Il prete e il profeta
- Dettagli
- Visite: 6071
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), dicembre 2008 (trad.ossin)
Il prete e il profeta
Abderrahmane Mekkaoui
In piena guerra civile libanese (1975-1979), la pubblicazione di un libro dal titolo “Il prete e il profeta” ebbe l’effetto di una bomba. Scritto con lo pseudonimo di Abou Moussa Al-Hariri (nome che potrebbe essere sia sciita che sunnita), l’opuscolo suscitò un acceso dibattito, tanto che si giunse al punto che i militari sauditi, sudanesi e siriani presenti in Libano sotto le insegne della Forza araba di dissuasione (FAD) crearono un QG comune per scoprire la vera identità dell’autore. Si pensò a Israele, che avrebbe edito il libro per alimentare la guerra civile libanese. Ma il libro, stampato sotto le bombe nei quartieri sunniti occupati dalla milizia Al-Mourabitoune – finanziata all’epoca dai wahhabiti e alleata dell’OLP – era stato in realtà scritto dal padre maronita Joseph Azzi.
Il prete e il Profeta è un libro che parla degli esordi della religione islamica e del ruolo determinante – occultato dalla tradizione araba – che vi giocò un prete ebionita [1] di nome Waraqa Ibn Nawfal, che era cugino della prima moglie del profeta Maometto, Khadija bent Khouayled, commerciante ricchissima, appartenente alla tribù Abd al-Uzza.
Il padre maronita Joseph Azzi alimenta nella sua opera la polemica intorno alla nascita dell’islam e dei suoi fondamenti filosofici. Le sue ricerche, durate diversi anni, concludono che l’islam di La Mecca proviene da due principali fonti: la filosofia greca e la chiesa siriaca. Quanto a quest’ultima, padre Azzi pone in rilievo la somiglianza tra l’islam di La Mecca e il vangelo ebraico che è, di fatto, il vangelo di Matteo, modificato nel corso degli anni dalle traduzioni dall’aramaico, dall’ebraico e dall’arabo. Quest’ultima lingua, più recente, è apparsa, secondo gli archeologi, i linguisti e i codicologi, solo un secolo prima dell’avvento del profeta Maometto [2]. Padre Joseph Azzi sostiene che l’islam di La Mecca è una riproduzione testuale del vangelo ebraico tradotto da Waraqa Ibn Nawfal.
Waraqa Ibn Nawfal, un personaggio di prima importanza passato sotto silenzio dall’islam
Molte questioni si pongono a proposito di Waraqa Ibn Nawfal, l’autore della traduzione del vangelo ebraico. Molti si chiedono chi sia stato, quale fosse il suo progetto e come abbia potuto il profeta Maometto, uomo intelligente e di carattere, in contatto permanente con questo prete, realizzare un colpo di Stato storico, dopo l’esordio fallimentare della sua predicazione a La Mecca, in una società tribale politeista dove vigeva la libertà di coscienza.
Waraqa Ibn Nawfal era un ebionita, un ramo dissidente del giudaismo sorto dopo la rivelazione di Cristo. Gli ebioniti (i poveri) – anche chiamati nazareni – hanno conservato i riti giudaici pur riconoscendo il Cristo, ma non la sua natura divina. Lo considerano come un profeta e non come figlio di Dio.
E’ da notare che questo movimento è difficilissimo da rintracciare, giacché lo si conosce sotto questa denominazione solo attraverso gli scritti degli eresiologi cristiani della fine del IV secolo dopo Cristo. Sembra che gli ebioniti non abbiano mai fondato una chiesa centralizzata, gerarchizzata, ma solo delle comunità sparse e autonome, spesso oppresse. Essi tenevano più ai riti che ai dogmi. Secondo gli eresiologi, la localizzazione geografica del movimento sembra essere inizialmente collocabile a Gerusalemme. Ma dopo la grande rivolta ebraica, essi si dispersero in tutto il Medio Oriente.
Le narrazioni musulmane evocano raramente Waraqa Ibn Nawfal che tradusse in arabo il vangelo ebraico [3] e che era il capo del movimento giudeo cristiano di La Mecca, chiamato nazareno. Fu lui tuttavia ad accogliere il Profeta, quando aveva solo 19 anni, e lo fece sposare quando ne aveva 25 a sua cugina Khadija, secondo un rito cristiano ben preciso. Waraqa Ibn Nawfal apparteneva alla frazione hascemita Abd Al-Uzza che la storiografia musulmana non menziona assolutamente per passare sotto silenzio i legami di sangue tra il Profeta e questo prete, che gli era cugino per tramite di un comune antenato, Qussai.
Il progetto dell’islam di La Mecca porta l’impronta di Waraqa Ibn Nawfal e venne ispirato dalla moglie del Profeta e da Ibnou abi Talib, lo zio paterno di quest’ultima. In realtà il prete aveva bisogno di un successore per gestire l’organizzazione e le prediche degli ebionisti giudeo-cristiani di La Mecca. Quindi, sul piano del dogma, la maggior parte delle sure lamecchesi sono pacifiste, universaliste e tolleranti. Sul piano rituale, gli ebionisti continuavano a seguire quello ebraico prescritto nella Torah: circoncisione, pellegrinaggio, sacrificio del montone, poligamia, digiuno, preghiera, ecc. Adottarono anche un codice di abbigliamento rigoroso, che raccomandava il velo per le donne e prescriveva la barba agli uomini. Il rituale musulmano ha ripreso tutte queste pratiche; d’altronde la sharia è una parola presa in prestito dall’ebraico e significa «norma», «tabella di marcia».
Contrariamente a quanto affermano alcuni esegeti musulmani come Al-Boukhari – secondo cui il Profeta avrebbe incontrato Waraqa Ibn Nawfal non più di tre volte -, le relazioni tra il prete ebionita e il profeta sono diventate col tempo molto strette, una formazione da parte del curato durata diversi decenni [4].
Bisogna anche dire che Kahdija, prima moglie di Maometto, sua figlia maggiore Zineb e suo cugino Waraqa Ibn Nawfal sono morti da giudeo-cristiani. Conviene anche ricordare che con la sparizione di queste teste pensanti dell’islam di La Mecca, la fonte di ispirazione («rivelazione») si è andata inaridendo per il Profeta. Una carestia durata tre anni, come lo conferma l’hadith autentificato «Touwaffia Waraqa wa fatoura al wahyou» contenuto nel Sahihd’Al-Boukhari. Gli esegeti riconosciuti dall’islam sunnita evidenziano la frustrazione, perfino la disperazione di Maometto che pensò anche più volte di mettere fine ai suoi giorni. Cosa che dimostra l’aspetto narcisistico, perfino schizofrenico del messaggero di Allah.
Con la sua opera, il padre maronita Joseph Azzi ha suscitato polemiche sostenendo che l’inaridimento dell’ispirazione di Maometto lo abbia costretto a cambiare strategia, realizzando un colpo di Stato con l’aiuto dei briganti e dei commercianti che contava tra i suoi amici [5]. Questo consentì al profeta di disporre di un nucleo di uomini armati che si andò ampliando col tempo, vale a dire nel corso della migrazione verso Yathrib, e consentì la nascita di una corrente medinese che predicava la violenza e il jihad con prescrizioni di abbigliamento religiose, che riflettevano l’ambiente dei beduini arabi poveri e affamati.
Conclusioni
Per capire la violenza attuale legittimata dall’islam radicale, occorre distinguere tra le fondamenta dell’islam di La Mecca e dell’islam di Medina, due universi opposti e contraddittori. Il primo era più conciliante del secondo, segnato dal rigorismo e dall’esclusivismo necessario a favorire la nascita di uno Stato che raggruppasse le tribù confederate di Arabia. L’islam medinese, attraverso un colpo di Stato, si è appoggiato a due pilastri capaci di galvanizzare i beduini arabi: l’abrogazione dell’islam di La Mecca pensato da Waraqa Ibn Nawfal, e la costruzione di una macchina per uccidere eterna e generale, sulla base del principio di fedeltà e del ripudio [6].
A questo punto deve segnalarsi che gli ebrei di Yathrib – convertitisi all’islam per convinzione, per costrizione o per convenienza – acquistavano così una ragione per poter sperare nella realizzazione del Grande Israele, ricostruendo il Tempio e attendendo la venuta del Messia. Il Corano lo evoca infatti più volte, e il territorio dei figli di Israele doveva estendersi dal Nilo all’Eufrate, e questa interpretazione è stata avallata dall’imam degli esegeti Al-Tabari e dall’ispiratore dei wahhabiti Ibn Taymiyya nel XIII secolo. E’ lo stesso progetto che oggi riceve l’assenso di Riyad, sostenuta dai neocon statunitensi e dal sionismo internazionale.
Note:
[1] Eresia giudeo-cristiana decimata dall’Impero romano in Arabia tra il III e il IV secolo dopo Cristo
[2] Il suo rapido sviluppo si deve a due fattori essenziali che sono la poesia araba e il commercio carovaniero, diventato prospero in seguito al declino del commercio marittimo a causa del conflitto che contrapponeva le due potenze dell’epoca: Bisanzio e la Persia
[3] Waraqa Ibn Nawfal frequentò diversi monasteri ebioniti eretici dell’Iraq e della Transgiordania e parlava altrettanto bene l’ebreo, l’aramaico e il siriaco, lingua di comunicazione e di commercio dell’epoca
[4] L’islam di La Mecca è stato influenzato anche da due altre religioni: lo Zoroastrismo, che ha trasmesso molti rituali all’islam (digiuno del ramadan, preghiera cinque volte al giorno, poligamia, ecc.), e l’hanife, soprattutto attraverso i poemi di Imrou’ou Al-Qais e d’Oumeya Ben abi Salt (noto per il suo poema egerico «A te la benedizione»), senza dimenticare il grande hanife dell’epoca, Zeid Ibn Noufail, capo del movimento hanife a La Mecca
[5] Vedi in proposito Abderrahmane Mekkaoui, «Il Profeta e i briganti», https://www.ossin.org/uno-sguardo-al-mondo/integralismo-terrorismo/2382-il-profeta-e-i-briganti
[6] Vedi in proposito Abderrahmane Mekkaoui, « Takfir : le devoir de comprendre», Tribune libre n°66, juillet 2016 (https://www.cf2r.org/tribune/takfir-le-devoir-de-comprendre/).