Angelina Jolie, il volto glamour della NATO
- Dettagli
- Visite: 5023
CounterPunch, 9 gennaio 2018 (trad.ossin)
Angelina Jolie, il volto glamour della NATO
George Szamuely
In un recente articolo del Guardian intitolato « Why NATO Must Defend Women’s Rights » (Perché la NATO deve difendere i diritti delle donne), il segretario generale dell’Agenzia, Jens Soltenberg, e la star del cinema Angelina Jolie affermano che « la NATO ha la responsabilità e l’occasione di essere un importantissimo difensore dei diritti delle donne ». Può inoltre diventare il capofila mondiale in materia di prevenzione e di risposta alla violenza sessuale durante i conflitti ». Entrambi si sono impegnati a individuare « I modi attraverso cui la NATO può accrescere il suo contributo alla protezione e alla partecipazione delle donne in tutti gli aspetti della prevenzione e della risoluzione dei conflitti ».
Una comune iniziativa di un burocrate della NATO e di una celebre attrice di cinema potrebbe, a prima vista, sembrare strana. C’è voluto tuttavia del tempo per giungere a questa forma di collaborazione. Da qualche anno, la NATO, sempre alla ricerca di qualche ragione per giustificare la sua esistenza, senza parlare della costante espansione, ha trovato una nuova ragion d’essere. Essere il campione mondiale delle donne. « Realizzare l’uguaglianza tra i generi è il nostro compito comune. E la NATO fa la sua parte » ha dichiarato Mari Skåre, la rappresentante speciale per le donne, la pace e la sicurezza della NATO, nel 2013. A marzo 2016, in occasione della giornata internazionale per I diritti della donna, la NATO ha organizzato una conferenza detta « Barbershop Conference » sull’uguaglianza dei generi. Stoltenberg ha colto l’occasione per dichiarare che l’uguaglianza dei sessi era una questione terribilmente importante per la NATO, in quanto « la NATO è una organizzazione che si base su alcuni valori e nessuno dei valori fondamentali dell’Alleanza – libertà individuali, democrazia, diritti dell’uomo e stato di diritto – può funzionare senza uguaglianza ». La diversità è fonte di forza. « Noi abbiamo compreso in Afghanistan e nei Balcani che integrando la questione di genere nelle nostre operazioni facciamo una differenza tangibile nella vita delle donne e dei bambini » ha spiegato Stoltenberg. Ha sottolineato che la NATO è fiera del suo primato nell’incorporare le prospettive di genere all’interno della sua attività. Lo scorso novembre Stoltenberg ha ripreso : « La valorizzazione delle donne non è solo la cosa buona da fare, è anche la cosa più intelligente da fare: rende i paesi più sicuri e più stabili. La NATO è determinata a fare la differenza ».
La NATO fa effettivamente la differenza, ma non valorizzando le donne. Quando non è occupata a bombardare, uccidere , a far saltare ponti ed edifici, a fare stragi nei ricevimenti nunziali, a potenziare gli jihadisti, a provocare maree di rifugiati e a rovinare la vita di innumerevoli donne, la NATO organizza incontri informali, conferenze di autocompiacimento e pubblica articoli come questo di Stoltenberg / Jolie, che cercano di presentare una gigantesca coalizione militare di 29 paesi come una organizzazione caritatevole di aiuto ai bisognosi.
E’ qui che entra in scena Angelina Jolie. Jolie è una ambasciatrice di buona volontà dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e, in tale veste, gira il mondo per rimproverare alla « comunità internazionale » di non fare abbastanza per risolvere le crisi umanitarie. Il suo punto di vista su queste crisi è sistematicamente lo stesso della NATO. « E’ importante che noi interveniamo al momento opportuno » ha spiegato un giorno, « diplomaticamente se possiamo, con la forza se dobbiamo ». A ottobre 2011, dopo sette mesi di bombardamenti incessanti, Jolie si è precipitate in Libia e ha salutato con entusiasmo la « rivoluzione » libica.
« Sono qui […] a nome del popolo libico per testimoniargli la mia solidarietà. Penso che questa rivoluzione sia a favore dei diritti umani, penso che è quello che questa gente ha veramente fatto e che li ha spinti a fare, e bisogna aiutarli a varare queste nuove leggi e ad assicurare il futuro del loro paese ».
A volte è un entusiasmo da togliere il respiro per la « rivoluzione », a volte una supplica in lacrime per un semplice « intervento umanitario » – Angelina Jolie è assolutamente coerente nella sua difesa dell’uso occidentale della forza. A proposito della Siria, Jolie ha dichiarato « alcune forme di intervento sono assolutamente necessarie ». Ha deriso i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che hanno ostacolato l’intervento. « Sento fortemente che il diritto di veto, quando si hanno interessi finanziari nel paese, dovrebbe essere messo in discussione e che l’uso del veto contro un intervento umanitario dovrebbe essere messo in discussione » Ha dichiarato in una intervista. Ovviamente Jolie stava solo riecheggiando le parole violente dell’amministrazione Obama. Ricordiamo la tirata di Susan Rice dopo il veto della Russia e della Cina contro una risoluzione del febbraio 2012 del Consiglio di Sicurezza che chiedeva a Bachar al-Assad di dimettersi e all’esercito siriano di rientrare nelle sue caserme. Rice, all’epoca rappresentante permanente per gli Stati Uniti all’ONU, definì il veto « disgustoso e vergognoso ». I paesi che « hanno potenzialmente bloccato l’ultimo sforzo per risolvere questo problema pacificamente […] avranno le mani grondanti di sangue ».
Questo genere di attacco contro i membri del Consiglio di Sicurezza che ricorrono al diritto di veto è diventato un argomento fisso di tutti quelli che promuovono interventi umanitari. Per esempio, l’ex presidente francese François Hollande ha dichiarato all’Assemblea Generale dell’ONU a settembre 2013 che, quando si verificano atrocità massicce, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dovrebbero rinunciare al loro diritto di veto:
« Le Nazioni Unite hanno la responsabilità di agire. E tutte le volte che la nostra organizzazione si rivela impotente, è la pace a pagarne il prezzo. E’ per questo che propongo che i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza definiscano un codice di buona condotta e che, nell’eventualità di un crimine di massa, possano decidere collettivamente di rinunciare al loro diritto di veto ».
Agire, ovviamente, è agire militarmente. Non significa mai, per esempio, l’abolizione di sanzioni perché cibo, petrolio, forniture mediche possano passare. Al contrario, se non si riesce a organizzare un’azione militare, gli “umanitari” chiedono subito un inasprimento delle sanzioni. Gli interventisti come Hollande, Rice e altri non spiegano mai perché occorre che i membri permanenti dell’ONU rinuncino al diritto di veto se la buona linea di azione risulta così evidente. L’assunto non dichiarato è evidentemente che qualsiasi reticenza ad autorizzare l’uso della forza non possa essere motivata se non da ragioni immorali come la cupidigia, l’egoismo, l’ambizione politica o la mancanza di compassione.
L’insensibilità della sedicente comunità internazionale era il messaggio del film che Angelina Jolie ha scritto e realizzato sulla guerra del 1992-1995 in Bosnia, Nel paese del sangue e del miele. Il film, lei dice, « è un atto di accusa contro la comunità internazionale, che avrebbe dovuto intervenire molto prima nella guerra di Bosnia ». Era molto orgogliosa del fatto che Richard Holbrooke e Wesley Clark fossero alcuni degli esperti consultati per la realizzazione del film, due figure che hanno giocato un ruolo importante nella devastazione della Bosnia e del Kosovo. Il film, prevedibilmente, mette in scena Serbi cattivi che perseguitano mussulmani innocenti. Alla domanda se il suo film avrebbe dovuto essere un po’ più equilibrato, Jolie ha risposto : « Il fatto è che la guerra non era equilibrata. Non potevo realizzare un film in cui fosse 50–50. Il film non è equilibrato proporzionalmente a quello che è successo ». Questa è roba standard della NATO, in particolare nella parte in cui si presenta l’intervento militare di quest’ultima come ciò che avrebbe finalmente portato la pace in Bosnia.
Jolie è utile alla NATO, non solo perché si può contare su di lei come strumento di propaganda delle autogiustificazioni dell’Alleanza rispetto a quella che è sempre la sua soluzione favorita per tutti i problemi, vale a dire la minaccia di ricorrere alla forza. Jolie è il volto glamour della nuova campagna della NATO. Una campagna che si rivolge non solo alle società arretrate per portare loro la luce, m anche a noi, cittadini degli Stati membri, informandoci di qualcosa di cui evidentemente non siamo ancora consapevoli: le violenze sessuali si verificano in tempo di guerra. Il rimedio evidente – fare tutto il possibile per evitare la guerra – non è quello che NATO o Jolie privilegiano. Non ci si potrebbe davvero aspettare che la NATO predichi essa stessa la sua sparizione. La lingua della NATO è minacciare e difendere l’azione militare, deplorando lacrimevolmente le sue conseguenze prevedibili, vale a dire i crimini di guerra, e anche i crimini sessuali.
Ad aprile 2014, Jolie se ne è andata a zonzo nei Balcani col ministro britannico degli Affari esteri William Hague, visitando il memoriale di Srebrenica a Potocari in Bosnia. Nel corso della visita, Jolie ha dichiarato : « Il ricorso allo stupro come arma di guerra è uno dei crimini più crudeli e più brutali contro i civili. Questo è uno stupro così brutale, con violenza così estrema, che risulta perfino difficile parlarne ». Hague e Jolie hanno lanciato una campagna comune chiamata « Prevenire la violenza sessuale in situazione di conflitto » il cui obiettivo era di « lottare contro la cultura dell’impunità, fare in modo che un maggior numero di autori di simili fatti vengano perseguiti e garantire più aiuti ai sopravvissuti. La nostra campagna serve ad allertare l’opinione pubblica, mobilitare una azione mondiale, promuovere la coerenza internazionale e accrescere la volontà e la capacità degli Stati a fare di più».
Hague ha sinceramente spiegato: « Ho cominciato questa campagna con Angelina Jolie perché la politica estera deve essere qualcosa di più che di affrontare solo crisi urgenti – deve anche migliorare la condizione umana ». Poi Hague si è scaldato sul suo tema: « Decine di migliaia di donne, ragazze e uomini sono stati violentati durante la guerra in Bosnia. Noi siamo venuti qui per attirare l’attenzione del mondo sulla loro domanda di giustizia e per chiedere un’azione mondiale per porre fine una volta per tutte all’uso dello stupro come arma da guerra ». In una intervista alla BBC, Hague ha affermato che le violenze sessuali in occasione dei conflitti sono stati « uno dei peggiori crimini di massa del XX e del XXI secolo (…) E può essere anche peggio, quando lo stupro in zona di guerra venga sistematicamente e deliberatamente utilizzato contro le popolazioni civili ».
Hague era ministro britannico degli Affari esteri durante i bombardamenti della NATO nel 2011 sulla Libia. Inutile dire che la NATO non ha fatto proprio niente per aiutare le donne in Libia. Al contrario, migliaia di donne sono state uccise dalle bombe umanitarie della NATO e di Hague. La NATO ha distrutto il governo, la legge e l’ordine pubblico, le istituzioni che, prima del suo intervento, avevano protetto le donne libiche dai crimini sessuali. La cosa peggiore è che la NATO ha dato una mano a mettere milioni di donne nelle mani di ISIS. Ecco un resoconto del controllo di ISIS in Libia critto da Human Rights Watch (organizzazione filo interventista affidabile) nel suo rapporto del 2017 sulla LIbia: « Nel primo semestre del 2016, combattenti leali a ISIS controllavano la città costiera centrale di Sirte e sottoponevano i residenti ad una rigida interpretazione della sharia che prevedeva anche flagellazioni pubbliche, amputazione di membra e linciaggi pubblici, lasciando spesso i corpi delle vittime esposti ».
Non preoccupatevi: a giugno 2014, Hague e Jolie hanno co-organizzato a Londra un grande Summit mondiale di tre giorni per porre termine alla violenza sessuale. Tra i partecipanti, il Segretario di Stato USA John Kerry e il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon. Secondo un rapporto, il summit è costato 5.2 milioni di sterline per accogliere gli ospiti. Solo il pranzo è costato più di 299 000 sterline, mentre il totale delle spese in taxi, hotel e trasporti hanno raggiunto le 576 000 sterline. Jolie ha dichiarato:
« Dobbiamo spezzare questa cultura dell’impunità e fare della giustizia la norma, e non l’eccezione, per questi crimini. Abbiamo bisogno di volontà politica, replicata in tutto il mondo, e dobbiamo trattare questa questione come una priorità. Dobbiamo vedere un reale impegno e colpire gli autori peggiori, finanziare una protezione adeguata per le persone vulnerabili e intervenire per aiutare i paesi più toccati. Abbiamo bisogno che tutti gli eserciti, le truppe di mantenimento della pace e le forze di polizia ricevano una formazione sulla prevenzione della violenza sessuale nei conflitti ».
Punire gli autori di violenze sessuali sembra piuttosto lodevole. Il problema è che il bilancio della NATO in materia di accuse incendiarie e incapacità di dimostrarle con prove affidabili non suscita grande fiducia. Durante la guerra in Bosnia, per esempio, i media hanno parlato in modo ossessivo dell’uso dello stupro come strumento di guerra. Nel 1992, la delegazione parlamentare europea della signora Ann Waburton ha stimato che vi erano già stati 20.000 stupri in Bosnia. A gennaio 1993, Newsweek ha pubblicato un lungo articolo di copertura accusando i Serbi dello stupro di più di 50 000 donne, in maggioranza mussulmane, nel quadro di « programmi deliberati diretti ad imporre alle donne mussulmane figli serbi non desiderati ».
Inchieste più approfondite hanno prodotto risultati non sufficientemente spettacolari da farle finire sui giornali. Il 29 gennaio 1994, il segretario generale dell’ONU ha pubblicato un rapporto sugli stupri in ex Jugoslavia, anche in Bosnia e Croazia, basato su uno studio della Commissione di esperti delle Nazioni Unite. Il rapporto ha accertato « 126 vittime, 113 incidenti, 252 sospetti autori, 73 testimoni ». Il rapporto diceva anche che « alcuni casi di stupro » erano « con tutta evidenza il risultato di un comportamento individuale o di un piccolo gruppo, senza alcuna prova di responsabilità del comando. Altri casi potrebbero potersi inquadrare in uno schema generale, di stupri sistematici, ma è tutto da provare ».
Le accuse di stupri di massa erano una componente essenziale della campagna di propaganda della NATO durante il bombardamento della Jugoslavia nel 1999. Il ministro britannico degli Affari esteri ha intrattenuto il pubblico con racconti sordidi di Serbi che costringevano le donne a « subire stupri sistematici in un campo militare di Djakovica. » Clare Short, ministro britannico per lo sviluppo internazionale aggiungeva che gli stupri erano « deliberatamente commessi davanti ai bambini, i padri e i fratelli ». Il ministro britannico degli Affari esteri è andato avanti pretendendo di avere scoperto altri tre campi di stupro: «Rifugiati hanno riferito di stupri organizzati a Globocica, Urosevac e tra Kosovo e Albania. » In seguito, quando fu troppo tardi perché ne derivasse una qualche conseguenza, i media, imbarazzati, hanno ammesso che queste storie di campi di stupro, come la maggior parte delle accuse della NATO, erano menzogne. Il Washington Post ha riferito che « le accuse occidentali sui campi di stupro gestiti dai Serbi nelle città di Djakovica e Pec, e quelle di dubbia fonte secondo cui i Serbi si stavano impegnando in mutilazioni di vivi e anche di morti, compresa la castrazione e la decapitazione, si sono rivelate del tutto false ». Anche Fred Abrahams, di Human Rights Watch, che ha lavorato come inquirente per il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, ha ammesso nella sua testimonianza di non aver trovato alcuna prova dell’esistenza di campi di stupri.
Però la NATO non se ne è preoccupata. Durante la campagna seguente, quella contro la Libia, le storie di stupro hanno cominciato ad apparire a distanza di pochi giorni dallo sganciamento delle prime bombe. Susan Rice, la rappresentante permanente degli Stati Uniti all’ONU, ha informato il Consiglio di Sicurezza che il leader libico Muammar Gheddafi distribuiva Viagra ai suoi soldati per aiutarli a realizzare stupri di massa. Anche se Rice non ha prodotto alcuna prova, la sola accusa è stata sufficiente perché il Procuratore del Tribunale penale internazionale, Luis Moreno-Ocampo, annunciasse di disporre di « informazioni sulla decisione del governo libico di stuprare chi gli si oppone. Lo stupro è una nuova forma di repressione ». Moreno-Ocampo ha anche accettato come confermato la storia del Viagra di Rice : « Abbiamo trovato alcuni elementi che confermano questo fatto dell’uso di medicine come il Viagra come strumento politico. Hanno acquistato dei contenitori con prodotti per aumentare la possibilità di stuprare e riceviamo informazioni dettagliate che confermano questa politica ».
Alla fine dei conti, come c’era da aspettarsi, si è accertato che le accuse di stupro della NATO erano totalmente inventate. Donatella Rovera, consigliera principale per le risposte alle crisi di Amnesty International, ha riferito che l’organizzazione « non aveva trovato alcuna prova né alcuna vittima di stupro, né un medico che avesse curato qualche vittima di stupro ». Rovera ha anche smentito la storia del Viagra. Ha dichiarato che « ribelli in rapporto con i media stranieri a Bengasi avevano cominciato a mostrare ai giornalisti pacchetti di Viagra, affermando che li avevano trovati nei carri armati incendiati, anche se è poco chiaro come mai questi pacchetti non siano bruciati anche loro ».
Anche le accuse, una dopo l’altra, si rivelano tutte false, la NATO continuerà a divulgarle, qualsiasi sia la questione calda del momento. La NATO non fa nulla per le donne e non fa niente per contrastare i crimini sessuali, sia all’interno degli Stati membri, che altrove per il mondo. Quello che la NATO fa bene, grazie al suo sofisticato meccanismo di relazioni pubbliche alimentato da diversi milioni di dollari, è sfruttare argomenti altamente emotivi come lo stupro e trasformarli in giustificazioni per ottenere budget più elevati, più armi, più missioni in un maggior numero di paesi e, alla fine, azioni militari.