Suicidio contro genocidio: Rest in Power, Aaron Bushnell
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La guerra in Medio Oriente, 27 febbraio 2024 - L'atto di protesta estremo di Bushnell è un'ulteriore occasione per vergognosi commenti da parte dei media mainstream occidentali (nella foto, Aaron Bushnell)
Al Jazeera, 26 febbraio 2024 (trad.ossin)
Suicidio contro genocidio: Rest in Power, Aaron Bushnell
Belén Fernández
L'atto di protesta estremo di Bushnell e i vergognosi commenti dei media mainstream occidentali
Domenica 25 febbraio, Aaron Bushnell, 25enne militare in servizio attivo dell'aeronautica degli Stati Uniti, si è dato fuoco davanti all'ambasciata israeliana nella capitale statunitense di Washington, DC, nella ribellione di un solo aviatore contro il massacro sostenuto dagli Stati Uniti che è in corso da parte dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza.
Negli ultimi 143 giorni, Israele ha ucciso quasi 30.000 Palestinesi nell’enclave costiera assediata. Nelle riprese video registrate prima e durante la sua auto-immolazione, Bushnell afferma che “non sarà più complice del genocidio” e che sta “per impegnarsi in un atto di protesta estremo – ma rispetto a ciò che le persone hanno sperimentato nella Palestina ad opera dei colonizzatori non è affatto estrema”.
A dire il vero, i Palestinesi sono abituati da tempo, beh, a morire bruciati per mano delle armi israeliane, da quando lo Stato di Israele ha iniziato a inventare se stesso in terra palestinese nel 1948. L’uso da parte dell’esercito israeliano del fosforo bianco per incenerire la pelle negli anni più recenti ha senza dubbio contribuito all’intera “esperienza” palestinese.
Dopo aver osservato in modo pertinente che la complicità degli Stati Uniti nel genocidio dei Palestinesi è “ciò che la nostra classe dirigente ha deciso che sia normale”, Bushnell si piazza direttamente davanti al cancello dell’ambasciata israeliana – in piena tenuta militare statunitense – e procede a bagnarsi con un liquido infiammabile. Morendo avvolto dalle fiamme, grida ripetutamente: “Palestina libera”, mentre il personale di sicurezza gli ordina di buttarsi “a terra”. Un individuo particolarmente premuroso punta una pistola verso le fiamme.
All'indomani dell'auto-immolazione di Bushnell, il New York Times (di proprietà ebraica, ndt) ha annunciato: "Un uomo muore dopo essersi dato fuoco davanti all'ambasciata israeliana a Washington, dice la polizia" – una candidatura ineguagliabile, forse, per il titolo più diluito e decontestualizzato di sempre. Ci si chiede cosa avrebbero detto i lettori nel 1965 se il principale quotidiano statunitense avesse pubblicato titoli come: "Una donna ottantenne di Detroit muore dopo essersi data fuoco, dice la polizia - un evento che non ha nulla a che fare con l'opposizione di detta donna alla guerra del Vietnam o qualcosa del genere".
Parlando di autoimmolazioni legate alla guerra del Vietnam, ricordiamo l’articolo del famoso storico e giornalista statunitense David Halberstam sulla morte del monaco vietnamita Thich Quang Duc nel 1963 a Saigon, nel Vietnam del Sud: “Le fiamme provenivano da un essere umano; il suo corpo stava lentamente avvizzendo e accartocciandosi, la sua testa annerendosi e carbonizzandosi. Nell'aria c'era odore di carne bruciata; gli esseri umani bruciano in modo sorprendentemente veloce... Ero troppo scioccato per piangere, troppo confuso per prendere appunti o fare domande, troppo sconcertato persino per pensare”.
(Ricordiamo che, sempre il New York Times, il 20 gennaio 1969, annunciava l’auto-immolazione di Jan Palach contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia col titolo enfatico: Jan Palach's Martyrdom – Il martirio di Jan Palach, ndt).
E mentre una forma di suicidio così intensa e appassionata è senza dubbio sconcertante per molti, il genocidio dovrebbe essere ancora più spaventoso; come ha affermato lo stesso Bushnell, l’autoimmolazione non è nulla “in confronto a ciò che le persone hanno vissuto in Palestina”, dove le persone sanno fin troppo bene quanto velocemente gli esseri umani bruciano.
Nel caso di Bushnell, l'establishment politico-mediatico statunitense sembra fare del suo meglio non solo per decontestualizzarlo ma anche per screditarlo dopo morto. L' articolo di Time Magazine, ad esempio, ammonisce che le “regole del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti stabiliscono che i militari in servizio attivo non dovrebbero impegnarsi in attività politiche di parte” – come se favorire attivamente un genocidio non fosse politicamente “di parte”.
Inoltre, precisa la rivista, i regolamenti militari statunitensi “proibiscono di indossare l'uniforme durante 'discorsi pubblici non ufficiali, interviste'” e altre attività.
Forse le ceneri di Bushnell saranno processate davanti a un tribunale militare.
(°) Rest in Power. Un'espressione simile a “riposa in pace”. Negli Stati Uniti, viene utilizzata per commemorare coloro che in vita hanno lottato e sofferto per cause come il razzismo, l'omofobia o la violenza di genere.
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