Analisi, dicembre 2016 - L’unico premio Nobel che dovrebbe ufficialmente essere conferito a Obama dopo i due mandati e quello, ben meritato, all’ipocrisia professionale (nella foto, Barack Obama)
Premio Nobel per l’ipocrisia
Ahmed Bensaada
Quando il premio Nobel per la pace venne assegnato nel 1906 a Theodore Roosevelt (presidente degli Stati Uniti dal 1901 al 1909), il New York Times commentò con queste parole:
«Un largo sorriso ha illuminato il volto di tutti quando il premio è stato assegnato... al cittadino statunitense più guerrafondaio» [1].
Circa un secolo dopo, un giornalista dello stesso New York Times si domandava:
«Allora, che ne pensate del presidente Obama che ha ottenuto il premio Nobel per la pace? Io sono perplesso […]. Che cosa ha fatto? […] Mi sarebbe sembrato logico attendere e conferirgli il premio Nobel nel suo ottavo anno di mandato, dopo che avesse davvero fatto la pace in qualche posto» [2].
Parlava ovviamente del premio Nobel per la Pace, assegnato al presidente Barack Obama nel 2009 «per l’impegno straordinario profuso nel rafforzamento della diplomazia e della cooperazione internazionale tra i popoli».
Tutto questo a soli nove mesi dalla sua elezione? Come è stato possibile?
Dall’alto degli otto anni passati – e ad anni luce dall’altisonante «Yes, we can!» -, è adesso possibile valutare davvero quanta pace ha contribuito a creare e disseminare nel mondo arabo.
Un mondo arabo rovinato da una stagione funesta che egli ha contribuito a creare e che è stata fallacemente chiamata «primavera» [3].
Un mondo arabo sanguinante, sventrato, sbudellato, dove il sangue dei cittadini ha spruzzato le macerie e bagna i campi.
Un mondo arabo tormentato da creature barbute che tagliano teste, ghiotte di carne umana e distruttori di speranza.
Un mondo arabo diventato il teatro della più grande transumanza umana dopo la seconda guerra mondiale [4].
Un mondo arabo dove le tensioni religiose sono state alimentate, attizzate ed esacerbate: mussulmani contro cristiani, sunniti contro sciiti e sunniti contro sunniti.
Un mondo arabo i cui cittadini che vivono in occidente sopportano i tormenti di una islamofobia nauseabonda, la peggiore della storia contemporanea.
A proposito, non fu proprio Obama a fare queste dichiarazioni pompose nel suo «famoso» discorso del Cairo?
«Vengo a cercare un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i mussulmani di tutto il mondo».
E ancora:
«I popoli del mondo possono vivere insieme in pace […] questo deve essere il nostro lavoro, qui sulla Terra» [5].
Ma chi ha titolo per ottenere il premio Nobel per la Pace? Il testamento di Alfred Nobel è chiaro:
«Una persona che abbia compiuto il più grande e miglior lavoro per la fraternità tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione delle forze armate e per l’organizzazione o la promozione di congressi di pace» [6].
Come ha potuto il comitato Nobel ritenere che Obama abbia lavorato per la promozione della pace, quando era stato appena eletto? Era un premio per azioni future intraviste in una palla di vero norvegese? Se così è, questo comitato deve imperativamente rileggersi il testamento di Alfred Nobel o, almeno, cambiare palla di vetro.
Infatti scrutando la palla di vetro, non hanno visto che, ogni martedì, Obama decide personalmente quali persone debbano essere eliminate coi droni [7]. E che la maggior parte delle vittime di questi «martedì della morte» sono bersagli civili [8].
Certamente Obama ha migliorato l’atmosfera con l’Iran e riavviato le relazioni diplomatiche con Cuba.
Per contro ha molto contribuito a ricreare un clima da Guerra Fredda con la Russia, con tutto quello che ciò può comportare come pericolo su scala planetaria. Infatti il ruolo attivo svolto dalla sua amministrazione nell’aiuto fornito ai neonazisti ucraini durante i drammatici fatti dell’Euromaidan ha consentito la riuscita di un vero e proprio colpo di Stato in Ucraina [9].
Questo episodio di flagrante ingerenza statunitense non è, del resto, che il sanguinoso remake di una certa «rivoluzione arancione» dell’epoca di un famoso «pacifista» statunitense chiamato G.W. Bush. Un presidente sfortunato che non è stato «sfortunatamente» premiato dal comitato Nobel, benché abbia assiduamente lavorato alla distruzione di qualche paese mussulmano, senza dimenticare i suoi rimarchevoli sforzi per rendere popolare il lancio di scarpe.
A ognuno la sua «rivoluzione»
E’ evidente che la destabilizzazione dell’Ucraina, paese limitrofo della Russia – e con la quale condivide legami storici, culturali ed economici -, ha avuto come effetto di perturbare tutta la geopolitica della regione e di creare delle tensioni tra l’Europa e Mosca.
In proposito, il giornalista australiano John Pilger ricorda che:
«L’amministrazione Obama ha fabbricato più armi nucleari, più testate nucleari, più sistemi di vettori nucleari, più centrali nucleari. A considerare solo le testate nucleari, la spesa relativa è aumentata sotto Obama più che cotto qualsiasi altro presidente USA» [10].
E ha poi aggiunto:
«Nel corso degli ultimi diciotto mesi, alla frontiera occidentale della Russia si è realizzata la più ampia concentrazione di forze militari dopo la seconda Guerra Mondiale, ad opera degli USA. Bisogna risalire all’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler per trovare una minaccia similare verso la Russia da parte di truppe straniere» [11].
Quanto al conflitto palestinese, le promesse e le aspettative erano immense. Il primo presidente nero degli Stati Uniti, coronato dell’aureola del santo e avvolto da un enorme carisma mediatico, non poteva restare indifferente alla sorte dei Palestinesi, spogliati della terra e i cui diritti più elementari sono calpestati. Si sentiva in dovere di agire, soprattutto dopo il suo «celebre» discrso del Cairo:
«Per decine di anni vi è stato una impasse [...]. [...] l’unica soluzione che risponde alle aspirazioni delle due parti passa per i due Stati [...]. E questa è la ragione per la quale io intendo lavorare personalmente a questa soluzione, con tutta la pazienza che l’obiettivo richiede. Gli impegni che le parti hanno assunto nell’ambito della road map sono chiari. Perché si giunga alla pace, è tempo per esse – e per noi tutti – di assumere la proprie responsabilità» [12].
Obama ha preso talmente sul serio le proprie responsabilità, da essere probabilmente il presidente statunitense che ha fatto meno per risolvere il problema palestinese. Nel corso dei due suoi successivi mandati, la colonizzazione delle terre palestinesi ha continuato ancora di più e non meno di due massacri sono stati perpetrati da Israele nella striscia di Gaza. Migliaia di morti e un disastro umanitario in diretta in tutti i media « mainstream» senza che l’inquilino della Casa Bianca battesse ciglio.
Sentiamo che cosa dice Alain Franchon su questo:
«In questo conflitto, gli Stati Uniti hanno detto per ventisei anni di voler svolgere il ruolo di «onesto intermediario». Questa ambizione è finita. La presidenza di Barack Obama ha consolidato un cambiamento avviato negli anni 1990: Washington abbandona, de facto». [...] La posizione di partenza degli USA è cambiata. Questi sono contrari a priori a qualsiasi pressione su Israele» [13].
Peggio ancora. Proprio alla scadenza del suo secondo e ultimo mandato, ha fatto a Israele uno splendido regalo, come felicitazione per il loro eccellente lavoro di pulizia etnica e colonizzazione efficace e continua della Palestina: un aiuto militare senza precedenti di 38 miliardi di dollari in 10 anni [14] !
Più morti, più colonizzazione, più odio...
Ma ci si poteva attendere di meglio da parte di questo presidente? Certo che no. In un articolo pubblicato il 20 gennaio 2009, giorno della sua prima investitura, scrivevo a proposito del suo programma:
«Nel capitolo della politica estera del presidente Obama dedicato allo Stato ebraico, il titolo è eloquente, perfino ammiccante: "Barack Obama e Joe Biden : un solido dossier di supporto alla sicurezza, alla pace e alla prosperità di Israele". Tra i propositi della nuova presidenza, si legge: assicurare un solido partenariato USA-Israele, sostenere il diritto all’autodifesa di Israele e una assistenza straniera ad Israele. Nei dettagli di questo ultimo punto, si legge che il presidente Obama e il suo vice si impegnano a continuare a fornire l’aiuto annuale in ambito militare e l’assistenza economica a Israele. Raccomandano fortemente l’aumento del budget e invitano a proseguire la cooperazione con Israele nello sviluppo dei missili di difesa» [15]
Promesse mantenute, vero?
Nel dossier libico, quando una soluzione pacifica era a portata di mano, Obama ha optato, di concerto con la segretaria di Stato Hillary Clinton, per l’eliminazione di Gheddafi e la devastazione totale della Libia [16].
«We came, we saw, he died!»
E’ dicendo queste parole che (Clinton) è scoppiata a ridere all’annuncio del sordido linciaggio del leader libico, con risolini di felicità e gli occhi scintillanti di gioia [17].
La reazione di Hillary Clinton alla notizia del linciaggio di Gheddafi
Affidando la distruzione della Libia agli alleati europei e arabi del Golfo, l’amministrazione USA non ha solo provocato la morte di migliaia di Libici, ma ha anche trasformato questo paese prima prospero in una contrada dove regna il caos e dove imperversano orde di jihadisti islamici. E come nel caso dell’Ucraina, l’instabilità prodotta in Libia ha contagiato tutta la regione e colpendo durevolmente molti paesi africani vicini [18].
Le macerie di Sirte (Libia)
La «primaverizzazione» della Siria rappresenta senza alcun dubbio il culmine della politica «pacifista» del presidente Obama. Iniziata con manifestazioni non violente apparentemente spontanee, la rivolta di piazza siriana è stata meticolosamente inventata da organizzazioni statunitensi di «esportazione» della democrazia [19]. Si è poi rapidamente trasformata in guerra civile, la più spaventosa di questo inizio secolo.
E il bilancio di questo paese rovinato è eloquente: quasi mezzo milione di morti [18], più del 50% della popolazione sfollata, di cui quasi 5 milioni all’estero [21].
Secondo dati recenti elaborati dalla Commissione europea:
«I rifugiati siriani costituiscono oramai la più numerosa popolazione di rifugiati al mondo proveniente dallo stesso paese nell’arco della stessa generazione» [22].
Secondo il Washington Post, la CIA apende non meno di un miliardo di dollari all’anno per armare e addestrare i ribelli siriani [21]. Numerose testimonianze e inchieste dimostrano che l’amministrazione USA aiuta i «tagliatori di teste» e i «divoratori di cuori» jihadisti, pur di rovesciare il governo siriano [24, 25].
Per renderli più «simpatici» agli occhi dell’opinione pubblica, è stato dato incarico ad alcuni specialisti di pubbliche relazioni di fornire loro un look «rispettabile». Così, per esempio, i media di tutto il mondo ci hanno inondato delle immagini di eroici salvatori, che rischiano la loro vita per salvare quella dei loro concittadini bombardati dall’aviazione siriana. Questi «eroi», riconoscibili dai caschi bianchi che indossano - i «White Helmets» - sono diventati le vedette di un film documentario prodotto in loro onore da Netflix [26]. Sono stati perfino proposti per il premio Nobel per la Pace da star statunitensi come George Clooney, Ben Affleck, Daniel Craig o Justin Timberlake [27]. Niente di meno.
The White Helmets: i retroscena della storia
In due articoli rimarchevoli, il giornalista Max Blumenthal mette a nudo tutta la macchina propagandistica che si nasconde dietro i «White Helmets» [28, 29]. Questi «temerari» salvatori sono in realtà solo degli jihadisti mascherati [30], finanziati dalla «United States Agency for International Development» (USAID), la più importante organizzazione statunitense di «esportazione» della democrazia [31]. Un documento del Dipartimento di Stato datato 27 aprile 2016 rivela che questo organizzazione ha finanziato i «White Helmets» con 23 milioni di dollari [32]. Una piccola parte del gruzzolo di circa 340 milioni di dollari stanziato da USAID per «sostenere le attività che perseguono una transizione pacifica verso una Siria democratica e stabile» [33].
Uno dei maggiori successi degli specialisti di pubbliche relazioni che lavorano coi ribelli siriani è la vicenda del «ragazzino sul seggiolino arancione». Si tratta della foto commovente di un ragazzino siriano di cinque anni che si chiama «Omran Daqneesh». La foto, diventata virale in Internet, è stata anche ampiamente diffusa dai media «mainstream». Mostra un bambino seduto sul seggiolino arancione di un’ambulanza, ricoperto di polvere, il viso insanguinato e lo sguardo sconvolto. Il bambino sarebbe stato estratto dalle macerie di un quartiere della città di Aleppo dai «White Helmets».
La fotografia è talmente struggente da spingere un altro bambino statunitense di sei anni, Alex, che ha scritto al presidente Obama in persona. Gli ha chiesto di fare quanto necessario per portare il piccolo Omran negli Stati Uniti per poterlo accogliere a casa sua e condividere con lui i suoi giocattoli e quelli della sorella.
Ah ! I buoni sentimenti dei ragazzini ! Belli quanto la foto del piccolo Omran ! Tanto belli che la lettera è stata pubblicata per esteso sul sito della Casa Bianca, insieme ad un video del piccolo Alex [34]. La scrittura esitante del giovane statunitense, puerile e diligente, ha mandato in visibilio la blogsfera, come d’altronde anche la foto del «ragazzino sul seggiolino arancione».
Alex scrive a Obama (21 settembre 2016)
Ma se si va a vedere chi è la persona che ha fotografato il giovane siriano ferito, la storia diventa appetitosa. Il fotografo è un certo Mahmoud Raslan che lavora per l’AMC (Aleppo Media Center). Secondo taluni osservatori della scena siriana, l’AMC è finanziato dal governo degli Stati Uniti, ma anche da quelli della Francia e della Gran Bretagna [35].
Ma la cosa più drammatica è che Mahmoud Raslan non nasconde le proprie simpatie per taluni barbari jihadisti, in particolare quelli del gruppo di Al Zinki [36].
Questo gruppo di ribelli è stato accusato da Amnesty International di rapimenti, di torture e di esecuzioni sommarie [37].
Gli stessi ribelli che avevano sgozzato, solo poche settimane prima, un bambino di dodici anni e che hanno spinto l’orrore fino a filmarsi mentre commettevano l’orribile misfatto [38], crimine orribile cui non è stato riservato lo stesso battage mediatico di quello del piccolo Omran salvato dai «White Helmets».
Omran Daqneesh, i retroscena della storia
Gli stessi ribelli che gli Stati Uniti finanziano, armano e dei quali pagano i salari per il tramite del MOM (Centro di operazioni comune) [39, 40].
Qualcuno ha scritto delle lettere al presidente Obama per denunciare il comportamento bestiale di questi ribelli? Missive per piangere la sorte del ragazzino decapitato? La risposta è ovviamente negativa.
La Casa Bianca ha ampiamente mediatizzato la lettera del piccolo Alex. Obama l’ha letta nel suo discorso ai governanti di tutto il mondo durante il summit sui rifugiati che si è tenuto all’ONU, il 20 settembre scorso. Poi ha postato sulla sua pagina Faecebook il seguente messaggio:
«Queste sono le parole di un ragazzo di 6 anni: un bambino che non ha imparato ad essere cinico, sospettoso o ad avere paura degli altri a causa del luogo da cui provengono o del loro aspetto o del modo in cui pregano. […] Pensate a cosa il mondo assomiglierebbe se noi fossimo tutti come Alex» [41].
Obama parla di Alex all'ONU (20 settembre 2016)
Si è trattato di «un graziosissimo colpo di com’» secondo alcuni [42]. E’ il meno che si possa dire perché, se è vero che la verità sgorga dalla bocca dei fanciulli, raramente vien fuori da quella degli adulti.
Soprattutto da quella di un adulto che è alla testa del paese più potente del mondo e che ha il potere di porre termine alla sofferenza degli «Omran» o al dramma degli «Aylan» [43].
Ma, invece di far ciò, continua a finanziare, sostenere e provocare le sofferenze e i drammi.
Bisognerebbe dire al piccolo Alex che, nel corso dei due mandati del presidente Obama, centinaia di «Aylan» e migliaia di «Omran» palestinesi sono stati vittime delle bombe israeliane, senza che ciò abbia sollevato la minima indignazione da parte dell’amministrazione statunitense.
Che centinaia di «Aylan» e di «Omran» yemeniti soffrono il martirio tutti i giorni sotto le bombe fornite dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita, suo fedele alleato, paese bellicista e medioevale [44]. Con migliaia di morti, un terzo dei quali bambini, «l'orrore in Yemen rivela l’ipocrisia omicida degli esportatori di armi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti» [45]. Nonostante tutto questo, l’amministrazione Obama non ha mai cessato di aiutare l’industria della morte saudita:
«L’amministrazione Obama ha concluso affari per più di 110 miliardi di dollari con la monarchia saudita per la vendita di armi. L’aviazione statunitense continua a rifornire gli aerei della coalizione e fornire loro informazioni e i responsabili statunitensi e britannici hanno fisicamente incontrato i Sauditi che bombardano [lo Yemen]» [46].
In un editoriale del New York Times dal titolo «Gli Stati Uniti sono complici del carnaio in Yemen», si legge:
"Gli esperti (statunitensi) dicono che la coalizione (guidata dall'Arabia Saudita) resterebbe inchiodata al suolo senza il sostegno di Washington" (47)
Scene dello Yemen attuale
Bisognerebbe presentare ad Alex anche l’illustre Madeleine Albright, l’ex segretaria di Stato USA che dichiarò che la morte di 500.000 bambini iracheni a causa dell’embargo statunitense era un prezzo che «valeva la pena di pagare» [48].
Madaleine Albright e i 500.000 bambini iracheni (12 maggio 1996)
E perché non dirgli en passant anche che il presidente cui ha scritto la sua bella lettera ha ricompensato la signora Albright decorandola, nel 2002, con la «Medaglia presidenziale della Libertà» [49], il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti?
Non si può non essere d’accordo con il Washington Post a proposito di quanto ha scritto:
«Da presidente, i momenti migliori di Obama sono spesso state delle allocuzioni» [50]
Dal discorso del Cairo (giugno 2009) fino a quello dell’ONU (settembre 2016), la presidenza di Obama è stata solo un volgare spostamento d’aria che nasconde i droni assassini, le guerre fredde, primavere disoneste e barbuti sanguinari.
E’ probabilmente per queste ragioni che l’ex direttore dell’Istituto Nobel norvegese ha dichiarato che:
«Barack Obama si è dimostrato indegno del suo premio, dopo averlo ricevuto» [51].
E’ evidente che il cocente fallimento della sua protetta, Hillary Clinton, alle recenti elezioni presidenziali statunitensi è un flagrante disconoscimento della sua politica bellicista e distruttiva che ha accuratamente coltivato per otto anni.
Ma, mescolando l’innocenza dei piccoli Omran e Alex con la sua calamitosa gestione degli affari mondiali, l’unico premio Nobel che dovrebbe ufficialmente essere conferito a Obama dopo i due mandati e quello, ben meritato, all’ipocrisia professionale.
Riferimenti :
1. Øyvind Tønnesson, « Controversies and Criticisms », Nobelprize.org,
3. Ahmed Bensaada, « Arabesque$: Enquête sur le rôle des États-Unis dans les révoltes arabes », Éditions Investig’Action, Bruxelles (2015) ; Éditions ANEP, Alger (2016).
4. AFP, « Le monde vit la "pire crise de réfugiés" depuis la Seconde Guerre mondiale », Le Point, 14 agosto 2015,
29. Max Blumenthal, « How the White Helmets Became International Heroes While Pushing U.S. Military Intervention and Regime Change in Syria », AlterNet, 2 ottobre 2016,
37. Amnesty International, « The briefing Torture Was My Punishment: Abductions, Torture and Summary Killings Under Armed Group Rule in Aleppo and Idleb, Syria», Index number: MDE 24/4227/2016, 5 juillet 2016,
40. MOM: Acronimo turco di «Musterek Operasyon Merkerzi» («Centro di operazioni comune»; in inglese: «Northern Operation Command»). Organo di coordinamento al cui comando sono gli Stati Uniti e che raggruppa i suoi alleati nel conflitto siriano, in particolare la Francia, il Regno Unito, l’Arabia saudita, il Qatar, la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti.
41. Le Figaro, « Un enfant écrit à Obama pour adopter Omran », 23 settembre 2016,
45. Amnesty International, « L'horreur au Yémen révèle l'hypocrisie meurtrière des exportateurs d'armes tels que la Grande-Bretagne et les États-Unis », 26 agosto 2016,
48. YouTube, « Madeleine Albright says 500,000 dead Iraqi Children was "worth it" wins Medal of Freedom”, 12 maggio 1996, video postato il 2 maggio 2012,