La Liberté, 13 novembre 2008

Non è durata a lungo la luna di miele tra il Marocco e l’Algeria. Il miglioramento delle relazioni tra i due paesi, avviato in occasione del summit arabo di Algeri del marzo 2005, che aveva visto la visita del sovrano dello “sceriffato” nella capitale algerina, non si è stabilizzato. Si ritorna al punto di partenza. Di fronte al rifiuto delle Autorità algerine di rispondere positivamente alle sue numerose sollecitazioni per la riapertura della frontiera, all’inizio di questa settimana Mohammed VI ha finito col perdere la pazienza, accusandole, per la prima volta pubblicamente, di ostacolare il buon esito del processo di negoziazione sul Sahara Occidentale e di bloccare la realizzazione dell’Unione del Maghreb arabo.
Bisogna dire che le conseguenze della chiusura della frontiera sull’economia sono talmente importanti per Rabat, che quest’ultima ha fretta di vederla di nuovo aperta. In effetti, oltre alle ripercussioni sul Marocco orientale, il gran perdente di questa storia è il turismo marocchino, perché si pensa che, se questo ostacolo della chiusura della frontiera terrestre fosse eliminato, si potrebbe recuperare una buona parte dei turisti algerini che ogni estate prendono la strada della Tunisia. Conforta i responsabili marocchini il fatto che l’anno scorso sono andati in Marocco 300.000 Algerini, utilizzando i soli mezzi di trasporto che lo consentono, l’aereo all’occorrenza.
Nonostante questa apertura economica, bisogna dire anche che questa levata di scudi interviene in una congiuntura internazionale non favorevole a Rabat. Siamo alla vigilia della designazione del nuovo inviato personale del Segretario Generale dell’ONU per il Sahara Occidentale, per rimpiazzare l’olandese Peter Van Walsun, che si era puramente e semplicemente allineato alle posizioni marocchine provocando l’ira del Fronte Polisario.
Ed anche il prossimo insediamento del democratico Barak Obama alla Casa Bianca alimenta le apprensioni di Rabat circa un eventuale cambiamento di direzione della politica nord americana nei confronti del Sahara Occidentale. Si aggiungano a ciò le numerose disavventure della diplomazia marocchina, che non riesce a far accettare le sue tesi dalla comunità internazionale, e si capisce che v’è scompiglio e tensione nel palazzo reale.
Tutte le idee brillanti che si sono messe in campo, terrorismo e balcanizzazione del Maghreb tra le altre, non sono riuscite a convincere della fondatezza della posizione marocchina, e allora si trova un capro espiatorio che possa giustificare tutta questa situazione: l’Algeria.
Detto questo, la tesi algerina sulla questione saharaoui, ovvero il suo costante sostegno alla loro lotta, non è altro che la conseguenza del saldo sostegno dell’Algeria ai movimenti di liberazione dagli anni ’60. Quanto alla riapertura delle frontiere, le autorità algerine hanno da molto tempo chiarito che la circolazione dei beni e delle persone alle frontiere “deve essere affrontato nell’ambito di un approccio globale” all’UMA (Union du Maghreb arabe, ndt). In tale ottica chiedono di trattare in modo globale l’intero contenzioso tra le due capitali. Invece di fare in modo di raggiungere un compromesso in grado di sbloccare la situazione sul piano regionale e bilaterale, i responsabili marocchini favoriscono il deterioramento attraverso provocazioni come la recente sortita mediatica di Mohammed VI, o attraverso il tentativo di forzare la mano al Capo del Governo, Abdelaziz Belkhadem, in occasione della commemorazione del cinquantesimo anniversario della riunione di Tangeri del 1958. Sordo alle richieste algerine, il sovrano marocchino continua a cambiare parere su Algeri, in funzione dello sviluppo della questione saharaoui sulla scena internazionale. In attesa, è l’Unione del Maghreb arabo che subisce le conseguenze di questi salti di umore. Il Ministro dell’Interno, Yazid Zerhouni, aveva risposto il 10 novembre scorso alle accuse del governo marocchino affermando che “nessuno può accusare l’Algeria di volere balcanizzare il Maghreb

 

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