Repressione e resistenza in Bahrein
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belaali.over-blog.com, 14 maggio 2011
Repressione e resistenza in Bahrein
di Mohamed Belaali
Assassinii, tortura, legge marziale, condanne a morte dei manifestanti, censura e denunce dei giornalisti, licenziamenti massicci di operai, centinaia di prigionieri politici, repressione selvaggia delle manifestazioni, ecco come la dinastia degli Al Khalifa intende mantenersi, costi quel che costi, al potere. Ma, nonostante la repressione senza precedenti in questo piccolo regno, il popolo del Bahrein resiste e continua a battersi in vari modi per la democrazia e la dignità. Si tratta di una lotta esemplare condotta da un popolo, armato della sua determinazione e del suo coraggio, contro una dittatura crudele che dispone delle più sofisticate macchine da guerra. In questa lotta ineguale e ingiusta, il regime è sostenuto dagli Stati del Golfo e soprattutto dall’imperialismo USA ed europeo. Le rivolte dei popoli arabi hanno dimostrato in modo eclatante, ancora una volta, la complicità diretta e indiretta degli Stati Uniti e dell’Europa con le dittature più feroci.
I crimini e le atrocità commesse dalla dinastia degli Al Khalifa contro il popolo del Bahrein non hanno limiti. Perfino i medici e gli infermieri, che hanno avuto il torto di salvare delle vite umane e di curare i feriti, sono anch’ essi vittime di questa furia repressiva. In spregio a tutte le convenzioni internazionali e soprattutto di quella di Ginevra, i manifestanti feriti non devono essere soccorsi! Così a tutti i feriti viene rifiutata l’assistenza medica! La dittatura teme che i medici e il personale sanitario, che vengono talvolta arrestati dall’esercito all’interno stesso degli ospedali, possano avere delle “prove delle atrocità commesse dalle autorità, dalle forze di sicurezza e dalla polizia antisommossa”.
Nemmeno le moschee sono risparmiate. Le autorità ne hanno avviato una campagna di distruzione. Il monumento di Piazza della Perla, supremo simbolo della contestazione popolare, è stato distrutto. La dittatura vuole cancellare tutti i simboli della resistenza. Questa piazza ricorda troppo la piazza Tahir del Cairo, testimone eloquente della caduta di un’altra dittatura, quella di Mubarak.
I giornalisti che tentano di denunciare la repressione vengono arrestati e tradotti in tribunale, almeno quando riescono a uscire vivi dalla detenzione. Karim Fakhrawi, membro del partito di opposizione Al-Wefaq e direttore del quotidiano Al-Wasat, è morto in carcere dopo il suo arresto. Le circostanze della sua morte non sono mai state chiarite. Il corrispondente dell’agenzia Reuters, Frederik Richter, è stato espulso. Bisogna che questa feroce repressione si svolga a porte chiuse.
Dopo gli arresti e le torture nei centri clandestini del regime dove quattro persone hanno già trovato la morte, adesso sono i tribunali militari a processare i civili. I processi sommari, che qualche volta si concludono con la condanna a morte di pacifici manifestanti, hanno distrutto intere famiglie. Anche in questo momento un tribunale militare sta processando una ventina di leader dell’opposizione: rischiano la pena di morte. Insomma, tutti i mezzi, anche i più abietti e infami, sono messi in campo per spezzare questa magnifica volontà di cambiamento del popolo del Bahrein.
Questa repressione e questa brutalità contro una popolazione che manifesta pacificamente sono praticate sotto lo sguardo benevolo degli Stati Uniti e dell’Europa. Il silenzio dei media borghesi a proposito di queste atrocità nell’occidente civilizzato è pari solo al brusio assordante della propaganda che distillano ogni giorno come un veleno nei cervelli dei cittadini sui diritti dell’uomo, la democrazia, la libertà, ecc.
Per gli Stati Uniti, come per l’Europa, la libertà, la democrazia, la dignità, ecc. sono solo parole prive di ogni significato, ma che essi usano come strumenti di propaganda per meglio servire i loro interessi. Va ricordato che in Bahrein si trovano il quartier generale della 5° flotta e il porto di attracco delle navi da guerra USA, e che l’Arabia Saudita è il cane da guardia locale degli interessi degli Stati Uniti dei quali essa rappresenta un elemento chiave della loro sicurezza energetica. Le dinastie locali che regnano da secoli su questa regione piena di petrolio usano tutte le loro forze per spezzare qualsiasi velleità di cambiamento che rischi di privarle dei loro immensi privilegi. Arabia Saudita, Baherin, Emirati Arabi Uniti, Koweit, Oman e Qatar, riuniti nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), cercano di schiacciare, direttamente o indirettamente, ogni sollevazione popolare, non solo nella regione del Golfo, ma in tutto il mondo arabo; è la contro-rivoluzione coalizzata. Il Consiglio cerca di attrarre altri paesi. La Giordania e il Marocco faranno forse presto parte di questo ricco consesso, dal momento che sono in corso le discussioni sulla loro adesione.
Il popolo del Bahrein è stato punito per aver osato alzare la testa e chiedere uno Stato moderno e democratico. Il castigo che gli è stato inflitto mostra fino a che punto di crudeltà nella vendetta possono giungere queste dittature.
Questa folle crudeltà nella repressione ha molto indebolito la lotta del popolo del Bahrein, ma non l’ha spezzata. Finché prosegue la contestazione, le forze del Consiglio di Cooperazione del Golfo, guidate dall’Arabia Saudita, resteranno a Bahrein, ha dichiarato il capo dell’esercito del regno. La popolazione infatti continua, in condizioni di estrema difficoltà, ad opporsi alla dittatura. La resistenza ha assunto altre forme. Tutte le sere, alle 22, la popolazione grida dai tetti slogan contro l’intervento militare saudita e per un mutamento di regime. Le manifestazioni si svolgono spesso di notte lontano da Manama, la capitale, che è totalmente sotto il controllo delle forze di sicurezza.
La sollevazione popolare in Bahrein è il risultato di decenni di ingiustizie, oppressione e umiliazioni. Si può reprimerla, anche spezzarla, ma rinascerà come una fenice dalle proprie ceneri. Perché è nata e cresciuta sul terreno del dispotismo e dell’arbitrio. Per sradicarla, occorre che i governi estirpino il dispotismo e l’arbitrio con i quali governano.
The Independent
Medici "politicizzati"
Bahrein, 14 maggio 2011 – Quasi 50 medici e infermieri che hanno dato soccorso ai manifestanti contro il governo, feriti nel corso delle recenti manifestazioni, sono stati accusati ieri di cospirazione contro lo Stato
In una escalation repressiva del governo del Bahrein contro le manifestazioni, il personale medico è stato accusato di “appoggiare i tentativi di rovesciare il governo” e di “divulgazione di notizie false”.
Alcuni sono stati anche accusati di aver causato la morte di due manifestanti, “infliggendo loro ulteriori ferite”, o sottoponendoli a “trattamenti inutili”.
Sono in tutto 23 medici e 24 infermieri che sono stati incolpati e che saranno processati davanti al tribunale militare, ha detto il ministro della giustizia Khaled bin Ali Al Khalifa. “In ambiente medico vi sono stati molti abusi in questo periodo”, ha dichiarato.
Le organizzazioni mediche hanno espresso il loro sdegno contro questa aggressione che ha portato all’arresto di lavoratori della sanità da parte dei militari.
Secondo la Convenzione di Ginevra le persone ferite nel corso di conflitti hanno diritto alle cure mediche, indipendentemente dallo schieramento cui appartengono.
Richard Sollom, direttore aggiunto dell’organizzazione Physicians for Human Rights e che ha svolto un’inchiesta nel paese il mese scorso, ha dichiarato: “Le nostre conclusioni sono che i medici e gli altri membri del personale hanno fornito cure corrispondenti all’etica e per tentare di salvare la vita di manifestanti che erano stati abbattuti e feriti dalle forze di sicurezza. Si tratta di false accuse. Non credo che il governo disponga di alcuna prova”.
Il dottor Sollom ha aggiunto di aver tentato di andare al centro medico Salmaniya, il più grande ospedale del paese, ma di essere stato fermato all’ingresso. “L’ospedale è completamente militarizzato, pieno di soldati mascherati e armati con fucili di assalto. E’ un paese ricco, dotato di un sofisticato sistema sanitario… e che adesso è completamente militarizzato”.
Queste accuse costituiscono l’ultima iniziativa del governo sunnita per intimidire l’opposizione dei mussulmani sciiti. Due ex deputati, membri di Al Wefaq, il principale partito sciita in prima linea nella contestazione, sono stati arrestati lunedì 2 maggio, secondo quanto riferito da portavoce del partito.
Almeno 13 manifestanti e 4 poliziotti sono stati uccisi e centinaia di persone ferite nel corso di scontri verificatisi durante le manifestazioni cominciate a metà febbraio. Gli ospedali si sono riempiti e il personale medico ha potuto con difficoltà fare fronte alla situazione.
Una serie di mail tra un chirurgo del centro medico Salmaniya e il professore inglese che lo aveva formato, pubblicate il mese scorso da The Independent, ha fornito un panorama concreto della pressione esercitata sul personale medico.
“Mi trovo in ospedale, sfinito e sovraccarico di lavoro per il gran numero di giovani vittime ferite a morte. E’ il genocidio del nostro popolo e i nostri medici dell’ospedale e i nostri infermieri sono nel mirino dei militari filo-governativi perché aiutano i pazienti”, aveva scritto il 15 marzo.
Le forze del Bahrein hanno preso d’assalto l’ospedale dicendo che vi si svolgeva “attività politica e settaria”. Le organizzazioni di difesa dei diritti umani considerano questo fatto come un atto di intimidazione e hanno accusato il governo di attaccare gli ospedali per poter arrestare le persone ferite durante le manifestazioni.
Il ministro della giustizia è giunto ad affermare, durante una conferenza stampa del 3 maggio, che i medici del centro medico Salmaniya avevano deliberatamente ferito un manifestante che era stato ricoverato con una ferita alla coscia, facendolo sanguinare a morte. In un altro caso avrebbero inutilmente operato un manifestante che era stato ferito da un proiettile al capo. In entrambi i casi i medici sono accusati di averne provocato la morte, ha dichiarato.
Altri medici e infermieri devono rispondere di accuse che vanno dall’incitamento all’odio contro il sistema politico fino al possesso di armi e alla malversazione di fondi pubblici.