La Corte di Ingiustizia internazionale
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Le Grand Soir, 15 novembre 2014 (trad. ossin)
La Corte di Ingiustizia internazionale
Kharroubi Habib
Con la vicenda della « Mavi Marmara » si è avuta un’ulteriore prova che la Corte Penale Internazionale (CPI) è un istituto di ingiustizia al servizio dei più forti
Nel 2010, come tutti ricordano, commandos militari israeliani effettuarono un assalto assassino in acque internazionali contro la flottiglia umanitaria che si dirigeva a Gaza, per portare soccorso alla popolazione di questo territorio palestinese sottoposto ad un implacabile blocco da parte dello Stato sionista. Il raid ha provocato nove morti tra i volontari che si trovavano a bordo di una delle navi, la “Mavi Marmara”, tutti cittadini turchi. Cosa per cui la Repubblica delle Comore aveva, in qualità di Stato firmatario dello Statuto di Roma e paese presso il quale era stata registrata la “Mavi Marmara”, denunciato lo Stato sionista per crimini di guerra dinanzi alla Corte Penale Internazionale (CPI).
Più di quattro anni dopo, la CPI ha emesso un’ordinanza che si conclude affermando che “si può ragionevolmente pensare che effettivamente siano stati commessi dei crimini di guerra di competenza della Corte su una delle navi, la “Mavi Marmara”, ma che essi non sono stati “sufficientemente gravi” perché si proceda oltre. La procuratrice presso questa Corte, Fatou Bensouda, ha spiegato la decisione, pretendendo che la CPI deve occuparsi dei crimini di guerra “su larga scala”, o che siano esecuzione di un piano o di una politica.
L’ordinanza della Corte Penale Internazionale non è di fatto che una conferma dell’impunità giudiziaria di cui beneficia li Stato sionista, e del rispetto ad esso accordato da questa istanza penale internazionale, per altri versi pronta a intervenire in caso di crimini di guerra commessi in altri Stati non protetti dai potenti protettori di Israele.
Così dunque, secondo la magistrata della CPI, il crimine commesso sulla “Mavi Marmara”, benché debba considerarsi un crimine di guerra, non determinerà l’apertura di un’inchiesta e le indagini preliminari sono chiuse in quanto, secondo lei, “i parametri giuridici stabiliti dallo Statuto di Roma” per un’azione della CPI “non sarebbero configurati”.
I dirigenti dello Stato sionista hanno esultato all’annuncio dell’ordinanza della CPI e hanno avuto perfettamente ragione a farlo. La motivazione con la quale la CPI ha chiuso la vicenda della “Mavi Marmara”, li pone al riparo da condanne anche per gli altri crimini di uguale natura che il loro esercito e le sue forze di sicurezza commettono, praticamente quotidianamente, contro la popolazione palestinese dei territori sotto occupazione. Il raid contro la flottiglia umanitaria che, secondo la Corte Penale Internazionale, ha prodotto un numero di morti che non merita la sua “augusta” attenzione ha la stessa natura, tuttavia, dei crimini di guerra che Israele commette a ripetizione nei territori occupati, in esecuzione di un piano e di una politica che hanno un obiettivo genocidario del popolo palestinese, di cui solo la CPI sembra non essersi avveduta. La CPI ha dimostrato identica “cecità” nei confronti dei crimini commessi da Israele nel corso delle due aggressioni militari contro la striscia di Gaza, per le quali non si è ritenuta competente, benché avessero il carattere di crimini contro l’umanità, come hanno attestato e denunciato sia i rappresentanti dell’ONU che le organizzazioni internazionali umanitarie o di difesa dei diritti dell’uomo.
Con questa ordinanza, emessa nella vicenda della “Mavi Marmara”, la CPI non ha fatto altro che confermare l’accusa di essere un’istanza giudiziaria internazionale che pratica una giustizia rivolta solo contro dirigenti e Stati non protetti dalle grandi Potenze che le dettano la condotta. L’accusa non è affatto infondata dopo la sbalorditiva conclusione sul massacro della “Mavi Marmara” e dopo il silenzio mantenuto di fronte al crimine contro l’umanità commesso a Gaza l’estata scorsa.