La Cina allarga la sua Via della Seta al mondo intero
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Asia Times, 13 maggio 2017 (trad. ossin)
La Cina allarga la sua Via della Seta al mondo intero
Pepe Escobar
Pechino auspica che i due giorni del suo forum di alto livello ‘Belt and Road per la cooperazione internazionale’, che si è tenuto il 14 e 15 maggio, possano mutare il volto della globalizzazione
Col forum internazionale Belt and Road sulla nuova Via della Seta cinese, che si è svolto il 14 e 15 maggio, la globalizzazione assume un profilo molto diverso. Il punto forse di svolta nell’equilibrio mondiale delle grandi potenze.
Veniamo subito ai fatti. La nuova “Via della Seta” cinese è l’unico progetto di sviluppo multilaterale di ampio livello che il XXI secolo ha fino ad ora concepito.
Non esiste alcuna contro-offerta da parte dell’Occidente.
E’ per questa ragione che i due giorni del forum Belt and Road per la cooperazione internazionale, tenuto il 14 e 15 maggio a Pechino, sono destinati a fissare le nuove regole dell’economia mondiale. L’iniziativa sembra pronta a passare alla modalità Mark II, accelerando il processo che il presidente Xi ha chiamato, a Davos nel gennaio scorso, «mondializzazione inclusiva».
Le grandi idee sulle quali si fonda questo progetto cinese, però, finiscono col perdersi nella traduzione. All’inizio questa autostrada commerciale trans-asiatica era chiamata One Belt, One Road (una cintura, una strada), traduzione letterale dal cinese yi dai yi lu. Oggi si chiama Belt and Road (BRI), ma la cosa non marcia ancora bene in Occidente, anche se la Cina ha tentato di utilizzare qualche tattica di ‘soft power’ illustrando la Belt and Road ai bambini anglofoni.
Io mi occupo delle nuove Vie della Seta fin dal primo annuncio del 2013. L’idea è stata una elaborazione del Ministero del commercio e si è poi sviluppata come una estensione naturale della campagna Go West – in origine destinata a sviluppare la provincia occidentale dello Xinjiang – lanciata nel 1999. Il Ministero del commercio insiste oggi sul carattere mondiale dell’iniziativa One Belt, One Road, che non è legata solo alla presidenza di Xi Jinping.
Il summit tenterà (questo articolo è stato scritto prima, ndt) di dimostrare che questo ambizioso concetto commerciale è diventata una visione condivisa di tipo “win win” (profittevole per tutte le parti, ndt) che connette tutta l’Eurasia. Oppure, in parole povere, la mondializzazione di seconda generazione.
E’ illuminante esaminare le dichiarazioni fatte da alcuni dei migliori analisti cinesi. Wang Huiyao, presidente del Centro indipendente per la Cina e la Mondializzazione, dice che rappresenta «il nuovo motore della mondializzazione».
Shen Digli, dell’Istituto degli studi internazionali dell’università Fudan di Shanghai, evidenzia «la interconnessione mondiale».
Wang Yiwei, del Centro di studi europei dell’Università Renmin, è convinto che possa trattarsi di una iniziativa importante quanto la creazione dell’Unione Europea.
E Shin Yinhong, del Centro studi americani dell’Università Renmin, pone l’accento sul fatto che One Belt, One Road/Iniziativa Belt and Road non potrebbe funzionare se fosse solo una scommessa geopolitica.
La geopolitica come geo-economia
Benché orientato a dare impulso alle economie dall’Egitto fino al Bangladesh, e da Myanmar fino al Tajikistan, è anche un ambizioso progetto di economia/libero scambio/piani di investimenti che aprirà dei mercati alla tecnologia e alle merci cinesi. E questo comporterà un accrescimento esponenziale dell’influenza geopolitica cinese.
Di pari passo a questa sfrenata interconnessione che potrà coprire fino a 65 paesi, il 60% della popolazione mondiale e un terzo della produzione economica, la Cina accumula un capitale extra dall’Asia Centrale fino al Medio oriente. Questo confermerà inoltre il suo status di leader dei paesi in via di sviluppo, permettendole di tentare di riattivare il Movimento dei non allineati, che raggruppa 120 paesi.
Rappresentanti di oltre cento paesi convergono a Pechino e la maggior parte fanno parte dei non allineati. Ovviamente ci sarà Vladimir Putin in rappresentanza del partenariato strategico russo-cinese (BRICS, Organizzazione di cooperazione di Shanghai) che copre tutto, dall’energia a progetti di infrastrutture (compresa la prossima ferrovia ad alta velocità transiberiana). Ma, di valore ancora più simbolico, è la partecipazione del primo ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, e del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, leader di due importanti piattaforme-chiave dell’iniziativa One Belt, One Road.
La maggior parte dei decisori dell’Occidente ha bisogno di un meteorologo per capire dove soffi il vento. E diversi media occidentali si fanno un dovere di minimizzare l’importanza della nuova Via della Seta, di parlarne come di un «complotto», una «combine», o di un tentativo cinese di circondare l’Eurasia. Un solo dirigente del G7 è presente a Pechino, il Primo Ministro italiano Paolo Gentiloni, che è molto interessato ad approfondire i legami simbiotici tra i programmi industriali 4.0 dell’Italia e l’iniziativa Made In China 2025. (NdT, un piano di adeguamento e di rafforzamento dell’industria cinese, soprattutto nel settore high-tech).
Angela Merkel può anche avere declinato l’invito a partecipare al forum. Non ha importanza, perché tutti gli industriali tedeschi approvano l’iniziativa One Belt, One Road.
E l’amministrazione Trump si sta risvegliando, dopo l’incontro Trump-Xi a Mar-a-Lago. La delegazione statunitense sarà guidata da Matt Pottinger, assistente speciale del presidente e direttore senior per l’Asia dell’est al Consiglio della sicurezza nazionale.
E l’India? I 62 miliardi di dollari del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), uno dei punti culminanti di One Belt, One Road, entusiasticamente lodato dai funzionari pakistani, passa in parte per il Kashmir. La diplomazia, e non il commercio, favorirebbe meglio gli interessi indiani. Ma la realtà è che l’amministrazione Narendra Modi – che ha accusato la Cina di «cercare di minare la sovranità delle altre nazioni» – è ossessionata dai suoi timori che il vero obiettivo cinese sarebbe quello di assumere il controllo strategico dell’Oceano indiano. L’India non è quindi a Pechino.
Hai yuan, viaggerai
La nuova Via della Seta arriva con un turbinio di cifre. Nessuno è in grado di stimare il valore reale dei progetti già approvati per la strada terreste e per la via della seta marittima, ma secondo alcune voci, si è già toccato qualcosa come 300 miliardi di dollari. La maggior parte di questi progetti saranno realizzati nel corso del prossimo decennio e oltre.
L’agenzia di Rating Fitch cita 900 miliardi di dollari in progetti già previsti o già in corso di realizzazione. Alcuni prevedono che la Via della Seta n.2 potrà richiedere fino a 5 trilioni di dollari di qui al 2022. Secondo la Banca asiatica di sviluppo, l’Asia avrà bisogno di una cifra vertiginosa, 26 trilioni di dollari, per I suoi progetti di infrastrutture di qui al 2030.
Il Fondo Silk Road, istituito alla fine del 2014, può contare al momento solo su 40 miliardi di dollari – un mix di riserve in valuta estera e un contributo della Banca di sviluppo cinese e della Banca cinese di import-export. Ha finora investito 6 miliardi di dollari in 15 progetti, più 2 miliardi di dollari per finanziare progetti in Kazakhistan.
La Banca asiatica di investimento per le infrastrutture (Asian Infrastructure Investment Bank/AIIB), che raccoglie 70 paesi-membri, è stata aperta nel gennaio 2016 con un capitale di 100 miliardi di dollari, ma l’anno scorso ha speso solo 2 miliardi di dollari.
La nuova banca di sviluppo (NDB), la banca dei BRICS, dovrà presto crescere di importanza, dopo che le agenzie di rating cinesi le hanno attribuito un AAA.
La Cina è membro della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) dal 2015 ; è l’origine dei finanziamenti europei di One Belt, One Road. E’ anche legata ad un fondo in Lussemburgo e ad un altro a Riga, in Lettonia.
La questione-chiave, per la nuova Via della Seta, resta quella di trovare finanziamenti a tassi interessanti sui mercati mondiali. Sarà uno dei principali argomenti di discussione del summit. Zhou Xiaochun, governatore della Banca popolare di Cina, ha già enunciato una direttiva: I «governi» – compreso quello cinese – non sono in grado da soli di sopportare i costi del progetto.
Quindi tutti dovranno rivolgersi al mercato dei capitali; istituire i propri meccanismi finanziari per One Belt, One Road e soprattutto essere pronti a negoziare in monete locali. Quindi soprattutto in moneta cinese. Dunque, se stai imboccando la Via della Seta, non dimenticare i tuoi yuan.