Copernico tra i Wahabiti
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Demain online 8 gennaio 2013 (trad. ossin)
Copernico tra i Wahabiti
Karim R’bati
Turki Al-Hamad è un romanziere saudita, conosciuto come una delle voci più progressiste del regno wahabita. Dal 24 dicembre scorso marcisce nelle galere del suo paese per avere detto cose considerate blasfeme dalle autorità religiose. L’arresto è stato ordinato dal ministro saudita dell’interno, il principe Muhammad Ibn Nayef Ibn Abdelaziz Al-Saud, che ha dovuto cedere alle pressioni della potente congrega del clero hanbalita. Due giorni prima lo scrittore saudita aveva scritto una serie di tweet non molto teneri verso i suoi correligionari: se l’era presa, prima di tutto, coi fratelli mussulmani egiziani considerando che “non esiste libertà per i nemici della libertà”, e poi aveva denunciato gli arcaismi del suo regno medioevale: “Il mondo – ha scritto – si preoccupa delle potenzialità nucleari iraniane, e noi ci preoccupiamo di stabilire se le donne abbiano o meno il diritto di guidare un’auto”. Cosa che ricorda, sia detto en passant, le interminabili controversie bizantine sul sesso degli angeli, che occupavano il clero di Costantinopoli alla vigilia dell’invasione degli eserciti ottomani del sultano Mehmed II (il 29 maggio 1453).
Questa data simbolica, che segnò la fine del Medio Evo, ha preceduto, come è noto, l’era dei progressi scientifici, delle scoperte geografiche e delle altre conquiste intellettuali dell’epoca del Rinascimento. Tutte conquiste considerevoli che proiettarono l’uomo europeo nei tempi moderni, segnati soprattutto dal risveglio del substrato pagano dell’identità europea, attraverso la riscoperta dell’eredità greca e l’avvento dei valori umanisti, celebranti il culto dell’uomo-individuo o “l’uomo (come) misura di ogni cosa”, diceva già Protagora. Queste conquiste furono soprattutto il frutto di una fantastica accelerazione della storia, inaugurata dalla rivoluzione gutemberghiana (invenzione della stampa nel 1455), che ha favorito la libera circolazione delle idee ed ha costituito uno stimolo senza precedenti per il dialogo intellettuale tra gli alti luoghi del sapere (le università) di tutta la “Respublica literaria”. Da allora, lo scarto tra l’Occidente e il mondo islamico – che era già entrato nell’Età delle tenebre – non ha cessato di approfondirsi. Nemmeno quella che chiamiamo comunemente la “Nahda”, per designare il risveglio intellettuale vissuto in Egitto e nel resto del Medio Oriente a contatto con l’egemonia anglo-francese del XIX° secolo, è riuscita a liberare il mondo arabo dalle pesanti catene che lo mantengono prigioniero della sua decadenza: il fanatismo religioso, il dispotismo e il disprezzo verso l’individuo.
E’ di questa triste realtà che ha parlato il romanziere saudita: “Sarà difficile, ha detto, colmare il fossato che ci separa dal mondo contemporaneo. Gli islamisti ci prendono in giro parlando della “sharia” (considerata come la legge di Dio), mentre essa non è altro che il prodotto dei loro cervelli”. Tutta la maledizione del mondo arabo si può riassumere in questa riflessione, soprattutto se la si rilegga alla luce dell’incerto divenire della primavera araba. Come si fa, infatti, a far comprendere l’importanza dei valori secolari, perché sia possibile raccogliere le stesse sfide che seppe raccogliere l’Europa del Rinascimento, ad avversari che tentano di imporvi i valori desueti dell’Età delle Tenebre? E che ricorrono al loro abituale bagaglio autoritario, per giustificare la tirannia in nome della religione, a hadith (tradizioni) travisati secondo le necessità, quando non brandiscono semplicemente il loro albero genealogico? Come si può tenere un discorso progressista di ragione, invitando al rispetto della dignità umana, delle libertà fondamentali e, più in generale, dei valori democratici, quando si hanno di fronte dei ciarlatani che si richiamano a Dio e al suo profeta? Come far valere principi così elementari come le libertà individuali, la cittadinanza o la sovranità popolare, principi che hanno già dato buona prova di sé nell’evoluzione delle società e nel benessere generale della nazioni avanzate, di fronte a gente oscurantista, nemica del progresso, che pretende di imporvi i suoi vecchi dogmi inglobanti, esaustivi, definitivi?
Di qui l’importanza decisiva della logica conclusione che si è imposta alla riflessione dell’impertinente romanziere. Secondo lui sarebbe urgente lavorare per una riforma radicale dell’islam. Come? E’ proprio cominciando da qui che ci si scontra col nodo gordiano del suo sistema dottrinario, vale a dire le “Tradizioni” (hadith) del profeta Muhammad, le cui interpretazioni, secondo lui, sono espressione di una ideologia fascistoide: “Il nostro profeta – precisa- è venuto al mondo per correggere la fede di Abramo… ora è tempo di correggere quella di Muhammad Ibn Abdallah (nome del profeta dell’islam). E’ che oggi esiste nel mondo arabo una ideologia nazista che porta il nome di “islamismo” (Al-islamawiya)”. Più precisamente, se si fa riferimento al ragionamento di Turki Al-Hamad, per quanto ci è dato comprendere, non si tratta per niente di mettere in discussione gli insegnamenti del Profeta dell’islam, vale a dire le Tradizioni sunnite, ma di restituirle alla loro dimensione storica, con l’obiettivo di separare, come si dice, il buon grano dal loglio; sapendo che queste Tradizioni sono state a lungo trasmesse a memoria e oralmente, attraverso diverse generazioni, prima di essere consegnate per iscritto. Così la loro tardiva redazione, tra il IX° e il X° secolo, nelle sei raccolte canoniche del rito sunnita, è evidentemente stata frutto di elaborazioni umane, assai spesso influenzate dai frequenti scontri politici che hanno caratterizzato l’islam dei primi secoli.
Per una gran parte degli intellettuali laicisti che imperversano nelle nostre latitudini, simili considerazioni possono apparire certamente pertinenti, ma essi raramente le affrontano e mai considerandole come un contributo critico. E a ben ragione, in quanto una grande confusione ideologica viene deliberatamente alimentata, soprattutto nelle monarchie arabe, tra precetti religiosi e potere politico. E tutto questo mira deliberatamente a legittimare la malattia del dispotismo orientale in nome dell’islam; cosa che produce un doppio effetto di intimidazione delle intelligenze e di riflusso dello spirito critico, del gusto per l’innovazione e di ogni altra velleità di libero pensiero. Risultato, le nostre élite del serraglio amano molto mostrarsi laici e postmoderni, ma restano fondamentalmente sottomessi, dando i peggiori esempi di servilismo ai loro contemporanei!
Di fronte ad un tale impasse, della quale sono in gran parte responsabili tutti questi intellettuali-impostori, promotori dei valori di rassegnazione e compromissione, il pessimismo e l’autoflagellazione sarebbero state il nostro ultimo rifugio, se non fosse comparso di tanto in tanto qualche segno di speranza, qualche eroe di estrazione popolare o qualche modello esemplare di lotta contro la tirannia e le sue incommensurabili ingiustizie. Ora, che uno di questi segni ci venga oggi dal medioevale regno della tribù degli Al-Saud, è una cosa che merita di essere evidenziata. Perché dire cose irriverenti come quelle di Turki Al-Hamad a proposito dei fondamenti dell’islam, le raccolte degli hadith del profeta, costituisce una vera e propria lezione di audacia intellettuale per le nostre élite, un raggio di luce tanto più improbabile dal momento che viene da un paese di tradizione hanbalita, il più ortodosso dei riti sunniti, un paese che applica scrupolosamente la sharia nella sua espressione più letterale, anche la più inumana, e, cosa che conta di più, ospita i due più importanti luoghi santi dell’islam. Ma, visto dall’interno di queste regno immobile, vale a dire secondo la visione inquisitoria del suo clero hanbalita, un simile invito alla rimozione di uno dei fondamenti quasi immutabili dell’islam sunnita equivale più o meno a quello che rappresentò, nel XVI° secolo, la teoria dell’eliocentrismo agli occhi dei difensori del geocentrismo, eredità della concezione tolemaica dell’universo: quella che concepiva la terra come il centro intorno a cui gravitavano il sole e gli altri astri celesti. In altri termini, il germe della futura rivoluzione copernicana.
Tenuto conto di tutto ciò, ognuno ha i Copernico che si può permettere, quelli del mondo arabo-mussulmano devono certamente districare la rete complessa di certe incoerenze che sottintendono il corpo delle Tradizioni sunnite – o piuttosto le loro interpretazioni autorizzate. Ciò che comporta il reintrodurre ordine e razionalità, coerenza e tolleranza e, dunque, separazione tra il temporale e lo spirituale, la moschea e lo Stato, il Fedele e il Cittadino. In definitiva, una simile impresa, che non può che essere opera di diverse generazioni, contribuirà, a termine, a spezzare poco a poco le catene che mantengono l’Homo islamicus prigioniero dell’impero oscurantista del passato.