Al Qaida : La crisi viene dall’interno
- Dettagli
- Visite: 7564
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 4 marzo 2014 (trad. Ossin)
Al Qaida : La crisi viene dall’interno
Alain Rodier
I giochi olimpici invernali di Sochi si sono conclusi il 23 febbraio, senza che alcun incidente terrorista di una qualche consistenza si sia prodotto. Questo prova tre cose:
1) Le misure di sicurezza draconiane prese da Mosca sono state efficaci, cosa che dimostra la giustezza della massima popolare: “Volere è potere”;
2) Il ramo caucasico di Al-Qaida (“L’Emirato del Caucaso”) è molto più indebolito di quanto non si credesse;
3) Al-Qaida centrale, con base in Pakistan, non è più in grado di appaltare, meno ancora di organizzare, una operazione terrorista all’estero, anche di importanza ridotta.
Promesse, sempre promesse…
Fin dall’estate 2013, Doku Umarov, l’autoproclamato emiro del Caucaso, ha ufficialmente rotto la tregua che aveva unilateralmente decretato nel 2012, quando invitò a non attaccare la popolazione civile. Infatti, nel luglio 2013, ha ordinato alle sue truppe di “impedire, con tutti i mezzi”, la tenuta dei giochi olimpici invernali di Sochi. Tre attentati kamikaze hanno avuto luogo il 21 ottobre, il 29 e il 30 dicembre 2013 nella regione di Volgograd, provocando 41 morti e centinaia di feriti.
La più viva inquietudine ha provocato l’apparizione di un video sul net, nel quale due supposti kamikaze (1) minacciavano le autorità russe: “Se voi organizzate i giochi olimpici, riceverete un regalo da noi (…) per voi e per i turisti che verranno…”. La paura era massima. Gli Stati Uniti hanno inviato navi da guerra nel Mar Nero nel caso in cui una evacuazione dei membri della delegazione statunitense – invitati a non esporre i colori nazionali al di fuori delle istallazioni olimpiche – si fosse resa necessaria. Le autorità francesi auspicavano che gli atleti francesi fossero accompagnati da elementi del GIGN e del RAID.
Poi più niente! Questa confessione di totale impotenza è estremamente rivelatrice. Corre voce d’altronde, ancora una volta, che Doku Umarov sia morto. Rilanciata dal presidente ceceno, Ramzan Kadirov, che non nasconde la propria soddisfazione nel vedere l’opposizione armata così malconcia. Tuttavia, se la notizia è vera, essa dovrà essere rilanciata prossimamente dai siti jihadisti che, come d’abitudine, attribuiranno lo statuto di martire a Umarov e, poiché la natura ha orrore del vuoto, designeranno un emiro che abbia il compito di continuare la guerra santa contro “i ratti russi e le loro marionette”. E tuttavia resta il fatto che gli jihadisti del Caucaso non sono riusciti ad avviare nemmeno quanto avevano promesso con grande enfasi mediatica rilanciata dai media internazionali.
L’occasione di colpire l’opinione pubblica mondiale era peraltro a portata di mano. Infatti tutte le televisioni e radio internazionali coprivano l’avvenimento e la minima azione spettacolare – anche fallita – avrebbe avuto una risonanza planetaria. La volontà di passare all’azione, non solo di Umarov ma forse ancor più del suo mentore Al-Zawahiri che sogna un altro “11 settembre”, era sicura.
Erano dunque i mezzi che mancavano. E’ vero che il compito non era facile per gli attivisti, giacché tutti i servizi di sicurezza russi erano sul piede di guerra nella regione di Sochi, ma anche attorno ai bersagli potenziali come le stazioni, gli aeroporti, i grandi hotel, ecc. Più di 100.000 uomini sarebbero stati mobilitati, cifre verosimilmente sottostimate. Ma un attentato suicida sarebbe stato comunque possibile, soprattutto in luoghi più decentrati come era avvenuto a Volgograd.
Che cosa ne è stato dunque della brigata Riyad-us Sahideen, piena di kamikaze che, secondo le dichiarazioni di Umarov, era stata riattivata nel 2009? Dove sono i volontari del martirio, giacché è vero che qualsiasi azione durante i giochi olimpici di Sochi non avrebbe lasciato alcuna via di scampo agli eventuali aggressori? Anche se un’azione terrorista vi sarà in futuro nella regione, essa non avrà assolutamente lo stesso impatto psicologico di come sarebbe stato se fosse stata fatta durante i giochi olimpici. Al-Qaida ha dunque perso una battaglia, dimostrando la sua incapacità ad agire su obiettivi seriamente protetti.
Un Emirato del Caucaso più diviso di quanto Umarov non lasci intendere
Per quanto riguarda l’Emirato del Caucaso, occorre sottolineare che non si tratta in alcun modo di una entità unica nel quale le forze rispettino una gerarchia piramidale alla testa della quale si troverebbe Umarov. Infatti ogni gruppo agisce nel proprio territorio (chiamato vilayats) con diversi obiettivi.
I Ceceni hanno sempre di mira l’indipendenza del loro paese. Nel Dagestan vicino è in corso una guerra di religione tra mussulmani, che contrappone i Salafiti guidati dalla Sharia Jamaat ai Sufiti, questi ultimi molto presenti in seno all’amministrazione regionale. Sono le forze russe ad assicurare l’ordine in Kabardino-Balkarie mentre nelle altre regioni il compito è delegato alle milizie che obbediscono ai poteri locali.
Questo stato di fatto spinge molti anti-russi alla lotta armata, soprattutto nelle fila di Yarmuk Jamaat. In Inguzia la rivolta guidata dai salafiti di Jamaat si rivolge contro i rappresentanti dello Stato ma anche ai fedeli di altre religioni (i kafir, gli infedeli). Questa lotta raggiunge talvolta la vicina Ossezia, dove la popolazione è in maggioranza cristiana.
Certamente numerosi Caucasici si trovano al momento in altre terre di jihad e non possono agire nel loro paese di origine. D’altronde Umarov aveva chiesto ai volontari in partenza di restare per lottare nel loro paese. Si rendeva ben conto che gli effettivi gli sfuggivano e che non sarebbero stati di ritorno così presto.
La Ribellione siriana accoglie quattro unità comandate da Caucasici:
- L’Esercito dei Migranti e degli Alleati (Mukhadzhirin va Ansar) che è collegato al fronte nord dello Stato Islamico d’ Iraq e del Levante (SIIL). Il suo capo, Tarkan Batirashvili – alias Omar al-Shishani (il Ceceno) – ha giurato fedeltà al SIIL nel dicembre 2013;
- Uno dei suoi ex aiutanti, Saifullah al-Shishani, ha abbandonato il movimento per unirsi al Fronte al-Nusra insieme a qualche decina di combattenti nel dicembre 2013. E’ rimasto ucciso nel febbraio 2014;
- Il Jund al-Sham, guidato da Amir Muslim, è presente con un centinaio di uomini nella regione di Latakia. E’ difficile definire l’esatta composizione di questo gruppo in quanto diversi unità portano questo nome;
- Infine, Salahudeen al-Shishani sarebbe oggi il rappresentante ufficiale di Umarov in Siria, con il compito di unificare tutti i Caucasici sotto un unico comando. Egli avrebbe recuperato dei combattenti dell’Esercito dei Migranti e degli Alleati che non hanno voluto seguire il loro capo nella sua fedeltà all’EIIL. Così, anche in Siria, gli jihadisti caucasici sono divisi. Peggio, essi possono battersi gli uni contro gli altri.
In Siria e in Iraq, Al-Zawahiri è direttamente contestato
In effetti, in Siria, l’autorità stessa di Al-Qaida centrale e del suo capo, Al-Zawahiri, viene messa direttamente in discussione da Abu Bakr Al-Baghdadi, il capo dello SIIL (2). Quest’ultimo approfitta del suo ruolo di capo operativo sul campo iracheno-siro-libanese per contestare ufficialmente la preminenza del leader di Al-Qaida che se ne sta ben rintanato al sicuro – ma forse non al caldo – nel suo nascondiglio pachistano.
Una simile aperta opposizione non si era mai vista dalla creazione del movimento negli anni 1990. Perfino le più raffinate manovre di Zawahiri per parare questa ribellione interna sono fallite. Si trattava:
- Di montare, da una parte, contro il SIIL dei movimenti di opposizione cosiddetti “indipendenti”, in particolare attraverso il Fronte Islamico (FI) e poi, dopo qualche tergiversazione, il braccio armato di Al-Qaida in Siria, il Fronte al-Nusra;
- Dall’altro lato di negoziare dietro le quinte una via di uscita, avvicinando al SIIL il Fronte al-Nusra, di qui le tergiversazioni di cui più sopra. All’uopo, un emissario speciale era stato designato nella persona di Abu Khalid Al-Suri. Ufficialmente dirigente di Ahrar Al-Sham, un movimento legato al Fronte Islamico (FI), è in realtà un altro responsabile di Al-Qaida centrale infiltrato in seno al FI. D’altronde è più che legittimo interrogarsi sulla reale indipendenza del FI nei confronti di Al-Qaida, quando si sa che gli obiettivi a breve termine delle due organizzazioni sono identici: la creazione in Siria di uno Stato islamico in cui si applichi la sharia dura e pura. E’ vero che nessun responsabile di questa alleanza ha fatto riferimento ad Al-Qaida, ma è stato per restare “presentabile” sulla scena internazionale.
Ora, oltraggio supremo, questo rappresentante personale di Zawahiri è stato ucciso in febbraio durante un assalto lanciato contro il suo movimento ad Aleppo. Il SIIL, che ha organizzato questa azione kamikaze, ha così indirizzato un gesto forte a Zawahiri che va al di là dei semplici discorsi abituali. Si tratta infatti di una dichiarazione di guerra come si deve.
L'offensiva generale lanciata contro il SIIL con il sostegno finanziario dell'Arabia Saudita, del Qatar, della Turchia (e verosimilmente degli occidentali) non sembra andare bene per il momento. Infatti, non solo il SIIL non ha subito le "sconfitte" annunciate con grande strombazzamento propagandistico, ma ha saputo utilizzare l'esperienza dei suoi membri per riposizionare i suoi effettivi e strappare posizioni importanti lungo la frontiera turca. Inoltre tiene solidamente la città strategica di Raqqa. E tuttavia, al momento, esso è surclassato nel numero di effettivi, almeno sulla carta, giacché conta non più di 20.000 uomini in Siria, mentre i suoi avversari ne disporrebbero di più di 100.000.
E' interessante notare che i volontari stranieri continuano a unirsi al SIIL piuttosto che alle formazioni che gli si oppongono. L'ultimo in ordine di tempo, Kamel Zarrouk, numero due di Ansar al-Charia Tunisie, sarebbe arrivato insieme a un gran numero di fedeli a dispetto del suo capo Seiffullah ben Hassine. Infatti quest'ultimo tenta di scoraggiare i giovani Tunisini dall'andare nei teatri esteri, a detrimento del loro paese di origine.
I ribelli hanno una spiegazione ideale per la resilienza del SIIL: esso è manovrato dal regime di Bachar el-Assad. E' assolutamente vero che le forze lealiste, direttamente aiutate da Hezbollah libanese, da milizie sciite irachene e pasdaran iraniani, approfittano della situazione caotica che regna all'interno dell'opposizione armata per guadagnare terreno. Solo i Curdi siriani e gli Israeliani non reagiscono e seguono l'andamento della situazione restandosene in disparte: fin quando i loro nemici si sbudellano tra di loro, questo non sembra andare contro i loro interessi (3).
Le conseguenze sono anche sensibili in Iraq, dove il SIIL controlla dall'inizio dell'anno buona parte della provincia di Al-Anbar. Le forze irachene sembrerebbero oggi incapaci di riguadagnare il terreno perduto. Per riuscirci dovrebbero essere massicciamente aiutati dagli Statunitensi, ma Washington si mostra più che reticente rispetto a questa opzione che potrebbe rivelarsi un vero e proprio ginepraio.
Quanto ad Al-Qaida centrale, la nebulosa non è ufficialmente rappresentata sul campo se non dal movimento Ansar al-Islam dello sceicco Abu Hashim al-Ibrahim. Questa unità sunnita deve oramai vedersela su tre fronti: i rappresentanti del governo centrale (sciita), i Curdi di Barzani e il SIIL !
Più globalmente, Al-Qaida sconta un problema classico: quello delle generazioni. I nuovi jihadisti sono giovani, perfino giovanissimi. Con grande disappunto dei loro vecchi, essi non rispettano niente e soprattutto la loro autorità e la loro interpretazione dell'islam. Non è prevedibile che questo movimento di contestazione interna cesserà nel futuro. Circostanza inquietante, le nuove reclute sono ancora più estremiste e crudeli dei loro vecchi.
AQMI profondamente divisa
Dal 2013, Al-Qaida al Maghreb islamico (AQMI) è profondamente divisa. Se il nocciolo duro di AQMI è sempre localizzato nella parte est di Algeri, sotto il comando dell'emiro Abdelmalek Drukdel, è da un bel pezzo che quest'ultimo non comanda più niente in Sahel. L'operazione Serval (l'intervento francese in Mali, ndt) è stato come un calcio nel formichiere della regione sud, disperdendo il movimento Al-Murabitune (che raggruppava i Firmatari col Sangue di Mokhtar Belmokhtar e il MUJAO). Ansar Eddine e quel che resta dei katiba della regione del Sahel (di cui Abu Zeid, ucciso nel febbraio 2013, è stata una delle grandi figure carismatiche). Sembra che queste formazioni siano disperse in piccoli gruppi datisi alla macchia, conservando però una capacità offensiva in Nord Mali e nei paesi vicini. Dal livello di katiba, essi sono passati a quello di seriyat (4) di massimo una decina di uomini, perfino meno. Gli jihadisti hanno capito bene che qualsiasi raggruppamento in zona desertica diventa un bersaglio di primo piano per un esercito moderno.
Belmokhtar aveva, dal canto suo, preparato il terreno nel sud della Libia, approfittando del vuoto di potere centrale dopo la caduta di Gheddafi. E' proprio a partire da questa regione che il suo commando ha attaccato il sito di produzione di gas algerino di In Amenas, nel gennaio 2013. Cosa accada nella zona può essere solo frutto di supposizioni, non potendo le osservazioni aeree rilevare nulla. Sembra che manchi qualsiasi informazioni su questa zona dove si incrociano tribù tubus, tuareg e arabo-berbere. E tuttavia tutto fa pensare che sia stato proprio a partire da questa zona che diverse formazioni jihadiste sono fiorite in Tunisia nel seno di Ansar al-Charia e potrebbero farlo, forse, anche in Marocco. La Libia avrebbe così costituito una base di partenza per jihadisti internazionali diretti in Siria e in Egitto, soprattutto in Sinai.
Quello che colpisce di tutti questi movimenti, AQMI, Al-Murabitune, Ansar al-Charia (vi sono diversi gruppi che portano questi nomi) è il fatto che tutti fanno riferimento ideologico ad Al-Qaida centrale, ma non hanno alcun legame strutturale con l'organizzazione. La nebulosa fondata da Osama bin Laden sembra essere oramai nulla più che un marchio che permette loro di esistere sulla scena regionale sulla quale si sono impiantati.
Perfino gli alleati talebani pachistani di Al-Qaida centrale incontrano gravi problemi. E' così che Asmatullah Shaheen Bhittani - il successore di Hakeemullah Mehsud ucciso da un drone statunitense il 1° novembre 2013 - capo di Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) e presidente della Shura Suprema dei Talebani pachistani è morto in una imboscata il 24 febbraio 2014 in Nord-Waziristan. L'azione non è stata rivendicata da nessuno, ma sembra che sia una risultante di lotte interne al movimento. Infatti a inizio marzo il TTP aveva proposto una nuova tregua di un mese alle autorità di Islamabad. Essa non è piaciuta a tutti i mujaheddin, tanto che alcuni hanno abbandonato il TTP per cerare Ahrar-ul-Hind, in opposizione a ogni negoziato col governo pachistano. I due avvenimenti sono verosimilmente legati.
Una minaccia in evoluzione
La minaccia dei gruppi affiliati e associati ad al-Qaida resta presente, perfino si accresce in talune regioni. Quel che è certo, è che non è centralizzata, ciascun gruppo gestendo le sue cose nel suo campo, senza preoccuparsi troppo di quello che può dichiarare Zawahiri. La preoccupazione è che alcuni di essi potrebbero collegarsi per spalleggiarsi reciprocamente.
- Al Qaida nella penisola arabica (AQAP, ribattezzata Ansar al-Charia) è attivissima al sud e al centro dello Yemen che, d'altra parte, deve vedersela con la rivolta delle tribù al Huti sciite) nel nord-ovest. Perfino la capitale Sanaa non è al sicuro. Senza il sostegno di Riyadh - e quello più discreto di Washington - lo Yemen si ritroverebbe certamente nella situazione della Somalia.
- Gli Shebaab somali, che hanno dimostrato di saper commettere attentati nei paesi vicini (come quello contro il centro commerciale Westgate di Nairobi nel settembre 2013), tendono a internazionalizzare le loro azioni mentre incontrano difficoltà nel loro stesso paese, dovute alla presenza di truppe straniere della Missione dell'Unione Africana in Somalia (AMISOM). Tuttavia, questo non impedisce loro di rappresentare una minaccia terrorista permanente sui principali assi e a Mogadiscio, la capitale.
- La setta Boko Haram e i dissidenti Ansaru continuano nelle loro sinistre attività in Nigeria: rapimenti, stupri, omicidi e massacri di civili, tra cui decine di liceali, in quanto, per gli attivisti islamici, l'educazione occidentale è un "peccato" Seri timori suscita l'insediamento permanente di infrastrutture islamiche nigeriane nel nord del Camerun e i loro eventuali legami con i Seleka centrafricani e le Forze democratiche alleate (ADF) della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Contatti sarebbero stati anche intessuti con AQMI e i Shebaab. Sarebbero però rimasti al livello di uno scambio di "stagisti".
- In Indonesia, la Jemaah Islamiyah (JI), il Jemmaah Anshorut Tawhid (JAT) e i Mujahidin Indonesia Timur (MIT) intendono vendicare la morte dei mussulmani Rohingya del Myanmar, uccisi da buddisti. La leadership emergente del MIT sarebbe di un certo Santoso.
- Il Lahkar e Jhangvi (LeJ) e Laskhar-e-Tayyiba (LeT) in Pakistan rappresentano sempre una diretta minaccia per Islamabad.
- Il Movimento Islamico di Uzbekistan (MIO) e la sua emanazione tadjike, Jamaat Ansarullah, il movimento Haqqani e i Talebani afghani aspettano solo la partenza degli Statunitensi dall'Afghanistan per ripartire all'assalto di Kabul. Al Qaida centrale sarebbe rappresentata da un nuovo comandante, Faruq al-Qahatani, emiro delle province di Kunar e del Nuristan. Il presidente Karzai ne è ben cosciente e non ha alcuna intenzione di fare la fine del suo predecessore, Mohammed Najibullah, orribilmente torturato e poi impiccato (insieme a suo fratello) ad un palo del palazzo presidenziale nel 1996.
Molti movimenti mussulmani violenti non intrattengono relazioni dirette con Al Qaida. E' il caso ad esempio dei separatisti Uiguri dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, la cui ultima azione terrorista risale al 1° marzo 2014 con l'attacco alla stazione di Kunming da parte di un commando dotato di armi bianche. Il bilancio è stato di una trentina di morti e 130 feriti. Le loro motivazioni sono prettamente locali, in quanto gli Uiguri si sentono trascurati dal governo centrale di Pechino. Tuttavia occorre sottolineare che alcuni separatisti Uiguri sono presenti da anni nel Waziristan pachistano, dove sono ospiti dei Talebani. Il più importante movimento di contestazione uiguro è il Movimento islamico del Turkestan-est, che sarebbe legato al Congresso mondiale uiguro.
Stiamo per assistere alla "disfatta" di Al Qaida? Forse sì, nella sua versione di "Al Qaida centrale" che dà direttive ai movimenti nel mondo che le sono affiliati e associati. Sembra che più nessuno obbedisca agli ordini di Zawahiri. Per contro, la moltiplicazione dei movimenti jihadisti, a causa degli esiti disastrosi delle "primavere arabe" che hanno prodotto un indebolimento degli Stati locali, rappresenta una minaccia crescente. Sono possibili anche dei momenti di grave crisi, qualche esaltato potendo ben lanciare degli attentati contro gli occidentali dai ripari sicuri che si sono creati qui e là: lo Yemen, il Sud Libico, il Sinai, ecc. Le regioni più minacciate, oltre alle terre di jihad abituali, sono il Libano, la Giordania, L'Egitto nel suo insieme, l'Africa del Nord, l'Africa centrale, addirittura la Tailandia.
Occorre ricordare che se la guerra è già di per sé una cosa atroce, gli jihadisti fondamentalisti la fanno in modo particolarmente abietto, non rispettando alcuna regola, né le convenzioni internazionali né l'umana mansuetudine. Omicidi, stupri, decapitazioni, torture - anche di donne e bambini - sono le procedure abituali. Non è che provino piacere (5), ma per loro il nemico è composto da una ammasso di sub-umani, che sono, o apostati (i traditori sciiti e i sunniti che non applicano correttamente la sharia), o miscredenti (ebrei, cristiani, buddisti, atei). E' qualcosa che ricorda altre sinistre epoche.
La salvezza verrà verosimilmente dalle lotte interne che cominciano a minare Al Qaida e i movimenti salafiti al loro interno, e poi dal coraggio delle popolazioni che i fondamentalisti mussulmani vogliono asservire. Non bisogna dimenticare che gli integralisti islamici uccidono per lo più altri mussulmani!
Note:
(1) I due uomini si sono presentati come "Suleiman" e "Abdurakhman", ma niente è venuto a confermare la veridicità di questo video e l'identità dei protagonisti non è stata svelata.
(2) Cf. "Al Qaida: guerre des chefs au sommet", Note d'Actualité n. 345, febbraio 2014
(3) I Curdi siriani rafforzano le loro posizioni lungo la frontiera turca e respingono, quando vi sono, gli assalti degli islamisti; gli Israeliani bombardano ogni movimento di armamenti che potrebbero raggiungere il Libano. Per loro, Hezbollah non deve approfittare della crisi per rafforzare la sua potenza di fuoco.
(4) In linea di massima una katiba ha una dimensione che si colloca tra la compagnia e il battaglione di fanteria, vale a dire da 00 a 400 uomini al massimo. Il seriyat si colloca tra i, gruppo e la sezione di fanteria: da 10 a 30 uomini.
(5) Vi sono anche dei sadici e i capi sembrano lasciarli fare, in quanto il terrore che ispirano consente di sottomettere le popolazioni.