati come tali.
Si aggiunse la vicenda dei “camici bianchi”. Il 13 gennaio 1953, la Pravda pubblicò un comunicato che accusava un gruppo di “medici sabotatori”, per lo più ebrei, di avere assassinato dei dirigenti sovietici, per ordine di una organizzazione ebraica internazionale. Vennero arrestate diverse personalità. Tra loro, anche Polina Jemtchoujina, la moglie di Viatcheslav Molotov, braccio destro di Stalin; Ivan Maiski, l’ex diplomatico che aveva giocato un ruolo chiave nei contatti col movimento sionista; e ancora Maria Weizmann, la sorella del presidente israeliano Chaim Weizmann.
La morte di Stalin, il 5 marzo 1953, pose termine alla escalation tra i due paesi e segnò la fine della campagna contro gli ebrei sovietici. Le relazioni diplomatiche saranno ristabilite in luglio. Si apriva una nuova era. Non si avrà però un ritorno all’epoca d’oro degli anni 1947-1949, e la guerra del giugno 1967, nella quale Mosca sosterrà l’Egitto e i suoi alleati arabi, porterà ad una nuova rottura delle relazioni diplomatiche. Esse saranno ristabilite solo nel 1991, qualche settimana prima della sparizione dell’URSS.
Note:
(1) Sul periodo 1948-1953, cfr Laurent Rucker, Staline, Israel et les Juifs, Presses universitaires de France (PUF), Parsi, 2001
(2) Citato in Uri Bialer, Between East and West: Israel’s Foreign Policy Orientation 1948-1956, Cambridge University Press, 1990