Completato il colpo di Stato in Bolivia, la giunta dà la caccia agli ultimi dissidenti
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The GrayZone, 27 novembre 2019 (trad. ossin)
Completato il colpo di Stato in Bolivia, la giunta dà la caccia agli ultimi dissidenti
Wyatt Reed
Il giorno in cui dovevo incontrarmi per un’intervista con un giornalista boliviano di sinistra, ho saputo che era scomparso. Tutti gli avversari dichiarati della giunta militare sono diventati un bersaglio e sono accusati di sedizione
La brutale giunta militare che ha spodestato il presidente eletto democraticamente, Evo Morales, reprime violentemente le proteste guidate dagli indigeni della classe operaia, e il paese sta rapidamente cadendo sotto il suo controllo.
Militari in mimetica presidiano le strade, imponendo posti di blocco intorno alle sedi del governo. Chiunque sembri un oppositore rischia di essere arrestato con l'accusa di sedizione o terrorismo. I giornalisti dissidenti e i simpatizzanti di Morales sono stati costretti a nascondersi, ed escono di casa solo quando è strettamente necessario.
"È una dittatura fascista, è inutile nasconderlo", afferma Federico Koba, un giornalista di sinistra che mi ha chiesto di non usare il suo vero nome per paura dell'arresto. “Ci sono agenti paramilitari che vanno in giro per la città a scattare foto e individuare chi è chi. Chi è un leader, chi registra le proteste, chi registra la repressione.”
Ho incontrato Koba, attivista e giornalista del sito di informazione di sinistra La Resistencia Bolivia, la sera del 24 novembre. Inizialmente dovevo intervistare un suo collega, che mi aveva chiesto la copertura dello pseudonimo di Carlos Mujica, per paura di essere arrestato.
Ma il giorno dell’appuntamento, Mujica non si è presentato. Si era nascosto, dopo che la sua casa era stata perquisita e saccheggiata la notte prima del colpo di Stato.
Ore dopo, ho ricevuto un suo breve messaggio: “Fratello, adesso non posso parlare. Sono in prigione. "
Gli amici di Mujica hanno fatto il giro di tutte le prigioni della città, senza trovarlo da nessuna parte. Il giorno successivo, è stato rilasciato dopo un'intensa sessione di interrogatori in una struttura non ufficiale. Si è immediatamente nascosto, disconnettendosi completamente dai social media, tanto che i suoi colleghi sospettano che possa essere sceso a compromessi col governo golpista.
L'atmosfera era cupa quando ho incontrato Koba e alcuni dei suoi colleghi. "Sappiamo per certo che siamo in un elenco - l'abbiamo visto, e ciò che hanno fatto a Carlos lo conferma", mi ha detto un giornalista di La Resistencia.
Dopo l'intervista, Koba non accettato la mia proposta di farci una birra.
"Forse un giorno, quando tutto questo sarà finito, potremo farlo", ha detto. Siamo andati quindi in giro approfittando dell’oscurità, facendo giri viziosi e tornando talvolta indietro, per assicurarci di non essere seguiti.
"In quel camion potrebbero esserci dei poliziotti o paramilitari", ha osservato, mentre facevamo più volte il giro di una rotatoria aspettando che passasse.
"Non è stato sparato un solo colpo"
Da quando il loro paese è tornato nelle mani di una élite fondiaria di estrema destra, praticamente ogni boliviano di sinistra con un profilo pubblico ha iniziato a sentire il fiato sul collo. Perfino i politici più recenti portano i segni della repressione.
Pochi minuti dopo ho incontrato un altro giornalista boliviano, che aveva per la prima volta preso in mano una macchina fotografica solo poche settimane prima, quando era iniziato il colpo di Stato. Si è arrotolato una gamba dei pantaloni per mostrami la ferita che aveva subito il giorno prima. Gli avevano sparato con un proiettile di gomma mentre documentava l'offensiva dei militari contro i residenti di El Alto.
Pochi giorni dopo il colpo di Stato che ha esiliato Morales, gli abitanti della città operaia, per lo più indigeni, di El Alto circondarono un impianto di gas chiamato Senkata, tagliando la vicina capitale boliviana di La Paz dalla sua principale fonte di gas da cucina. Come risposta, quelle stesse forze militari e di polizia che avevano cospirato coi paramilitari fascisti per costringere Morales all’esilio hanno scatenato una feroce ondata di violenza sui manifestanti in gran parte disarmati.
Io sono arrivato quando il culmine del massacro si era da poco consumato. I "terroristi" - come la giunta militare e la stampa boliviana hanno soprannominato le pattuglie auto-organizzate di giovani e di madri indigene, per lo più disarmate - erano decisamente meno violenti di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Al posto delle pistole e della dinamite che i boliviani sostenitori del colpo di Stato insistono nel dire che essi possedevano, io ho visto solo telefoni cellulari e polleras, gli abiti tradizionali indossati da molte donne indigene della Bolivia.
Ma ciò non ha per nulla impedito che venissero falciati dal fuoco dei militari per diverse ore. Per quanto le cifre ufficiali del massacro di Senkata parlino di nove morti, una serie apparentemente infinita di parenti delle vittime ha dichiarato alla Commissione interamericana dei diritti umani (CIDH) dell'OSA che il numero reale era sicuramente più alto, fino a 25 morti.
Le loro testimonianze strazianti hanno fornito l’immagine di soldati scatenati che sparavano a casaccio da elicotteri e da postazioni di cecchini. Le madri singhiozzavano mentre mostravano le foto dei loro figli. Molti erano stati uccisi mentre andavano o venivano dal lavoro; altri erano semplicemente scomparsi.
Quasi una settimana dopo, le loro famiglie hanno cominciato a pensare che fossero stati uccisi dai soldati, che ne hanno poi occultato i corpi, per ridurre il numero ufficiale delle vittime.
Ma la giunta militare adesso al potere ha fornito una versione diversa. Il ministro degli interni Arturo Murillo ha insistito pubblicamente sul fatto che "non è stato sparato un solo colpo".
Una versione confermata dal medico capo del Centro Traumatologico di Corazon de Jesus. Mi ha permesso di entrare nella clinica medica solo dopo che un equipaggio di cinque infermiere aveva lavato le pozzanghere di sangue dai pavimenti. Il medico ha poi insistito sul fatto che solo due risultavano vittime di colpi d’arma da fuoco e che le loro ferite erano coerenti con un'arma di calibro 22, precisando trattarsi di "arma non militare".
E’ sconcertante che qualcuno privo di qualsivoglia formazione di medicina legale azzardi simili conclusioni, ma ciò che è ben noto oggi in Bolivia è che qualsiasi professionista medico contraddica la narrativa ufficiale rischia di essere incriminato.
Quando il video di un medico in lacrime a Senkata che denunciava l'orrenda violenza è diventato virale, l’autore è stato arrestato giorni dopo. La giunta boliviana lo ha accusato di essere un "falso dottore".
This nurse #AybenHuaranca was the only medical professional who treated the protesters wounded and killed by the Bolivian coup in the #SenkataMassacre. Now the military dictatorship has arrested him on false charges of terrorism, alleging he disguised himself as a soldier and cop pic.twitter.com/MUsnzsnSTX
— Dan Cohen (@dancohen3000) 22 novembre 2019
Un laboratorio per la guerra dell'informazione post-verità della giunta
La rabbia del regime del colpo di Stato, guidato da un’esponente politica di estrema destra un tempo marginale di nome Jeanine Añez, si fa sentire in tutta la sinistra boliviana. Praticamente chiunque mostri di non essere d’accordo rischia di essere raggiunto da false accuse di "sedizione" o "terrorismo".
Come ha spiegato Koba durante il nostro viaggio notturno clandestino, “stanno cercando di reprimere non solo i manifestanti che scendono in piazza, ma chiunque dica qualcosa di diverso da quello che dice il governo. Reprimono quindi tutti i media che tentino di documentare la repressione e gli omicidi, le stragi e di mostrare le prove, far vedere le proteste e i sit-in. Tutto ciò che si oppone al colpo di Stato viene perseguito e aggredito".
Ha continuato: “Molti media di piccole o medie dimensioni sono stati chiusi o costretti a non mostrare quello che sta succedendo, altri sono stati pagati per mostrare quello che dicono loro. Quindi è una situazione molto seria nel campo della libertà di parola, prima che in quello dei diritti umani perché, come penso che il mondo abbia visto, questi ragazzi non si sono trattenuti dall'utilizzare tutta la forza a loro disposizione”.
Neanche il prestigio e la notorietà costituiscono una protezione. Perfino i giornalisti Carlos Montero e Juan Manuel Karg, cinque volte vincitori del premio Emmy, sono stati costretti a lasciare il paese dopo che un senatore fanatico di destra li ha etichettati come "comunisti insopportabili", che stavano "mettendo il loro sporco naso in Bolivia".
La polizia ha persino colpito in faccia con gas lacrimogeni un giornalista di Al Jazeera, che trasmetteva da Plaza Murillo a La Paz.
Al Jazeera's @TeresaBo has been intentionally tear-gassed in the eyes by Bolivian police while on air. She was simply trying to report what was happening. And, being a total pro, she kept right on doing it. pic.twitter.com/74foN7tvRF
— Barry Malone (@malonebarry) 16 novembre 2019
E TeleSUR, uno degli ultimi canali di notizie che ancora dà voce agli oppositori, ha subito l’espulsione di numerosi corrispondenti con l'accusa di "sedizione", e infine è stata definitivamente oscurata il 21 novembre.
Ma la repressione contro i media internazionali è niente a confronto di quella esercitata contro i media boliviani locali. A pochi giorni dal colpo di Stato, José Aramayo, direttore di Radio CSUTCB - un sostenitore di Morales – è stato incatenato a un albero mentre elementi paramilitari cacciavano i componenti del suo staff dal suo ufficio.
Come ha spiegato Koba, i media boliviani sono stati posti di fronte ad una scelta: o accettate qualche bustarella o la vostra vita sarà resa estremamente difficile. In questa atmosfera, è praticamente stata soppressa ogni voce critica nella TV boliviana, che ora trasmette messaggi di interesse pubblico avvertendo che Evo Morales sta cercando di affamare il suo popolo.
"Siamo rimasti quasi gli unici a raccontare cosa succede", ha detto Koba riferendosi al gruppo di giornalisti di sinistra minacciati che resta ancora attivo in Bolivia. “I media tradizionali stanno solo mostrando ciò che non è possibile nascondere. Ma ovviamente negano l'evidenza. Dicono che si tratta di lavoretti interni - che i cocaleros e quelli di el alto si stanno uccidendo tra di loro”.
"Tutto è sottosopra"
Della realtà "post-verità" degna di Alice nel Paese delle Meraviglie applicata dalla giunta, Koba ha esclamato: "Sono i progressisti ad essere fascisti. Dicono che siamo noi i fascisti! Dicono che siamo i violenti, che siamo i terroristi. Dicono che siamo noi ad avere fatto un colpo di Stato attraverso un’ipotetica frode elettorale, l’ipotetica frode elettorale".
Mentre alcuni progressisti sparsi del Congresso degli Stati Uniti condannavano il colpo di Stato, il danno è stato fatto e il complotto eseguito.
I demagoghi di estrema destra che hanno costretto Morales alle dimissioni hanno consolidato il loro controllo e, come dice Koba, "hanno cercato di stravolgere tutto in modo che la" frode elettorale" passasse per un colpo di Stato, e il colpo di Stato si trasformasse in un ritorno alla democrazia; le forze paramilitari sono forze di pacificazione; i fascisti sono democratici ".
“Tutto", dice, "è stravolto".
La Bolivia è diventata "un enorme laboratorio di post-verità e colpi di Stato del 21 ° secolo che fa tesoro di tutta l’esperienza accumulata in Nicaragua e Venezuela, in Honduras ... Brasile e Argentina", ha spiegato Koba.
Nel 2008, "avevano già cercato di fare un colpo di Stato qui. Non hanno avuto successo, ma hanno fatto tesoro dei loro errori ... E’ un laboratorio nel quale testano tutte le loro armi: la post-verità, il paramilitare, i movimenti civili finanziati da ONG e da organizzazioni fasciste straniere ".
Ora, Koba avverte che "chiunque affermi che questo non è un governo di transizione viene accusato di sedizione. E tutto è sedizione. Pubblicare sui social media è sedizione; parlare della repressione violenta è sedizione; dire quello che si pensa è sedizione. "
Secondo Koba, “L'unica cosa che non sono riusciti a fare è stata di convincere la comunità internazionale che si tratta di una transizione democratica. Certo, questa è l'unica cosa che abbiamo a nostro favore, che la comunità internazionale ha visto la repressione, ha visto tutte le violazioni dei diritti umani ".
Mentre la Bolivia ritorna ai giorni bui di un controllo assoluto da parte di una spietata giunta militare appoggiata dagli Stati Uniti, la voce di Koba è tra le poche che ancora osino parlare per protestare.
Dopo una lunga e seria discussione, siamo tornati al centro di La Paz. Gli ho stretto la mano, augurandogli ogni bene, incerti sul se e quando lo rivedrò.
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