Mio marito è stato rapito dalle "forze di sicurezza" del Bahrein
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Le Grand soir 7 luglio 2011
Mio marito è stato rapito dalle “forze di sicurezza” del Bahrein (Al Jaazera)
Dr Ala’a Shehabi
Il calvario di una donna il cui marito è stato imprigionato dopo essere stato giudicato sommariamente da un tribunale militare
Per la prima volta nella sua storia, il Bahrein ha dato il via ad una politica di processi militari in massa, accusando centinaia di civili di banali delitti contro lo stato. Ci sono più di mille persone in stato di detenzione, e l’opposizione stima che 400 sono prossimi al giudizio e che 100 sono stati già condannati. La giustizia sommaria resa in questi tribunali è un ritorno ai falsi processi staliniani dell’inizio del ventesimo secolo, destinati a punire ed umiliare i dissidenti. Tra quelli che sono sotto processo c’è mio marito, Ghazi Farhan. Il 21 giugno è stato condannato a tre anni di prigione.
Io sono nata e sono stata allevata in Inghilterra e sono venuta in Bahrein nel 2009 per sposare Ghazi Farhan, un energico uomo d’affari di 31 anni, lasciando alle mie spalle un lavoro rispettabile a Cambridge e per cominciare una nuova vita di famiglia nel paese dei miei antenati. Non avrei mai immaginato che nel 2011, quando la primavera araba è giunta sulle coste della nostra isola, sarei stata immediatamente colpita rischiando di perdere la mia bella vita di famiglia.
Il 12 aprile, tornando in ufficio dopo la pausa di mezzogiorno, mio marito è stato rapito nel parcheggio della sua azienda. Degli sconosciuti in abiti civili gli hanno bendato gli occhi e lo hanno portato via. 48 giorni dopo è stato presentato davanti al tribunale che porta il nome orwelliano di “tribunale della sicurezza nazionale”, un tribunale militare. E’ stato accusato di aver partecipato a delle riunioni illegali di più di 5 persone (in piazza Pearl) e di diffondere false informazioni in internet (un commento che aveva postato in Facebook). Lo straordinario calvario di Ghazi è cominciato con questo processo e questa sentenza.
Usano i metodi di Stalin
Giuseppe Stalin ha inventato il “processo spettacolo” – tribunali militari segreti di eccezione – durante la Grande Purga degli anni 1930. Sembra che il Bahrein si sia ispirato direttamente ad un capitolo della storia di Stalin, dove il verdetto era deciso prima, e poi giustificato strappando confessioni con la tortura e la minaccia di prendersela con la famiglia dell’accusato. Il solo elemento nuovo è che il governo del Bahrein ha dato disposizioni, dal 1980, che tali “confessioni” siano diffuse alla televisione di stato – spesso condite con le scuse dell’accusato al re. Una confessione simile, di Ayat al Qurmuzi, un poeta condannato a un anno di prigione per aver letto un poema che criticava il re, è stata trasmessa in televisione forse per ottenere il perdono del re.
Testimoni credibili imprigionati con Ayat e ora liberati hanno detto che gli avevano spinto a forza la spazzola del wc in bocca. Tutti coloro che vengono giudicati sono dei “traditori dello stato”, ripete senza tregua la propaganda velenosa diffusa dai media di stato – un capitolo del libro dei tiranni arabi che avrebbe potuto essere scritto da Goebbels. I media hanno definito i manifestanti “termiti” e gli Sciiti come un “gruppo malvagio”; essi hanno disumanizzato “l’altro”, che merita di essere maltrattato più di un animale.
Da marzo, centinaia di persone hanno subito la nostra stessa sorte. Alcuni momenti sono stati particolarmente dolorosi. Il primo momento del calvario è l’arresto brutale durante un raid notturno o ad un checkpoint o talvolta al lavoro, poi si viene trasportati da sconosciuti in qualche luogo sperduto per molto tempo. Nel caso di Ghazi, per 48 giorni.
L’agonia delle famiglie
E’ come perdere un figlio in un supermercato – e poi scoprire che è stato preso in ostaggio proprio da quelli che avrebbero dovuto proteggerci e temere, con ragione, che la vittima possa essere maltrattata , torturata e forse anche uccisa. Al culmine della repressione, 4 uomini sono stati uccisi in prigione dalla polizia nello spazio di 9 giorni. Spesso la polizia nega di avere informazioni su qualcuno che la famiglia cerca. E’ possibile, perché l’agenzia per la sicurezza nazionale è un’organizzazione sovra-nazionale che può fare tutto quello che vuole in piena impunità. Nel caso di mio marito, io ho avuto conferma del suo arresto da un messaggio Twitter qualche minuto più tardi. E’ così che questo splendido social network viene utilizzato dalle agenzie di sicurezza per reprimere nel sangue quelle stesse persone che avevano utilizzato questa tecnologia per mobilitare, diffondere e criticare apertamente.
Dopo avere sperato che il detenuto sarebbe stato rilasciato, arriva la seconda tappa del calvario che è particolarmente orribile per tutta la famiglia: il momento in cui la vittima viene all’improvviso trascinata davanti al tribunale militare ed accusata. Pochissimi tra loro hanno la possibilità di avvertire la famiglia o farsi assistere da un avvocato.
I locali del tribunale militare di Riffa sono relativamente nuovi. Sono stati costruiti nel 2007 e viene da chiedersi se lo siano stati con l’intenzione di fare ciò che stanno facendo adesso. All’ingresso ci ritirano la carta d’identità, i documenti, le carte, le penne, i gioielli, perfino la fede. Io ho dovuto togliere il mio velo e i miei orecchini nel corso della penosa perquisizione elettronica e manuale. Nei corridoi e nel tribunale vi è un ufficiale dell’esercito ogni due metri. L’edificio, che dispone di sole due aule di udienza, non è stato previsto per processare tanta gente ogni giorno. Le detenute donne sono tenute sono trattenute nella sala degli avvocati per mancanza di spazio, i detenuti uomini attendono in piedi sotto il sole, perché le celle sono piene e gli avvocati devono attendere nei corridoi – dato che la loro sala è occupata dalle prigioniere.
La sala di attesa è piena di madri, sorelle e mogli che non vedono il loro congiunto da mesi, nei loro occhi si legge l’inquietudine, frequenti i singhiozzi e subito repressi. Una ragazza che assiste alla sua ultima sessione mi dà un consiglio: Sia forte, cara signora, quando lo vedrà per la prima volta sarà durissimo. Se vi sentiranno piangere, anche se a bassa voce, vi cacceranno fuori come hanno fatto con me”.
Dio soccorra i colpevoli
Attendiamo a lungo che l’udienza cominci. Senza orologio l’attesa sembra infinita. Quando un ufficiale dell’esercito apre la sala dove sono radunati i detenuti, riesco a vederli tutti allineati in silenzio, faccia al muro. La loro sorte non è nella mani di Dio ma di un giudice militare senza scrupoli. Il vostro aspetto, le vostre parole, i vostri gesti e i vostri sentimenti sono strettamente controllati qui. Il loro capo è rasato e sanno ciò che hanno diritto di dire. Il giudice ha davanti a sé una pila di affari urgenti che deve trattare in tutta fretta nell’ora successiva.
Quando Ghazi è entrato in tribunale, era visibilmente disorientato e in stato di shock. Trovarsi d’improvviso in pubblico in un tribunale davanti a tre giudici che vi leggono una lista di accuse gravi che sentite per la prima volta e che vi chiedono di dichiararvi colpevole o non colpevole, mentre cercate di trattenere l’emozione che vi sommerge nel vedere dopo tanto tempo le persone che amate. Era spaventoso. Aveva perduto almeno 10 chili, i suoi occhi erano iniettati di sangue e aveva dei segni rossi sulle mani – dovuti al fatto che era rimasto ammanettato per ore con una benda sugli occhi. Se gli innocenti sono traditi dalla sorte, allora che Dio soccorra i colpevoli!
La messa in scena mira a degradare, punire e umiliare. Che altro cerca di fare la polizia militare a dei civili? Una volta entrati in tribunale si capisce subito che esso è solo uno strumento di repressione. Mi è chiaro che le sentenze sono decise in anticipo e che i processi servono solo a dare loro una vernice di legittimità. Perché, nonostante i tentativi degli avvocati di difendere in modo convincente i loro assistiti, essi hanno avuto la pena più alta possibile. Il 21 giugno Ghazi è stato giudicato colpevole per tutti i capi di imputazione e condannato a tre anni di prigione.
Il fatidico verdetto è la terza tappa del calvario patito da tanta gente. D’altronde mi ero preparata al peggio. Il disprezzo completo anche delle più solide argomentazioni della difesa mette a nudo le motivazioni politiche della sentenza. Il fatto che a Ghazi non sia stato consentito alcun colloquio col suo avvocato prima del processo è una violazione del diritto, perché la sentenza era stata già decisa in precedenza. L’avvocato mi ha confidato di sentirsi lui stesso utilizzato come una delle comparse di questo processo-farsa. Mi ha detto che in ogni caso riteneva di dover fare ugualmente il proprio dovere per coscienza. Come tutto questo ricorda stranamente Kafka!
Un caso tra gli altri
Nel corso di una delle udienze alle quali ho assistito, oltre al caso Ghazi, anche una serie di altri ugualmente assurdi; un culturista accusato di avere aggredito un immigrato asiatico, tre giovani obesi accusati di aver gettato delle pietre, un uomo che confessava di aver guidato a velocità eccessiva ad un checkpoint, ed un fotografo condannato a cinque anni per avere fatto una foto.
Come all’epoca di Stalin, una purga di tal specie ha bisogno di processi-spettacolo. Il primo che si conclude – con condanne che arrivano anche all’ergastolo – è stato quello contro 21 leader dell’opposizione accusati di voler rovesciare il regime. Il secondo – a mio avviso ancora più abominevole – è quello contro 47 medici – tra cui i migliori del Bahrein – accusati altrettanto grottescamente di voler rovesciare il regime. Bene inteso sono stati condannati a pene severe. Per quanto il processo contro mio marito sia meno importante, il calvario che ho descritto è stato identico per tutti.
I tribunali militari sono i più importanti strumenti della giustizia politica: servono a conferirle una parvenza di legalità. La procedura legale viene sbeffeggiata da preoccupazione di rapidità ed efficacia. La tortura, e perfino l’assassinio, inflitti in luoghi sottratti al controllo della legge, dimostra che il ricorso ai tribunali militari è una scelta strategica. I capi governanti militari si servono volentieri dei tribunali militari perché essi pronunciano il verdetto che è stato loro dettato prima del processo, qualsiasi cosa accada nel corso del dibattimento.
Oggi la parte migliore della società civile del Bahrein viene trascinata davanti ai tribunali militari. I medici, le infermiere, sono puniti per aver curato i manifestanti, i professori, gli ingegneri per aver fatto sciopero, i calciatori per aver manifestato, gli universitari, i giornalisti, gli studenti, gli uomini d’affari sono tutti costretti a passare per l’inferno del tribunale militare. Coma ha detto Human Rights Watch, tutto ciò è una “parodia di giustizia”.
I tribunali militari devono essere soppressi e i prigionieri politici devono essere immediatamente liberati. Processi di questo tipo indeboliscono lo stato di diritto, accrescendo il senso di potere e di controllo del regime e bisogna porvi fine. La giustizia deve prevalere perché ritornino nell’isola la pace e la sicurezza.