Quando l’Arabia Saudita scomparirà
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Daily Sheepe, 6 marzo 2016 (trad. ossin)
Quando l’Arabia Saudita scomparirà
Joshua Krause
All’osservatore occasionale, l’Arabia Saudita potrebbe sembrare una nazione imbaldanzita che si sta affermando. I Sauditi sono in lotta con l’Iran per la supremazia regionale, combattendo contro i ribelli in Yemen, minacciando di invadere la Siria e, stando ad alcune voci, brigando per ottenere missili nucleari dal Pakistan. Tuttavia non si tratta delle iniziative di una nazione stabile che afferma la propria egemonia nella regione. Sono invece i tormenti dell’agonia che agitano una nazione che non riesce a tenersi in piedi
La (numerosa) famiglia reale saudita
Da quando i prezzi mondiali del petrolio hanno cominciato a calare, semplicemente l’Arabia Saudita non è stata più la stessa. La cosa non deve sorprendere. Da quando i prezzi sono scesi, anche altri paesi ricchi di petrolio ne hanno sofferto. L’economia russa è stata messa alle corde, il Canada è in caduta libera ed è in piena recessione e il Venezuela è sul punto di crollare completamente. E però non vi è probabilmente una nazione sulla terra che sia dipendente dal petrolio più dell’Arabia Saudita. Se c’è qualcuno che sarà distrutto dal prezzo del petrolio, saranno i Sauditi.
Il nodo della questione è che questo paese è a corto di soldi. Non sembra così al primo colpo d’occhio. Hanno recentemente cominciato ad attingere alle loro enormi riserve e il loro debito, in rapporto al PIL, è notevolmente basso. Tuttavia subiscono una emorragia di denaro ad un ritmo allarmante. Hanno inondato il mercato con del petrolio poco caro per sbaragliare i concorrenti (una manovra pericolosa per un governo che ricava l’80% delle entrate dal petrolio), e sono impegnati in diverse costose guerre per procura contro l’Iran, che pure non va troppo bene. La situazione è talmente grave che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) calcola che l’Arabia Saudita sarà a corto di denaro nel giro di 5 anni.
Per la maggior parte dei paesi questo non sarebbe un problema insormontabile. Potrebbero semplicemente prendere soldi in prestito e darsi un po’ di tempo fino a quando il loro sistema finanziario sia chiamato a pagarne le conseguenze molti anni dopo. Ma l’Arabia non può fare questo. Il suo governo e la sua società sono strutturati in modo da non poter finanziare nulla col debito. La ragione è che non si tratta di una Stato-nazione tradizionale.
Infatti l’Arabia Saudita non è per niente uno Stato. La si può descrivere in due modi: come un’impresa politica con un ingegnoso, ma in ultima analisi insostenibile, modello di business, ovvero talmente corrotta da potersi paragonare per il modo in cui funziona ad una organizzazione criminale integrata in senso verticale e orizzontale. In ogni caso non può durare. E’ oramai tempo che i decisori USA comincino a prepararsi al crollo del regno saudita.
Durante recenti conversazioni con dei militari e altri funzionari governativi, sono rimasto sorpreso nel constatare fino a qual punto si mostrino impreparati ad una simile prospettiva. Ma questa è la questione sulla quale dovrebbero cominciare a lavorare.
Posta la questione in questi termini, il re saudita è l’AD di una impresa familiare che converte il petrolio in attivi finanziari che comprano la lealtà politica. La cosa prende due forme: sovvenzioni in denaro o concessioni commerciali per i sempre più numerosi membri del clan reale, ed un minimo di beni pubblici e di possibilità di impiego per la plebe.
L’Arabia Saudita funziona nel complesso su un modello di corruzione istituzionalizzata. Ha bisogno di denaro contante per mantenere il controllo sulla popolazione, per mantenere una famiglia reale, ricca e felice, che cresce incessantemente, e per fare in modo che ciascuno faccia il proprio lavoro. Non è così che si concepisce la vita nella maggior parte dei paesi occidentali, dove una gran parte della popolazione nutre un riposto senso di dovere civico. Questo sistema ha bisogno di soldi, e non può sopravvivere con le cambiali.
Le élite in questa società esigono una permanente vita lussuosa, e le sovvenzioni del governo costituiscono l’unica remora alla ribellione delle masse oppresse. Una volta che il denaro venisse a mancare tutto crollerebbe sulle proprie fondamenta.
Ma la situazione finanziaria non è l’unico problema del regno saudita. Una gran parte del suo budget viene dilapidato nella guerra in Yemen, dove sta prendendo un fracco di botte. Decine di mercenari di Blackwater sono rimasti uccisi nel corso di un attacco missilistico il mese scorso, i ribelli yemeniti si sono impadroniti di una delle loro basi militari due settimane fa (in territorio saudita, niente di meno), e la settimana scorsa le forze yemenite sono riuscite a catturare più di un centinaio di soldati sauditi.
E’ un regime che governa con la paura e l’oppressione. Come possono continuare a farlo se il loro esercito non è capace di domare una insurrezione nel loro cortile di casa? Quando il meccanismo delle sovvenzioni e delle tangenti è bloccata, e la popolazione è in difficoltà e stanca di essere dominata dalla famiglia saudita, quanto tempo ci vorrà secondo voi perché si ribellino?
E, oltre a tutto ciò, l’Arabia Saudita deve fronteggiare una severa crisi dell’acqua. I Sauditi dipendono fortemente dalle falde acquifere sotterranee, che non sono rinnovabili. Essi utilizzano più acqua pro capite di quanto non si faccia in molti paesi occidentali (di fatto, due volte di più di una persona media nell’Unione Europea). Potrebbero esaurire le scorte in meno di 13 anni. Per questo motivo il regime saudita ha per la prima volta imposto una tassa sull’acqua, parte in ragione della sua scarsità, parte per compensare le calanti entrate petrolifere.
Come si può vedere, vi sono molte minacce esistenziali che pesano sull’Arabia Saudita. Le guerre per procura contro l’Iran salassano le sue riserve, mentre le entrate petrolifere sono al minimo storico, la popolazione oppressa si agita, non è in grado di soddisfare le esigenze delle sue ingorde élite e si trova di fronte ad una catastrofe ambientale su scala nazionale che potrebbe rivelarsi la peggiore calamità possibile.
Insomma, uno dei più forti alleati degli USA in Medio Oriente, il perno del petrodollaro, rischia il crollo completo, ed esso potrebbe sopraggiungere in un decennio. Esso potrebbe provocare il caos in Medio Oriente, e avrebbe enormi conseguenze sull’economia mondiale. E, a voler essere obiettivi, non c’è veramente niente che si possa fare per evitarlo.