La Voix de la Russie, 29 agosto 2014 (trad. ossin)


Terrorismo islamista: la confusione degli Stati Uniti e la chiaroveggenza di Mosca

Dario Citati


Dopo la decapitazione del reporter James Foley, Barack Obama sembra aver deciso di inviare droni in Siria, non più per colpire Assad, ma piuttosto i suoi avversari. E' un rovesciamento completo di posizione che dimostra la saggezza delle posizioni russe dirette a stabilizzare il Vicino Oriente, nonché l'ipocrisia occidentale


In un articolo comparso sul quotidiano Washington Post, il giornalista statunitense Ishaan Tharoor ha sollevato una importante questione, già enunciata nel titolo: Putin aveva ragione sulla Siria? (Was Putin right about Syria?) La risposta è affermativa: pur criticando la politica estera del Cremlino su altre vicende (per esempio, la crisi ucraina), l'analista nord americano riconosce che lo svulippo degli avvenimenti nel Vicino Oriente ha dimostrato la giustezza della posizione russa nei confronti della guerra civile siriana. Nel 2013, gli Stati Uniti sono stati sul punto di organizzare un intervento armato contro Damasco, a sostegno dell'opposizione contro Bachar al-Assad, col pretesto di un uso di armi chimiche da parte del governo contro la popolazione civile che non è stato mai dimostrato con certezza. Solo il presidente russo si oppose apertamente a questo attacco, rivolgendosi direttamente al popolo statunitense con una lettera pubblicata a metà settembre sul New York Times, mentre gli Stati europei, Francia in testa, sembravano ben disposti a seguire Washington.  Nella lettera, Putin criticava non solo il carattere unilaterale dell'operazione, ma affrontava anche la dimensione geopolitica della crisi. Il Presidente russo affermava infatti che una guerra contro lo Stato laico di Bachar al-Assad avrebbe comportato il rischio di un allargamento regionale del conflitto (cosa realmente accaduta, con la nascita del Califfato tra Siria e Iraq), oltre alla possibilità di un ritorno dei terroristi islamici di origine occidentale nei loro paesi. Oggi tutti possono constatare che questa analisi si è rivelata assai chiaroveggente: qualsiasi cosa si pensi del regime di Bachar al-Assad, è evidente che la lotta contro il suo governo non viene fatta in nome della democrazia, ma della jihad. Si osserva più o meno la stessa situazione in Libia: dopo il rovesciamento di Gheddafi (a cui pure la Russia si era opposta), il paese è piombato nel caos e l'estremismo religioso si impone in modo sempre più inquietante. Forse, se l'Europa avesse elaborato una strategia concertata sulla base degli orientamenti di Mosca, la montata islamista avrebbe potuto essere evitata o almeno fortemente limitata.

E' però obiettivamente stupefacente che la maggioranza dei media non evidenzino il rovesciamento delle posizioni statunitensi a proposito della crisi in Siria. Anche se la Casa Bianca afferma di non volere direttamente collaborare col governo di Damasco, attualmente gli USA vogliono colpire quegli stessi "ribelli" che l'anno scorso si pensava fossero dalla parte giusta. La riflessione di Ishaan Tharoor è dunque tanto più importante in quanto rappresenta una eccezione, chiarendo che la politica estera russa è spesso molto più finalizzata alla stabilizzazione di quanto non ammettino gli Occidentali. Il caso dell'estremismo islamico è un esempio assai rivelatore del fatto che le esigenze di stabilità interna alla Federazione russa condizonino anche la sua politica estera. Ospitando una consistente comunità islamica che, nel Caucaso del Nord, non è insensibile al richiamo dell'estremismo religioso, Mosca è sempre costretta a rispettare certi equilibri nella sua politica estera nei confronti dei paesi mussulmani. Ecco perché un rapporto politicamente più solido con l'Unione Europea sarebbe di interesse comune per fronteggiare il radicalismo islamico che non risparmia nemmeno gli stessi Europei, sia causa della vicinanza geografica con Vicino Oriente e Africa del Nord, che a causa della presenza di una crescente popolazione mussulmana in Europa.

Per esempio, nell'agosto 2013, la stampa russa raccontava di un presunto incontro di Vladimir Putin con il Capo dei servizi di informazione sauditi, durante il quale Riyadh avrebbe fatto un ricatto a Mosca: o accettare il rivesciamento di Assad in Siria, o rischiare di essere colpiti da attentati islamisti sul proprio territorio durante le olimpiadi di Sotchi. La Russia non ha ceduto, proseguendo nella sua oposizione all'ipotesi di un attacco occidentale contro Damasco. Ma ecco che a fine dicembre, nella città di Volgograd, due attentati con autobombe hanno provocato più di 30 morti e 100 feriti. Dopo un simile massacro, Vladimir Putin ha accusato direttamente l'Arabia Saudita di essere responsabile di questi atti terroristi. Che cosa si è letto sui media occidentali a proposito di questa flagrante coincidenza tra la minaccia e la realizzazione degli attentati? Praticamente niente: sulla stampa euro-americana i fatti di Volgograd sono stati piuttosto fatti rientrare nella propaganda antirussa che stava cominciando con Sotchi. Se si leggono gli articoli dei giornali di quel periodo, ci si accorge agevolmente che gli attentati sono stati descritti quasi unicamente come dimostrazione della incapacità dei Russi di garantire la sicurezza prima delle Olimpiadi. Non occorre molta immaginazione per capire che la reazione sarebbe stata molto diversa se la violenza terrorista avesse colpito una città europea o statunitense, e sarebbe forse anche tornata in voga la teoria dello "scontro di civiltà" tra islam e occidente, che è stata tanto pericolosa e semplicistica quanto la scelta di rovesciare i governi laici come quello di Gheddafi e di Assad e l'ingenuo sostegno alle sedicenti "primavere arabe". Oggi che il legame tra l'erronea politica medio-orientale e il rischio di attentati terroristi diventa sempre più evidente, i leader europei potranno ben rimpiangere di non avere operato in sinergia con Mosca negli ultimi due anni.

Occorre quindi concludere che l'assenza di una critica seria e argomentata nei confronti degli ondeggiamenti dell'Occidente verso l'islamismo radicale rappresenta una occasione mancata per migliorare le relazioni tra la Federazione Russa e l'Europa. La sfida del terrorismo islamista potrebbe costituire infatti un elemento di coesione per migliorare i rapporti bilaterali, anche per facilitare il dialogo sulla crisi ucriana. Perché i paesi europei fanno fatica a capire che la Russia costituisce un partner fondamentale non solo sul piano economico, ma anche nella politica estera? Da un lato, perché l'eredità ideologica della Guerra Fredda impedisce ancora oggi la nascita di una coscienza geopolitica europea: condividendo spazi vicini, perfino contingui, Europa e Russia hanno interessi comuni infinitamente superiori a qualsiasi altro partner transatlantico. Dall'altro lato, la crisi di valori, l'assenza di patriottismo e il malessere sociale che scuotono i Paesi europei ostacolano la comprensione dei cambiamenti storici: la dominazione occidentale sul pianeta sta per tramontare e il mondo si muove verso una prospettiva multipolare. Per parteciparvi, gli Europei dovrebbero prima di tutto essere coscienti della loro specifica civiltà, abbandonando questa identità "occidentale" o "euro-statunitense", nata dopo la Seconda Guerra Mondiale e che si dimostra totalmente incapace di dare una fisionomia culturale atta a fronteggiare le sfide del XXI° secolo.

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