Le nuove generazioni africane. Speranze e controlli
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Le blog de Said Bouamama, 27 giugno 2015 (trad. ossin)
Le nuove generazioni africane. Speranze e controlli
Said Bouamama
I giovani africani sono nuovamente alle prese con la scoperta della loro “missione”, per riprendere l’espressione di Frantz Fanon. Significativamente in Egitto, in Tunisia o in Burkina Faso, le grandi mobilitazioni giovanili si sono accompagnate alla riscoperta delle grandi figure di indipendentisti (Nasser, Sankara, N’Krumah, ecc)
Dalle manifestazioni contro l’estrazione del gas scisto in Algeria, ai grandi scioperi dei minatori in Africa del Sud, passando per il formidabile movimento di rivolta che ha posto fine al regno dell’assassino di Sankara in Burkina e per le rivoluzioni egiziane e tunisine, ecc, è possibile individuare un comune denominatore che i media dominanti si guardano bene dall’evidenziare: il protagonismo dei giovani. Nuove generazioni militanti emergenti che reagiscono, da un lato, alle scandalose condizioni di vita imposte dalla mondializzazione capitalista e, dall’altro, all’azione dei gestori locali di questa mondializzazione, vale a dire della maggior parte dei governi in carica. Questo nuovo attivismo dei giovani si fonda su di una base concreta: le mutazioni sociologiche e demografiche del continente e l’impoverimento massiccio dei giovani. E’ la ragione per la quale le potenze imperialiste, attraverso le ONG, agiscono concretamente per allontanare i giovani dalla missione che si sono dati: la lotta per la seconda indipendenza.
Un’Africa giovane
L’ Africa ha la popolazione più giovane del mondo. Conta 200 milioni di giovani dai 15 ai 24 anni e si prevede un raddoppio entro il 2045. Coloro che hanno meno di 15 anni formano il 40% della popolazione, mentre gli ultra sessantenni sono solo il 5,5%. I due terzi della popolazione ha meno di 30 anni e più del 50% ha una media di età di 21 anni (1). Da questa struttura demografica discende una evidente conseguenza sul mercato del lavoro: “Se questa tendenza prosegue, la mano d’opera del continente sarà di un miliardo di persone nel 2040. Sarà la più numerosa del mondo, superando quella della Cina e dell’India” (2).
E’ una gioventù che è segnata anche da una massiccia disoccupazione. Quasi il 60% dei disoccupati africani è composto da giovani e, nella maggior parte dei paesi del continente, il tasso di disoccupazione degli under 25enni è due volte superiore a quello degli adulti (3). Era per esempio del 23,4% nell’Africa del Nord nel 2009, vale a dire 3,8 volte superiore a quello degli adulti. Nell’Africa del Sud era del 48%, vale a dire 2,5 più alto di quello degli adulti. Per la grande maggioranza di questi giovani, solo il lavoro nero consente di sopravvivere. La povertà diffusa è quindi un’altra caratteristica dei giovani africani. In media, il 72% dei giovani Africani vive con meno di due dollari al giorno e la percentuale supera l’80% in paesi come la Nigeria, l’Uganda o lo Zambia (4).
Da evidenziare infine che i giovani africani sono sempre più istruiti. Non dispiaccia ai nostalgici della colonizzazione, l’accesso alla scolarità è uno dei risultati dell’indipendenza. Nonostante il peggioramento delle condizioni e della qualità dell’insegnamento, i governi, perfino i più reazionari, non osano – per paura di suscitare rivolte sociali – mettere in discussione l’accesso all’insegnamento. Attualmente il 42% dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha ricevuto una formazione secondaria. Giovani dunque sempre più numerosi ma segnati fortemente dalla disoccupazione, il lavoro nero e la povertà. Giovani anche più istruiti. E’ questa la base materiale del nuovo attivismo politico della gioventù africana.
Una nuova era politica
Questa nuova collocazione dei giovani non ha caratteri solo quantitativi. E’ in corso anche un processo politico di presa di coscienza. Si può parlare, secondo noi, di “tre epoche” della gioventù africana. Ognuna di esse ne ha forgiato il rapporto col mondo e l’esperienza politica in un particolare contesto. La prima epoca è quella dei giovani del decennio 1960-1970, che potremmo chiamare “giovani delle indipendenze”. Questa generazione nasce in un contesto di lotta dei popoli africani per l’emancipazione nazionale e sociale. Essa ha avuto l’esperienza della colonizzazione o dell’immediata eredità di essa. E, sul piano materiale, come conseguenza dell’indipendenza, ha conosciuto in generale (ovviamente in misura diversa per ciascun paese) un miglioramento delle proprie condizioni di esistenza (accesso alla scolarizzazione, alle cure mediche, ecc). Sul piano ideologico, si caratterizza per l’anti-imperialismo e il desiderio di “servire il popolo”. Un simile contesto produce un rapporto col mondo ottimista, un impegno progressista e una coscienza anti-imperialista e panafricana.
La seconda epoca è quella dei decenni 1980 e 1990, che potremmo definire dei “giovani della mondializzazione e dei piani di aggiustamento strutturale”. E’ la generazione che emerge in un contesto mondiale segnato dalla fine dell’URSS e dalla vittoria della mondializzazione capitalista. E’ una generazione che ha vissuto la successiva sparizione di tutte le esperienze progressiste africane, a causa di colpi di Stato, dell’assassinio dei suoi leader e dei vincoli derivanti dai nuovi rapporti di forza. Sul piano materiale, essa ha subito i piani di aggiustamento strutturale e l’impoverimento diffuso che essi hanno provocato. Sul piano ideologico, si caratterizza per la fiducia nell’economia di mercato e l’adesione all’ideologia dei “diritti dell’uomo”. Un simile contesto favorisce un rapporto col mondo caratterizzato da imitazione dell’Occidente, dall’arte di arrangiarsi, dall’ individualismo e da una tendenza alla rinuncia di ogni forma di lotta politica collettiva.
La terza epoca è quella attuale che potremmo definire dei “giovani della seconda indipendenza”. Questa generazione emerge in un contesto mondiale segnato dalla moltiplicazione delle aggressioni imperialiste, dal saccheggio delle ricchezze naturali, dal fallimento delle politiche liberali, ma anche dallo sviluppo delle potenze emergenti. Sul piano materiale, i giovani vivono una “discesa agli inferi” che li ha confinati in una “logica di pura sopravvivenza”. Sul piano ideologico, questi giovani riprendono un attivismo politico, pur senza essere ancora riusciti a trovare un canale di espressione della loro rivolta. Essi sperimentano quindi nuove forme di organizzazione e di contestazione. Un simile contesto favorisce un rapporto col mondo caratterizzato da mobilitazioni collettive ma sporadiche, da radicalizzazione anti-imperialista ancora poco organizzata, da rivolte sociali che non riescono ancora a diventare rivoluzione.
I giovani africani sono nuovamente alle prese con la scoperta della loro “missione”, per riprendere l’espressione di Frantz Fanon. Significativamente in Egitto, in Tunisia o in Burkina Faso, le grandi mobilitazioni giovanili si sono accompagnate alla riscoperta delle grandi figure di indipendentisti (Nasser, Sankara, N’Krumah, ecc). Anche in paesi che non hanno conosciuto questo tipo di movimenti, si assiste ad una riscoperta di queste figure nelle canzoni rap, sulle magliette, ecc. Questa ricerca di un ancoraggio alle lotte del passato evidenzia la guarigione dal periodo “dell’odio di sé” e dell’attrazione per l’Occidente. Riflette anche lo sviluppo della coscienza, certamente ancora embrionale, della necessità di riprendere le lotte dei più vecchi. E’ per questa ragiona che ci sembra che l’espressione più pertinente sia quella di “seconda indipendenza”. Essa è infatti apparsa ed è stata teorizzata nel decennio 1960 per indicare la necessità di completare l’indipendenza politica con una reale indipendenza economica.
Giovani che riprendono il cammino delle lotte collettive, tendenti a rompere con il fascino per l’Occidente e impegnate a riannodare i fili con le lotte emancipatrici del passato, queste sono le due caratteristiche dominanti della attuale gioventù africana.
Il ruolo di manipolazione delle coscienze svolto dalle ONG
Alle Grandi Potenze sono ben chiare le trasformazioni che stanno vivendo i giovani Africani. E sono altresì consapevoli dei pericolo che queste comportano per i loro interessi. Si sono per questo motivo impegnate in ambiziose politiche di manipolazione delle coscienze, attraverso l’azione di varie ONG che si occupano di tutti i settori della vita sociale. Il fenomeno non è nuovo, ma conosce oggi un nuovo impulso a causa delle nuove lotte nelle quali i giovani sono impegnati.
Nel decennio 1960, gli USA e le potenze europee avevano già avviato vasti programmi di “aiuti” attraverso ONG. Il panafricano Kwame N’Krumah aveva, già nel 1965, allertato sul ruolo neocoloniale svolto dalle ONG del nord (5). Stage universitari, formazione dei sindacalisti, formazione dei leader, ecc., in tutti i campi si sono sviluppate delle ONG col compito di sviare i giovani africani dalla coscienza anti-imperialista. Lo stesso accade oggi. Diamo qualche informazione sulle caratteristiche di queste ONG:
In termini generali, le associazioni del terzo mondo hanno poca voce in capitolo quando si tratta di decidere le strategie dei programmi di aiuti finanziati dal Nord. “Solo 251 delle 1550 ONG associate al dipartimento di informazione delle Nazioni Unite hanno sede in paesi in via di sviluppo. Studi mostrano anche che, su cinquanta associazioni occidentali di lobbying umanitario, solo due hanno effettivamente consultato i loro partner del Sud prima di avviare un’azione a loro nome. Le ONG del Nord affermano che le associazioni del terzo mondo non sono abbastanza solide da rendersi indispensabili” (6).
Approfittando della precarietà economica in cui versano i giovani, queste ONG offrono dei posti di sopravvivenza ai potenziali leader delle lotte e li collocano così alle loro dipendenze. Gli stage e i programmi di formazione si rivelano sempre più come veri e propri meccanismi di formattazione ideologica. All’analisi politica ed economica, queste formazioni sostituiscono l’approccio metodologico e tecnico, la rivendicazione politica viene sostituita dalla compassione umanitaria, l’organizzazione dei diretti interessati viene abbandonata a profitto di una dipendenza dagli aiuti. Si tratta, né più né meno, di spoliticizzare dei giovani che avrebbero prima di tutto bisogno di strumenti politici che consentano loro di organizzare la loro “missione generazionale” come la chiama Fanon.
Ma le ONG hanno anche una funzione più immediata: quella di giustificare gli interventi militari occidentali. E’ sulla base di rapporti “obiettivi” redatti da ONG, che vengono avviate operazioni di destabilizzazione di governi che hanno commesso il crimine di non avere rispettato la linea dettata da Washington o dall’Europa, come per esempio avere stretto patti commerciali con una Potenza emergente. Gli stessi rapporti preparano anche l’opinione pubblica ad accettare l’arrivo di truppe straniere come soluzione delle crisi. La nuova azione delle ONG in Africa non è affatto espressione di una spinta di coscienza umanitaria dell’Occidente. Trova la sua ragion d’essere nelle nuove potenzialità rivoluzionarie dei giovani del continente e mira a strumentalizzarli e a neutralizzarli. Come nel decennio 1960, i giovani africani devono farsi direttamente carico della formazione politica dei militanti e delle organizzazioni dei dannati della terra.
Note:
(1) http://www.africaneconomicoutlook.o…
(2) Banque Africaine de Développement, OCDE, PNUD, Perspectives économiques en Afrique, 2012, p.108.
(3) http://www.africaneconomicoutlook.o…
(4) Idem
(5) Kwane Nkrumah, Le néocolonialisme, dernier stade de l’impérialisme, Présence Africaine, Paris, 1973, capitolo « Les mécanismes du colonialisme », p.245.
(6) Marc-Antoine Perouse de Montclos, La face cachée des ONG, Politique international la revue, no.116, http://www.politiqueinternationale…..