L’assedio di Julian Assange è una farsa
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Le Grand Soir, 19 novembre 2014 (trad. ossin)
L’assedio di Julian Assange è una farsa
John Pilger
L’assedio di Knightsbridge è una farsa. Da due anni, una presenza poliziesca esagerata e costosa attorno all’ambasciata dell’Equador a Londra, è servita solo a ostentare la forza dello Stato. La loro preda, un Australiano accusato di nessun reato, rifugiato vittima di una evidente ingiustizia, e che ha come unica protezione la camera che gli è stata messa a disposizione da un coraggioso paese dell’America Latina. Il suo vero delitto è di avere dato il via ad un’ondata di rivelazioni in un’epoca di menzogne, di cinismo e di guerre
La persecuzione di Julian Assange deve cessare. Lo pensa anche il governo inglese. Il 28 ottobre, il deputato, ministro degli Affari Esteri, Hugo Swire, ha detto in Parlamento che “riceverebbe volentieri” il procuratore svedese a Londra e che “farebbe tutto il possibile per facilitarlo”. Il tono era di impazienza.
Julian Assange, assediato nell'ambasciata dell'Ecuador
Il procuratore svedese, Marianna Ny, non ha voluto recarsi a Londra per interrogare Assange sulle accuse per le molestie sessuali che avrebbe commesso a Stoccolma nel 2010 – anche se autorizzata a ciò dalla legge svedese e nonostante si tratti di una procedura di routine sia per la legge inglese che svedese. Le prove documentate di una minaccia contro la vita e la libertà di Assange da parte degli Stati Uniti – se lasciasse l’ambasciata – sono numerose. Il 14 maggio di quest’anno, da dossier giudiziari statunitensi emergerebbe che un’inchiesta contro Assange è “attiva e in corso”.
Ny non ha mai chiarito le ragioni del suo rifiuto, coì come le autorità svedesi non hanno mai spiegato perché non vogliono fornire ad Assange la garanzia che non sarà estradato negli Stati Uniti, sulla base di un accordo segreto tra Stoccolma e Washington. Nel dicembre 2010, The Independent ha rivelato che i due governi avevano discusso la sua estradizione verso gli Stati Uniti prima che venisse emesso il mandato di arresto europeo.
Una delle spiegazioni potrebbe essere che, contrariamente alla sua reputazione di bastione liberale, la Svezia è tanto vicina a Washington da avere concluso accordi segreti di “estradizione” con la CIA – inclusa la deportazione illegale di rifugiati. L’estradizione e le torture che conseguirono, di due rifugiati politici egiziani nel 2001, furono condannati dal comitato dell’ONU contro la tortura, da Amnesty International e da Human Rights Watch; la complicità e l’ambiguità dello Stato svedese sono documentate in un contenzioso civile e nei cablo pubblicato da Wikileaks. Nell’estate del 2010, Assange s’era recato in Svezia per parlare delle rivelazioni di Wikileaks sulla guerra d’Afghanistan – dove la Svezia aveva inviato truppe sotto il comando degli Stati Uniti.
Il procuratore Marinna Ny
Gli USA hanno incriminato Assange perché Wikileaks ha messo in luce i loro innumerevoli crimini commessi durante le guerre di Afghanistan e Iraq: il massacro di decine di migliaia di civili, passato sotto silenzio; e il loro disprezzo per la sovranità nazionale e le leggi internazionali, come è dimostrato chiaramente dai cablo diplomatici divulgati.
Per il ruolo svolto nella denuncia delle uccisioni di civili afghani e iracheni da parte di soldati USA, l’eroico soldato Bradley (attualmente Chelsea) Manning è stato condannato a 35 anni di prigione, dopo essere rimasto detenuto per più di 1000 giorni in condizioni che, secondo il relatore speciale ONU, hanno avuto carattere di tortura.
La medesima sorte attende Assange se gli Stati Uniti gli metteranno le mani addosso. Le minacce di rapimento e di assassinio sono diventate moneta corrente tra gli estremisti della politica degli Stati Uniti, dopo l’aberrante calunnia lanciata dal vice presidente Joe Biden, che ha definito Assange un “cyber terrorista”. Quelli che avessero dubbi sulle brutalità che lo attendono devono tenere a mente l’atterraggio forzato dell’aereo del presidente boliviano – l’anno scorso – che si credeva trasportasse Edward Snowden.
Secondo documenti pubblicati da Snowden, Assange si trova in una lista di “persone cui dare la caccia”. L’azione posta in essere da Washington per catturalo, secondo un cablo diplomatico australiano, è “senza precedenti per l’ampiezza e i mezzi messi a disposizione”. Ad Alexandria, in Virginia, un gran Giurì segreto ha lavorato 4 anni per elaborare la fattispecie delittuosa per la quale Assange potrebbe essere incriminato. Non era questione semplice. Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti protegge gli editori, i giornalisti e gli informatori come “fattori di una democrazia sana (che) devono essere protetti dalle rappresaglie”. Durante la presidenza Obama sono stati incriminati più informatori che durante tutte le altre presidenze messe insieme. Prima ancora che fosse pronunciata la sentenza nel processo contro Chelsea Manning, Obama lo considerava già colpevole.
“Alcuni documenti divulgati da Wikileaks dopo che Assange è rimasto bloccato in Inghilterra – ha scritto Al Burke, l’editore del sito Nordic News Network, un sito di riferimento per ciò che concerne i pericoli che incombono su Assange – indicano chiaramente che la Svezia ha regolarmente ceduto alle pressioni degli Stati Uniti in materia di diritti civili. Tutto porta a credere che, se Assange fosse affidato alle autorità svedesi, sarebbe estradato verso gli Stati Uniti senza alcuna considerazione per i suoi diritti legali”.
Qualche indizio sembra indicare che il popolo svedese e la comunità giuridica locale non sostengano l’intransigenza del procuratore Marianna Ny. In altri momenti assolutamente ostile ad Assange, la stampa svedese ha pubblicato prime pagine del tipo: “Vada a Londra, per l’amor di Dio”.
Perché il procuratore non ci va? Più precisamente, perché non autorizza che i tribunali svedesi abbiano contezza delle centinaia di sms che la polizia ha registrato dai telefoni di una delle due donne coinvolte in questa accusa di molestie? Perché non li trasmette agli avvocati svedesi di Assange? Sostiene che non vi è tenuta fino a quando non si formalizzi l’accusa e non avrà potuto interrogarlo. Ma allora perché non l’interroga?
Questa settimana, la Corte d’Appello deciderà se i messaggi dovranno essere divulgati o meno; sennò la vicenda finirà alla Corte Suprema e alla Corte Europea di Giustizia. Colmo di ironia, gli avvocati svedesi di Assange sono stati autorizzati a “visionare” soltanto gli sms, che hanno potuto, dunque, solo memorizzare senza estrarne copia.
Uno dei messaggi della donna in questione dimostra chiaramente che ella non voleva che Assange fosse incriminato, “ma che la polizia ha insistito per mettere le mani su di lui”. Ella rimase “scioccata” quando seppe del mandato di arresto, perché voleva soltanto che si sottoponesse ad un test (HIV)”. Ella “non voleva accusare JA di niente” ed “è stata la polizia a inventare questi indizi a carico” (Nel corso di una testimonianza, ha detto di essere stata “manipolata dalla polizia e da altri”).
Nessuna delle due donne sostiene di essere stata stuprata. Infatti entrambe hanno negato d’essere state violentate e una ha anche twittato: “Non sono stata violentata”. Che siano state manipolate dalla polizia e che i loro desiderata siano stati ignorati è di tutta evidenza – poco importa ciò che raccontano oggi i loro avvocati. Sono probabilmente vittime di una saga kafkiana.
Per Assange, il solo processo fino ad ora celebrato è stato quello mediatico. Il 20 agosto 2010, la polizia svedese ha aperto un’inchiesta per “stupro” e ha immediatamente – e illegalmente – dichiarato ai giornali svedesi che aveva un mandato di resto contro Assange per lo “stupro di due donne”. E questa informazione ha fatto il giro del mondo.
A Washington, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Robert Gates, disse, con un gran sorriso, che l’arresto “era per lui una buona notizia”. I profili twitter associati al Pentagono descrissero Assange come uno “stupratore” e un “fuggitivo”.
Meno di 24 ore dopo, il procuratore capo di Stoccolma, Eva Finne, prese in carico l’inchiesta. Fece immediatamente annullare il mandato, spiegando: “Non ho ragioni di ritenere che abbia commesso uno stupro”. Quattro giorni dopo, archiviò l’inchiesta affermando: “Non vi è alcun sospetto di qualsivoglia crimine”.
Fu allora che entrò in scena Claes Borgstrom, un importante politico del partito social-democratico, all’epoca candidato alle imminenti elezioni generali in Svezia. Pochi giorni dopo l’archiviazione da parte della Procura Generale, Borghstrom, in qualità di avvocato, spiegò ai media che aveva assunto la difesa delle due donne e che si sarebbe rivolto ad un altro procuratore, della città di Gothenberg, nella specie Marianna NY, che Borgstrom conosceva bene. Era anch’essa membro del Partito social-democratico.
Il 30 agosto, Assange si recò spontaneamente ad un posto di polizia a Stoccolma per rispondere a tutte le domande che gli fossero poste. Il fascicolo risultava archiviato. Due giorni dopo, Ny annunciò di avere riaperto le indagini. Un giornalista svedese chiese allora a Borgstrom perché le indagini erano state riaperte, dal momento che erano appena state archiviate, citando la testimonianza di una delle une donne che aveva dichiarato di non essere stata stuprata. Nell’occasione rispose: “Ah, ma lei non è avvocato”. L’avvocato australiano di Assange, James Catlin, replicò: “Tutto questo è ridicolo… è come se inventassero tutto di volta in volta”.
Il giorno in cui Marianna Ny riaprì le indagini, il capo dei Servizi segreti svedesi (MUST) criticò apertamente Wikileaks, in un articolo intitolato: “Wikileaks (è) una minaccia per noi soldati”. Assange venne avvertito che i “Servizi” svedesi (i SAP) erano stati informati dai loro omologhi statunitensi che gli accordi di scambio delle informazioni tra i due paesi sarebbero stati “stoppati”, se la Svezia gli avesse permesso di restare sul suo territorio.
Assange dovette trattenersi in Svezia per cinque settimane durante lo svolgimento dell’inchiesta. The Guardian stava allora per pubblicare i “Rapporti di guerra dell’Iraq”, basati sulle rivelazioni di Wikileaks, che si ritenevano supervisionate da Assange. Il suo avvocato a Stoccolma chiese allora a Ny il permesso di lasciare il paese. Venne autorizzato.
Inspiegabilmente, non appena lasciato il paese – al culmine dell’interesse mediatico per le rivelazioni di Wikileaks – Ny emise un mandato di arresto europeo ed una “allerta rossa” dell’Interpol, di solito riservata ai pericolosi criminali e ai terroristi. Tradotto in cinque lingue, era inevitabilmente destinato a scatenare i media.
Assange fu costretto a recarsi ad un posto di polizia a Londra, venne arrestato e passò 10 giorni in isolamento alla prigione di Wandsworth. Rilasciato sotto la cauzione di 340.000 sterline, gli venne applicato il braccialetto elettronico, costretto a recarsi ogni giorno al posto di polizia e posto agli arresti domiciliari, in attesa che il suo caso venisse trasmesso alla Corte Suprema. Non era stato ancora condannato per nulla. I suoi avvocati reiterarono la richiesta di interrogatorio a Londra da parte di Ny, sottolineando che era stata lei ad autorizzarlo a lasciare la Svezia. Suggerirono il ricorso ad una nave speciale utilizzata da Scotland Yard per casi del genere. Il procuratore non accolse l’istanza.
Katrin Axelsson e Lisa Longstaff del Women Against Rape (Donne contro lo stupro) scrissero: “Le accuse contro Assange sono solo una cortina di fumo dietro il quale un gran numero di governi tentano di colpire Wikileaks per avere avuto l’audacia di rivelare al pubblico i loro piani di guerra e di occupazioni segrete, con le conseguenze in termini di stupri, assassini e distruzioni che tutto questo porta con sé… Le autorità deridono talmente la violenza contro le donne, da giungere a manipolare delle accuse di stupro a loro piacimento. (Assange) ha manifestato con chiarezza la propria disponibilità a farsi interrogare dalle Autorità svedesi, in Inghilterra, o tramite Skype. Perché queste ultime non accettano di acquisire questo elemento fondamentale per la loro inchiesta? Di cosa hanno paura?”
Questa domanda è rimasta senza risposta mentre Ny emetteva il mandato di arresto europeo (European Arrest Warrant, EAW), frutto draconiano della “guerra contro il terrorismo”, che dovrebbe consentire l’arresto dei terroristi e degli esponenti della criminalità organizzata. La EAW esonera gli Stati firmatari da qualsiasi obbligo di fornire le prove a carico. Ogni mese vengono emessi più di 1000 EAW, solo qualcuno per reati davvero di terrorismo. La maggior parte vengono emessi per delitti minori, come multe o mancati pagamenti. Un buon numero degli estradati vengono sottoposti a diversi mesi di prigione, prima della condanna. Si sono verificati molti errori giudiziari scioccanti, che i giudici inglesi hanno severamente criticato.
Il dossier di Assange giunse finalmente alla Corte Suprema nel maggio 2012. In un giudizio che si è concluso con la convalida dell’EAW – giacché alla Corte non è attribuito alcun margine di discrezionalità – i giudici precisarono che i procuratori europei potevano emettere dei mandati di estradizione validi nel Regno Unito senza alcun controllo giudiziario e ciò, anche senza l’accordo del Parlamento. Essi hanno fatto bene intendere che il Parlamento era stato “ingannato” dal governo di Blair. La corte si è divisa, 5 contro 2, e si è pronunciata quindi conto Assange.
Però il giudice capo della Corte d’Inghilterra, Lord Phillips, ha commesso un errore. Avrebbe dovuto applicare la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che consente deroghe alla disciplina dei trattati.
La Corte Suprema ha ammesso l’errore solo in una seconda occasione, nel novembre dell’anno scorso. La decisione contro Assange era stata errata, ma era troppo tardi per rimediare.
La scelta di Assange era difficile: lasciarsi estradare verso un paese che non voleva dire se in seguito egli sarebbe stato o meno estradato negli Stati Uniti, o cercare d’urgenza un’altra soluzione per mettersi al riparo. Col sostegno della maggior parte dei paesi dell’America Latina, il coraggioso governo ecuadoregno gli propose lo statuto di rifugiato per consentirgli di sfuggire a quello che si prospettava come un trattamento crudele e fuori del comune da parte degli Stati Uniti; questa minaccia violava i diritti fondamentali dell’uomo; e il suo governo australiano lo aveva abbandonato allineandosi con Washington. Il governo laburista della prima ministra Julia Gillard aveva perfino minacciato di ritirargli il passaporto.
Gareth Peirce, il famoso avvocato dei diritti dell’uomo che difende Assange a Londra, scrisse all’allora ministro degli affari esteri australiano, Kevin Rudd: “Vista l’ampiezza della discussione pubblica, che si fonda assai spesso su false informazioni… E’ molto difficile preservare la sua presunzione di innocenza. Al momento, sul capo del signor Assange pendono non una, ma due spade di Damocle, una estradizione potenziale verso due diverse giurisdizioni per differenti crimini, nessuna delle quali proviene dal suo paese, ed è la sua sicurezza personale che è in pericolo, tenuto conto delle circostanze politicamente contrarie”.
Solo dopo avere contattato anche l’Alta Commissione australiana a Londra, Peirce ha ricevuto una risposta, che non chiariva però nessuna delle urgenti questioni da lui sollevate. Nel corso di una riunione alla quale ho partecipato con lui, il console generale australiano, Ken Pascoe, osò rilasciare questa dichiarazione incredibile, spiegando di non sapere nulla dei dettagli della vicenda, “se non quello che leggeva sui giornali”.
Nel frattempo la prospettiva di un grottesco errore giudiziario veniva preparata attraverso una virulenta campagna contro il fondatore di Wikileaks. Attacchi molto personali, meschini, brutali e inumani vennero lanciati contro un uomo che non era stato ancora condannato per alcunché, e che si trovava ad essere trattato peggio di un assassino. Il fatto che la minaccia degli Stati Uniti contro Julian Assange era una minaccia contro tutti i giornalisti, contro la libertà di espressione, si perdeva tra il sordido e le ambizioni.
Il fortunato libro sulle rivelazioni
di Wikileaks
Vennero pubblicati dei libri, furono firmati contratti cinematografici e si lanciarono carriere alle spalle di Wikileaks, con l’idea che attaccare Assange fosse normale e che egli fosse troppo povero per potersi difendere davanti alla giustizia. Qualcuno ha guadagnato denaro, molto denaro, mentre Wikileaks lottava per la sopravvivenza. L’editore del Guardian, Alan Rusbridger, ha detto delle rivelazioni di Wikileaks che egli andava pubblicando sul suo giornale, che si trattava “di uno dei più grandi scoop giornalistici degli ultimi trenta anni”, Cosa che rientrava nei suoi piani di marketing per aumentare il prezzo di vendita del suo giornale.
Senza che un solo centesimo fosse versato ad Assange o a Wikileaks, il best seller del Guardian è diventato anche un film hollywoodiano molto redditizio. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, definirono gratuitamente Assange come una “persona instabile” e “insensibile”. Resero anche pubblica la password segreta che egli aveva fornito al giornale, fidandosi di loro, che serviva a proteggere un file contenente i cablo dell’ambasciata statunitense. Con Assange prigioniero nell’ambasciata ecuadoregna, Harding dall’esterno, insieme alla polizia, esultava sul suo blog: “Sarà Scotland Yard ad avere l’ultima parola”.
Questa ingiustizia inflitta ad Assange è una delle ragioni che ha indotto il Parlamento a riformare l’EAW. Le misure draconiane prese contro di lui oggi non sono più in vigore; adesso devono essere fornite delle prove, ed un “interrogatorio” non è più motivo sufficiente per una estradizione. “Da questo punto di vista, abbiamo vinto su tutta la linea – mi ha confidato Gareth Peirce – questa riforma significa che il Regno Unito riconosce adesso ufficialmente tutto quello che abbiamo lamentato nella vicenda Assange. E tuttavia egli non ne può beneficiare”.
Il 18 marzo 2008 una guerra contro Wikileaks e Julian Assange venne predetta in un documento segreto del Pentagono preparato dallo “Ufficio di valutazione del cyber controspionaggio”. Descriveva un piano dettagliato per distruggere il senso di “fiducia” che è il “centro di gravità” di Wikileaks. Obiettivo da raggiungere attraverso minacce di “procedimenti penali”. Ridurre al silenzio e criminalizzare questa fonte unica di giornalismo indipendente era l’obiettivo, la calunnia il mezzo. L’inferno è più dolce del furore di una grande potenza messa alla berlina.