Arabia Saudita-Iran : cosa c’è dietro il riavvicinamento diplomatico ?
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La Guerra in Medio Oriente, 1 luglio 2021 - Col cambio di amministrazione a Washington, e dopo gli insuccessi della sua politica regionale, Riyad ha moderato i toni sull’Iran e adesso corre voce di colloqui bilaterali in corso con Teheran (nella foto, Mohammed bin Salman)
Middle East Eye, 5 maggio 2021 (trad.ossin)
Arabia Saudita-Iran : cosa c’è dietro il riavvicinamento diplomatico ?
Ali Harb
Col cambio di amministrazione a Washington, e dopo gli insuccessi della sua politica regionale, Riyad ha moderato i toni sull’Iran e adesso corre voce di colloqui bilaterali in corso con Teheran
« Sappiamo bene di essere un bersaglio privilegiato per il regime iraniano… Non aspetteremo che lo scontro avvenga nel territorio dell’Arabia saudita. Faremo in modo che avvenga laggiù, in Iran ».
- Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, 2017
« L’Iran è un paese nostro vicino. Noi vogliamo buone relazioni privilegiate con l’Iran. Non vogliamo che l’Iran si trovi in una situazione difficile. Al contrario, vogliamo un Iran prospero ».
- Principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, 2021
Perfino per gli standard della geopolitica in continua evoluzione nel Medio oriente, il ribaltone di Mohammed bin Salman (MBS) – dall’evocazione della guerra all’auspicio di relazioni di buon vicinato con l’Iran – è davvero subitaneo.
Donald Trump ha concluso il suo mandato, la nuova amministrazione statunitense negozia col governo iraniano e gli Houthi intensificano i loro attacchi contro il Regno; a questo punto, il principe ereditario sceglie la via diplomatica dopo anni di politica estera aggressiva che non ha prodotto i risultati sperati.
« E’ un cambiamento davvero incredibile. Il tono stesso è completamente diverso », afferma Jean-François Seznec, esperto di questioni saudite e ricercatore all’Atlantic Council ed al Middle East Institute.
Il principe ereditario, più noto come MBS, non è sicuro dell’appoggio incondizionato dell’amministrazione Biden nei confronti dell’Arabia saudita, spiega lo specialista a MEE.
« Quindi, piuttosto che prepararsi ad una guerra contro l’Iran senza il pieno appoggio degli Stati Uniti, penso preferisca l’opzione “parliamo e vediamo che cosa succede”».
Riyad e Teheran stanno negoziando in segreto fin dal mese scorso per appianare le tensioni tra i due paesi, secondo molti media.
« Relazioni privilegiate »
In un’intervista concessa a fine aprile ad Al Arabiya, MBS ha parlato dei punti di tensione con l’Iran : l’appoggio fornito da quest’ultimo alle milizie e i suoi programmi di missili balistici e nucleari. Ha però detto che il Regno avrebbe operato, insieme ad alcuni « partner nella regione e nel resto del mondo », per risolvere questi problemi ed intessere relazioni « positive » con Teheran.
Ha parlato dell’Iran come di uno Stato vicino col quale è possibile superare le ragioni di contrasto, e stabilire « relazioni privilegiate ».
Meno di quattro anni prima, poco prima di sostituirsi al cugino Mohammed bin Nayef come principe ereditario, MBS dipingeva la Repubblica islamica come un regime intrinsecamente « estremista » che aspirava ad espandersi per diffondere una versione politicizzata dell’islam sciita.
All’epoca aveva lasciato intendere che qualsiasi colloquio con l’Iran sarebbe stato inutile perché l’ideologia di Teheran era incompatibile con qualsiasi negoziato. « I punti in comune sui quali potremmo trovare un accordo con questo regime? Sono pressocché inesistenti », assicurava colui che nel 2017 era vice principe ereditario.
Oggi, il leader (di fatto) saudita modera il tono, non solo sull’Iran, ma anche sui nemici più diretti del Regno in Yemen – gli Houthi.
Dopo anni di bombardamenti feroci in Yemen e di accuse rivolte ai ribelli yemeniti, definiti « terroristi » appoggiati dall’Iran, ha adesso teso un inequivoco ramo d’olivo agli Houthi.
Ha reiterato una proposta di cessate il fuoco e alluso alla prospettiva di aiuti economici allo Yemen, sollecitando i ribelli a sedersi al tavolo delle trattative. Il principe ereditario ha perfino riconosciuto che gli Houthi sono yemeniti ed arabi – non semplici agenti dell’Iran.
Il capo dell’intelligence saudita ha anche incontrato, a fine aprile, il suo omologo siriano a Damasco, secondo un articolo del Guardian, altro segno di una generale riduzione delle tensioni nella regione.
Cos’è che spinge Riyad ad attivare canali diplomatici dopo anni di atteggiamenti combattivi?
Mentre per molti Statunitensi, la risposta più immediata potrebbe apparire l’elezione di Biden, Kristian Coates Ulrichsen, specialista del Medio Oriente all’Institute for Public Policy della Rice University, pensa che la ragione determinante di un simile cambiamento sia anteriore all’elezione del presidente democratico alla Casa Bianca.
L’attacco con droni contro importanti installazioni petrolifere saudite del settembre 2019 ha messo in luce la vulnerabilità del Regno, ricorda Ulrichsen, tanto più che il presidente Trump respinse la proposta di una risposta contro l’Iran, principale indiziato per quell’incidente che è costato 2 miliardi di dollari al Regno.
L’assenza di reazioni da parte degli Stati Uniti è sembrato dire ai più fedeli alleati di Trump nella regione, MBS e il suo omologo degli Emirati Mohammed bin Zayed (MBZ) : « Sbrigatevela voi », dice Kristian Coates Ulrichsen a MEE.
« Questa (non) reazione statunitense ha veramente stravolto i punti di riferimento regionali per MBS e MBZ », afferma. « Tramontata l’idea che “noi possiamo sempre contare sull’appoggio degli Stati Uniti, qualsiasi cosa succeda”, hanno compreso che dovevano trovare altri modi per allentare le tensioni e che, in tutta evidenza, serviva loro di trovare una forma di coesistenza perché l’Iran è il loro vicino».
Kristian Coates Ulrichsen aggiunge che la sconfitta di Trump ad opera di Biden, che intende riprendere i negoziati con l’Iran e sembra meno interessato al Medio Oriente nel suo insieme, pressato com’è da questioni più immediate sul piano nazionale, ha accelerato la virata saudita in favore della diplomazia.
Politiche inutilmente super-aggressive
Sina Toossi, analista di ricerca al National Iranian American Council (NIAC), fa eco alle parole di Ulrichsen. Dice che l’Arabia Saudita aveva messo tutte le sue uova nel paniere di Trump, ma l’attacco contro le installazioni di Aramco ha mostrato che la disponibilità di Washington a proteggere i suoi alleati del Golfo ha limiti precisi.
« L’idea di beneficiare di una garanzia di sicurezza statunitense è venuta meno durante l’era Trump », dichiara Toossi a MEE.
E aggiunge che l’Arabia saudita e gli Emirati si sono resi conto che la « pressione massima » non avrebbe provocato il crollo dell’Iran, mentre l’impegno di Washington per garantire la sicurezza a Riyad non è incondizionato.
Questa conclusione si è rafforzata molto nei due paesi, e la previsione è chiara: « Gli Stati Uniti stanno abbandonando questa regione, e ci resteremo noi, gli Iraniani, il Qatar, i Turchi e i Siriani », dice Toossi.
« Le politiche super aggressive che hanno praticato non hanno prodotto alcun risultato a loro favore. Si sono piuttosto ritorte contro di loro ».
"Una buona cosa"
Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha approvato il riavvicinamento tra l’Arabia saudita e l’Iran, pur senza confermare che erano in corso dei pourparler bilaterali.
« Se si parlano, penso sia tutto sommato una buona cosa », ha dichiarato Blinken al Financial Times. « Parlare di solito è meglio che non farlo. Produrrà dei risultati ? Questa è un’altra questione. Ma parlare, tentare di allentare le tensioni, tentare di accordarsi su di un modus vivendi, tentare di convincere i paesi a modificare talune azioni che non ci piacciono – è bene, è positivo ».
L’amministrazione Biden è impegnata a rivedere le sue relazioni col Regno dopo quattro anni di stretti legami tra Riyad e Washington quando c’era Trump. Il primo viaggio all’estero dell’ex presidente, subito dopo l’elezione nel 2017, fu in Arabia Saudita.
Poco dopo essere diventato presidente all’inizio del 2021, Biden ha annunciato la cessazione del sostegno statunitense alle « operazioni offensive » dell’Arabia saudita in Yemen e chiesto inequivocabilmente la fine della guerra. Ha anche ordinato la pubblicazione di un rapporto sulle conclusioni tratte dalla comunità dei servizi di intelligence statunitensi a proposito dell’assassinio di Jamal Khashoggi, che ne attribuisce la responsabilità allo stesso MBS.
Nel frattempo, l’amministrazione statunitense ha avviato dei colloqui nucleari indiretti con l’Iran e riconosce il fallimento della campagna di pressione massima di Trump, che ha preso la forma di sanzioni contro la Repubblica islamica.
E Biden non è l’unico ad inquietare i Sauditi. Il presidente ha dietro di sé una Partito Democratico che controlla le due Camere del Congresso e che è sempre più critico nei confronti di Riyad.
L’orribile assassinio di Khashoggi ha segnato una svolta nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, soprattutto al Congresso, dove i Democratici continuano a fare pressioni per l’adozione di misure dirette a punire MBS, oltre a quelle già prese da Biden.
L’assassinio nel 2018 del giornalista, che scriveva per il Washington Post e MEE, ha riacutizzato le critiche dei democratici anche contro altre iniziative saudite, come la guerra nello Yemen, il blocco imposto al Qatar, oltre al rapimento del Primo Ministro libanese Saad Hariri un anno prima.
La crisi del Golfo col Qatar si è risolta qualche settimana prima dell’entrata in carica di Biden, ed oramai l’Arabia Saudita cerca di trattare un cessate il fuoco in Yemen. Il dialogo con l’Iran sembra un altro passo importante nella direzione opposta alle politiche precedenti.
« Dopo la sconfitta di Trump, penso che MBS e i Sauditi abbiano tentato di persuadere l’amministrazione Biden che anch’essi hanno tratto delle lezioni dagli ultimi quattro anni », dice Ulrichsen.
Mutui interessi
L’Arabia Saudita e l’Iran non sono mai stati stretti alleati. Le relazioni tra i due paesi sono tese dalla rivoluzione islamica che, nel 1979, ha visto nascere l’attuale sistema di potere iraniano. Successivamente, la rivalità regionale, le divergenze ideologiche e i conflitti per procura hanno caratterizzato le relazioni tra i due paesi.
Inizialmente, l’Arabia saudita ha appoggiato l’invasione dell’Iran da parte di Saddam Hussein nel 1980, una guerra durata quasi otto anni e che è costata la vita a centinaia di migliaia di persone. Le relazioni sono migliorate negli anni 1990, ma l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 ha stimolato il settarismo nella regione e rinnovato la rivalità.
Negli ultimi tempi, l’Iran e l’Arabia Saudita si sono trovate su sponde opposte nell’eterna impasse politica del Libano, della guerra in Siria e del conflitto in Yemen.
Nel 2016, le relazioni bilaterali furono completamente rotte dopo che manifestanti iraniani presero d’assalto l’ambasciata di Riyad a Teheran, come risposta all’esecuzione dell’eminente religioso sciita saudita Nimr al-Nimr.
Jean-François Seznec ritiene che un miglioramento delle relazioni tra Riyad e Teheran potrebbe ridurre i motivi di crisi in tutta la regione.
« Supponendo che vi sia un qualche riavvicinamento tra l’Iran e l’Arabia saudita, cambierebbero molte cose nello scacchiere libanese, in quello siriano e certamente anche con gli Houthi in Yemen », assicura a MEE.
« Cambierebbe moltissimo la situazione regionale. Voglio dire, a Dio piacendo, potremmo avere la pace ».
Peraltro, aggiunge Jean-François Seznec, i due paesi potrebbero trarne benefici diretti, soprattutto lavorando insieme per controllare ed accrescere il prezzo del petrolio.
Secondo Sina Toossi, del NIAC, nonostante la rivalità tra Teheran e Riyad, i due paesi hanno interessi reciproci, compresi i campi dell’energia e della sicurezza.
« Penso che potremmo avere un ordine regionale potenzialmente più ottimista e più stabile », prevede. « E gli Stati Uniti possono giocare un grande ruolo per incoraggiare il dialogo e la cooperazione regionale, piuttosto che tentare di ostacolarli, come ha fatto l’amministrazione Trump. »
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