Silenzio, si decapita
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Jeune Afrique – 26 giugno- 2 luglio 2011
Silenzio, si decapita
François Soudan
Si chiamava Ruyati Binti Satubi, aveva 54 anni, era indonesiana e adesso non ha più la testa. Sabato 18 giugno, da qualche parte nell’ovest dell’Arabia Saudita, questa domestica a servizio in una ricca famiglia è stata decapitata in pubblico per omicidio. Come d’abitudine, il boia le ha prima inciso il collo per tenderlo, in modo che la lama potesse poi tranciarlo di netto – è da questa tecnica che si riconoscono i boia esperti. Rimpinzata di sedativi, lacondannata aveva per l’ultima volta supplicato in ginocchio la famiglia della vittima, invano. Quando la sciabola ha colpito, la folla ha gridato: “Allah Akbar!”. “Dio è grande!”
Ruyati è la ventisettesima persona decapitata in Arabia Saudita dall’inizio del 2011. Secondo il consolato indonesiano a Riyad, che non era stato nemmeno avvisato dell’esecuzione, sarebbe stata maltrattata dalla sua padrona, lasciata senza salario, umiliata e insultata. Il giorno in cui il datore di lavoro, che le aveva confiscato il passaporto – pratica sistematica nel paese saudita -, glielo ha rifiutato ancora una volta, impedendole di ritornare dalla sua famiglia a Giacarta, Ruyati è diventata pazza. Ha pugnalato la sua carceriera. Subito arrestata, è stata condannata a morte dopo un processo sommario, senza avvocato, celebrato in una lingua che non conosceva. I giudici avevano la scelta del supplizio. Avrebbero potuto decidere per la lapidazione – ma è un trattamento riservato di solito alle donne adultere – o per l’amputazione di una mano, di un braccio – ma la famiglia della vittima ha ritenuto che non fosse il caso di essere indulgenti. Qualche volta, raramente, è possibile sfuggire all’esecuzione pagando il prezzo del delitto – ma Ruyati non aveva soldi.
Intervistato su questa barbarie tre giorni dopo, nel corso della quotidiana conferenza stampa, il portavoce del Quai d’Orsay si è limitato a ricordare che “la Francia è contraria alla pena di morte dovunque nel mondo”. Non si offende il primo produttore di petrolio nel mondo, soprattutto nel momento in cui Alstom è in pole position per vendergli il suo nuovo TGV. Quanto agli Stati Uniti, paese dove si uccidono i condannati con una iniezione mortale di anestetico per animali, non avevano niente da dire. Dopo tutto, in questa Arabia Saudita dove l’apostasia, la blasfemia, la stregoneria, l’omosessualità, il traffico di droga e una mezza dozzina di altri delitti sono passibili di pena di morte – ivi compreso nei confronti di minori – la Giustizia ha dato prova nel caso di Ruyati binti Satubi di una rara magnanimità. Contrariamente ad una pratica corrente, la sua testa non è stata successivamente minuziosamente ricucita al corpo ed il tutto appeso ad un palo, preferibilmente nei pressi di una moschea, per l’edificazione del re Abdallah Ibn Abdelaziz Al Saoud, guardiano dei luoghi santi. Cosa attende l’Occidente per applaudire questo passo avanti nel rispetto dei diritti umani?