Napoli oltre la narrazione populista
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Corriere del Mezzogiorno, 10 dicembre 2016
Napoli oltre la narrazione populista
Nicola Quatrano
Fa male Luigi de Magistris a intestarsi il 70% che Napoli ha regalato al No. Meglio sarebbe confrontarsi coi risultati delle amministrative, che lo hanno sì riconfermato sindaco, ma col consenso reale del 20% dei napoletani e con 80.000 voti in meno rispetto al 2011. L’idea che l’ondata «populista» debba necessariamente premiare un leader che si sforza di esserne il simbolo è suggestiva, ma poggia — io credo — su un’analisi alquanto frettolosa di quanto davvero sta scuotendo il mondo.
Cosa c’è, infatti, di «populista» (espressione che recentemente ha preso il posto di quella desueta di «fascista») nel recente voto referendario? Davvero è stato un cupio dissolvi, un «vaffanculo» scagliato con rancore e indifferente alle conseguenze? O non piuttosto una lucida scelta che gli elettori hanno fatto sulla base della concreta esperienza quotidiana, senza lasciarsi incantare dalla retorica del «tutto va bene» massicciamente diffusa da quasi tutti i media. E che ha punito un leader che si presentava come l’uomo del cambiamento, ma che sembrava nascondere, dietro uno storytelling allettante, più modesti interessi di promozione personale (e di giglio magico). Un po’ quello che è successo a Hillary Clinton, silurata (nonostante un massiccio sostegno mediatico), perché la narrazione della «prima donna alla Casa Bianca» è sembrata solo il paravento che celava i sordidi affari di una Fondazione consegnata alla storia col nome inverecondo di «Paga per giocare».
O come per la presidente sud coreana Park Geun-hye, della quale si reclamano le dimissioni per i suoi non chiari rapporti con la vecchia amica Choi Soon-Sil, oggi in carcere, e alla quale non si riesce soprattutto a perdonare di aver trascorso le ore drammatiche in cui il paese veniva investito dal tifone Chaba, in un salone di bellezza.
Si tratta, in tutti questi casi, di umori «anti-sistema»? O non semplicemente della meritata bocciatura di una classe dirigente irresponsabile, che parla bene e si dimostra poi incapace, insensibile alle esigenze del suo popolo e attenta solo ai propri interessi (e a quelli delle lobby in grado di ricambiare con sontuosi incarichi e prebende, come è stato per Bill Clinton, Tony Blair, Gherard Schroder o Manuel Barroso). Una classe dirigente che usa le parole (libertà, rivoluzione, democrazia) come fossero suoni senza vero significato, contando su un incessante fuoco mediatico che — in proporzioni mai viste prima — racconta un mondo completamente diverso da quello reale. Ne sanno qualcosa i Siriani che, da anni, sentono raccontare che gli assassini jihadisti sono «ribelli» e che il vero problema è quel governo che, nonostante tutto, li difende dai tagliatori di teste. Quando le elezioni della Siria liberata consegneranno una maggioranza schiacciante ad-Assad, diremo che è stato un voto «populista»?
E, per tornare a de Magistris, la crescente tendenza degli elettori a giudicare senza indulgenze i propri leader sulla base del loro concreto operato, e non delle narrazioni messe in campo, è qualcosa che dovrebbe far tremare i polsi anche a chi si presenta con una retorica diversa e antagonista, ma pur sempre retorica.
De Magistris è l’uomo solo al comando che ha fatto e disfatto giunte comunali e comitati di sorveglianza, con la sola legittimazione che gli veniva dal consenso popolare e dalla sua storia personale, considerati (e usati) come garanzia suprema del suo buon fare. Ma che non sembrano più sufficienti a garantire il consenso ed a risolvere plateali contraddizioni. Come quella tra la proclamata opposizione al Jobs Act renziano e il ricorso generalizzato ai voucher per i servizi comunali. O la distanza crescente tra la narrazione di una «Napoli Bene comune» e una prassi amministrativa che non riesce ad assicurare un livello appena decente dei servizi pubblici (pessimo quello della Metropolitana), e taglia piuttosto i fondi del welfare, affida gli spazi pubblici ai privati (per collocarvi gazebo, NAlbero o altre amenità), o ampia enormemente l’operatività di «Napoli Servizi», quasi fosse una sorta di struttura parallela rispetto alla macchina comunale. Sono questioni che il sindaco dovrà prima o poi affrontare, almeno per evitare di doversi un giorno chiedere (con gli stessi occhi increduli di Renzi e Hillary Clinton): «Ma perché mi odiano tanto»?