Crisi Siriana
Siria. Si risveglia il fronte antiguerra
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Afrique Asie, 30 agosto 2013 (trad. ossin)
Siria. Si risveglia il fronte antiguerra
Dall’Egitto di Sissi all’Iran, passando per la Russia e l’America Latina, si moltiplicano le prese di posizione contro la guerra
L’Egitto contrario a ogni tipo di intervento in Siria
Il ministro egiziano degli affari esteri, Nabil Fahmy, certamente seguendo le istruzioni dategli dal generale Al Sissi, ha alzato i toni giovedì 29 agosto affermando che il suo paese si oppone con forza a ogni tipo di intervento militare contro la Siria, La differenza di toni rispetto all’epoca di Mubarak è radicale. E soprattutto rispetto all’era di Morsi che aveva dichiarato, due settimane prima di essere deposto, la “jihad contro la Siria”.
“L’Egitto non prenderà parte ad alcun attacco militare contro la Siria e vi si oppone con forza, conformemente alla sua posizione di principio contraria a ogni intervento militare straniero in questo paese”, ha sottolineato Fahmy in un comunicato.
Ha invitato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a fare “tutto il possibile per verificare i fatti (circa la presunta utilizzazione di armi chimiche) e ad assumere le misure adeguate nei confronti questo orrendo crimine”.
Il 20 luglio Fahmy aveva promesso di “riesaminare” le relazioni diplomatiche con la Siria, rotte in giugno dal deposto presidente Morsi.
Il nasseriano Sabbahi: “Un’aggressione contro l’Egitto comincia da un attacco contro la Siria”
Da parte sua, il capo del Movimento Popolare egiziano, Hamdeen Sabbahi, si è detto contrario a qualsiasi aggressione contro la Siria. “La storia prova che tutte le aggressioni contro l’Egitto cominciano con un attacco alla Siria” ha scritto martedì su Twitter. Sabbahi ha definito “barbara ogni aggressione contro il popolo siriano”, aggiungendo: “L’aggressione occidentale contro la Siria distrugge, non libera”.
Secondo Sabbahi, “è necessario che vi sia una presa di posizione del governo e popolare araba unita in difesa della nostra sicurezza regionale”.
Tamarrod chiede la chiusura del canale di Suez
Anche il movimento Tamarrod, protagonista delle lotte che hanno portato alla caduta del regime dei Fratelli Mussulmani, ha invitato l’Egitto a prendere una posizione ferma nei confronti di un eventuale attacco statunitense contro la Siria.
Il portavoce di Tamarrod, Hassan Chahine, ha chiesto la chiusura del Canale di Suez per impedire il passaggio delle cacciatorpediniere e delle navi da guerra destinate a colpire la Siria.
“Sostenere l’esercito siriano arabo è un dovere nazionale”, ha sottolineato. E ha aggiunto: “E’ giunto il momento che i popoli arabi si ribellino dopo che sono stati ormai smascherati i piani dell’ESL (Esercito Siriano Libero, una delle milizie dei “ribelli” siriani, finanziata e addestrata dall’Occidente, ndt) e dei suoi alleati terroristi, diretti a destabilizzare la patria araba tutta intera.
Tamarrod ha inoltre annunciato di volere al più presto lanciare una campagna che inviti i popoli arabi a boicottare le merci USA e di tutti gli altri paesi che parteciperanno all’attacco contro la Siria.
Diplomazia russa. Niente guerra contro la Siria, né oggi né domani
Secondo un diplomatico russo, citato dal quotidiano libanese al Akhbar, “non vi sarà guerra, né oggi né domani”, in quanto “l’amministrazione Obama ha deciso di perseguire tutte le istanze della legittimità internazionale prima di prendere la decisione unilaterale di agire contro la Siria”.
Il diplomatico russo, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, ha spiegato che “la prossima tappa sarà la riunione del Consiglio di Sicurezza. Una riunione che promette di essere burrascosa tra i cinque membri permanenti del Consiglio, e il cui esito già si conosce: tre voti contro due. Washington, Londra e Parigi contro noi e Pechino”. “Questa tappa da sola promette di durare una settimana. L’amministrazione Obama cerca infatti di guadagnare tempo, vuole che il Congresso gli accordi una autorizzazione a intraprendere un’azione militare unilaterale. Perché? Forse per dei calcoli politici interni. Vale a dire uno scambio di compromesso tra l’amministrazione Obama e i suoi oppositori. Per dire il vero, non vi è una politica estera statunitense. Tutto quanto accade nel mondo, per gli Stati Uniti costituisce un affare interno”.
E ha aggiunto: “Secondo le nostre informazioni, il Congresso USA non conta di risolvere la questione in questa o nella prossima settimana. Vi saranno quindi diversi giorni di attesa. E questa attesa non sarà improduttiva. Noi abbiamo, da Mosca, avviato una interlocuzione con gli Statunitensi. Il nostro ministro degli affari esteri Lavrov è in comunicazione permanente col suo omologo USA Kerry, sia telefonicamente che attraverso messaggi. E ciò con l’intento di evitare qualsiasi malinteso o mancanza di comunicazione. Lo stesso con gli Europei, ma a un ritmo meno intenso. Di qui l’abbassamento dei toni nelle dichiarazioni politiche di questo fine settimana. Ciò non significa peraltro che un attacco militare contro la Siria non sia più presente nell’agenda degli Stati uniti. Ma assistiamo, nel corso delle ultime ore, ad un abbassamento dei toni. E noi scommettiamo sulla prosecuzione di questa tendenza e contiamo di impegnarci in essa seriamente”.
Il diplomatico russo ha precisato che “l’annullamento della riunione di Le Haye, previsto in un primo momento per mercoledì 28 agosto, non ci ha per niente toccati. Questa riunione era riservata agli esperti che lavorano all’organizzazione di Ginevra 2. Il suo annullamento è la naturale risposta di Washington alle nostre posizioni relative alla armi chimiche e alla nostra determinazione a respingere le loro accuse che noi abbiamo invece rivolto ai loro alleati di Ghuta-Damasco. Occorre sapere che questo tipo di messaggi diplomatici è del tutto naturale nelle nostre relazioni”.
E ha sottolineato: “Noi non abbiamo alcuna fretta di organizzare la seconda Conferenza di Ginevra. Sono loro ad avere fretta. Da tempo tentano con ogni mezzo di fare avanzare le cose e guadagnare tempo. Noi pensiamo che un’altra data sarà prossimamente fissata. In effetti sono stati i media occidentali che si sono impuntati su un imminente raid USA il cui obiettivo sarebbe di accelerare Ginevra 2. In ogni caso noi, a Mosca, siamo persuasi che la seconda fase del dialogo siriano sarà possibile già questo autunno, addirittura tra ottobre e novembre”.
Interrogato sulla posizione russa nel caso di un attacco degli Stati Uniti contro la Siria, il diplomatico russo ha risposto: “Le parole di Lavrov circa il rifiuto della Russia a partecipare ad una guerra contro chicchessia sono dichiarazioni puramente diplomatiche. Si è trattato di una risposta diretta a una domanda posta nel corso di una conferenza stampa. In realtà le cose sono diverse. Vi sono circa 17.000 cittadini russi attualmente in Siria. Sono tecnici che lavorano in tutte le istituzioni statali siriane. Noi diciamo a tutto il mondo e ai nostri concittadini che Mosca è impegnata a garantire la loro protezione e la loro sicurezza fisica. Punto e basta!
Non vi saranno grandi operazione di evacuazione nelle prossime ore. L’ultima evacuazione in ordine di tempo ha riguardato un centinaio di famiglie che hanno preferito lasciare Damasco. Queste famiglie sono state rimpatriate da Beirut. I 17.000 Russi che sono rimasti a Damasco sono dei tecnici e noi contiamo di difenderli con tutti i mezzi possibili”.
Questa risposta da parte del diplomatico russo pone un’altra questione di natura militare, vale a dire quale sia l’equilibrio delle forze militari nel Mediterraneo, al largo della Siria.
E la risposta è: “La mobilitazione statunitense non è il risultato dell’attacco chimico di Ghuta. Secondo informazioni sicure e certe in nostro possesso, essa è cominciata un mese fa. Al contrario la nostra presenza militare nel Mediterraneo è da tutti conosciuta e si è rafforzata da circa due anni. Da quando voi avete scritto, il 29 novembre 2011, che la battaglia di Siria è diventata la battaglia di Russia”.
E le conclusioni: “In effetti tutte le opzioni sono possibili. Quanto accade oggi è comparabile alla crisi dei missili di Cuba. Il presidente Obama ammira John F. Kennedy, e Putin sembra l’erede del russo Kruscev. E dunque tutto è possibile. Ciò che è importante sapere è che noi pensiamo che in questa settimana non succederà niente…”
L’America Latina contro un intervento militare in Siria
La maggioranza dei paesi dell’America Latina si è pronunciata mercoledì contro un intervento militare in Siria, nel momento in cui gli Stati Uniti e alcuni dei loro alleati europei progettavano un attacco contro la Siria.
“Una aggressione contro la Siria avrebbe conseguenze estremamente gravi per il Medio oriente, una regione già teatro di disordini”, ha dichiarato in un comunicato il ministro cubano degli affari esteri.
“Costituirebbe una violazione flagrante dei principi fissati nella Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale e accrescerebbe i pericoli per la pace e la sicurezza internazionale”, ha commentato il ministro cubano.
Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha espresso “il ripudio di ogni ingerenza, a maggior ragione nella vicenda siriana”.
Il suo omologo boliviano, Evo Morales, ha anch’egli condannato le minacce di attacco. “Noi respingiamo, noi condanniamo” ogni intervento militare straniero in Siria, ha dichiarato dal Palazzo presidenziale di La Paz.
Morales ha menzionato le informazioni di stampa secondo le quali delle armi chimiche sarebbero state usate nei pressi di Damasco, non dal governo ma dai “ribelli”, allo scopo di provocare un intervento internazionale.
“Noi non accettiamo l’uso di agenti chimici che, secondo queste informazioni, sono usate da gruppi che destabilizzano la democrazia e il governo” siriano, ha dichiarato il presidente boliviano.
Il Brasile non sosterrà un intervento militare in Siria senza l’avallo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha dichiaro mercoledì il nuovo ministro degli affari esteri, Luiz Alberto Figueiredo. A suo avviso, si tratterebbe di una violazione del diritto internazionale e della Carta dell’ONU.
Maduro ha evocato un collegamento tra i complotti per assassinarlo e l’intervento in Siria
Anche il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha condannato le minacce occidentali di attacco contro la Siria, nel corso di una visita a Tachira, nell’ovest del paese.
E ha affermato che le autorità venezuelane hanno sventato un complotto per assassinarlo in concomitanza degli attacchi occidentali contro la Siria.
Maduro ha ricordato l’arresto in Venezuela, annunciato lunedì dalle autorità, di due Colombiani che sarebbero coinvolti in questo progetto di assassinio. “Il piano era di eliminarmi durante l’attacco contro la Siria”, ha affermato.
“Il progetto degli Occidentali era di farli coincidere (temporalmente), proprio come avevano progettato nel 2002, quando un tentativo di colpo di Stato contro Chavez aveva preceduto l’aggressione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti”, hanno riferito i media venezuelani.
Il segretario generale dell’OEA “contrario” a un intervento in Siria
In questo ambito, il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), il cileno José Miguel Insulza, si è dichiarato mercoledì “profondamente contrario” ad un eventuale intervento militare in Siria.
“Sono profondamente contrario agli interventi militari. Non vi sono molti esempi al mondo di interventi di questi tipo che abbiano avuto effetti positivi”, ha dichiarato Insulza alla stampa.
Attacco alla Siria. Triplo messaggio iraniano agli Occidentali
I messaggi iraniani agli Occidentali non conoscono tregua. Quasi tutte le istanze politiche e militari della Repubblica islamica d’Iran sono impegnate a fondo per solidarizzare con la Siria, minacciata da un attacco occidentale.
Riassumendo, il nocciolo dei loro messaggi è che l’intervento occidentale non resterebbe senza risposta, e lascia intendere la possibilità di un intervento iraniano per aiutare il governo siriano.
Teheran privilegia una tripla equazione
Avverte tra l’altro che Israele non sarebbe risparmiata dalla risposta ad un eventuale attacco. Nella notte tra martedì e mercoledì, la Commissione per la Sicurezza Nazionale del Parlamento iraniano ha assicurato che “ogni missile USA che si abbatterà sulla Siria avrà per risposta un missile siriano su Tel Aviv”.
Stesso tono da parte del Capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane, il generale Hassan Firuzabadi che ha assicurato che le fiamme dell’eventuale aggressione militare contro la Siria bruceranno l’entità sionista. E da parte del comandante dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Mohammad Ali Jaafari, secondo il quale “gli Israeliani devono sapere che lo scoppio di una guerra nella regione per iniziativa degli USA provocherà la prossima distruzione di Israele”.
Un secondo Vietnam
La seconda equazione divulgata dagli Iraniani è che la guerra contro la Siria sarà un secondo Vietnam per gli Statunitensi. “Gli Statunitensi, e nonostante la sceneggiata delle sconfitte che hanno accumulato in Iraq e in Afghanistan, perseverano ostinatamente su questa strada e potranno gustare ancor più l’amarezza delle loro prossime sconfitte, perché la Siria sarà il cimitero dei conquistatori, la sua guerra è più pericolosa di quella del Vietnam, essa sarà un nuovo Vietnam”, ha proseguito Jaafari.
Una dichiarazione simile e assai sulfurea è stata rilasciata dal Comandante dell’Unità AlQuds dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Kassem Souleimani. “Il paese del Levante è il luogo della nostra ascensione al cielo, e sarà il cimitero degli Statunitensi”, ha detto a porte chiuse, prima che la dichiarazione fosse divulgata dai media iraniani. E ha assicurato che “ogni soldato USA che sbarcherà dal suo aereo o dalla sua nave dovrà portare la sua bara con sé”.
L’Iran interverrà
Queste prese di posizione sono venute a completare quelle della Guida Suprema, l’Imam Ali Khamenei, il quale ha assicurato che un attacco contro la Siria provocherà un incendio in tutta la regione, lasciando intendere che il suo paese non resterà inerte di fronte a ciò che accade in Siria. E che ha nelle mani tutti i piani e le opzioni da adottare in caso di attacco.
Si tratta di affermazioni di grande importanza, soprattutto quando è noto fino a qual punto Washington abbia interesse a tenere lontana Teheran.
Oltre all’influente politico Jeffrey Feltmann, Washington ha inviato nella capitale iraniana anche uno dei suoi alleati nella regione, il monarca dell’emirato dell’Oman, Sultane Kabouss. Secondo fonti iraniane che hanno seguito da vicino la visita di tre giorni svoltasi la settimana scorsa, quest’ultimo ha chiesto agli Iraniani di levare mano in Siria, in cambio di un riconoscimento USA dei diritti nucleari iraniani e di una sospensione delle sanzioni imposte contro la Repubblica Islamica d’Iran.
Contemporaneamente, Feltmann si è sforzato di far credere agli Iraniani che l’attacco occidentale (del quale ha rivelato la data per domenica prossima) sarebbe limitato, ponendo l’accento sul fatto che esso non ha come obiettivo l’eliminazione del regime, ma solo di indebolirlo per giungere a Ginevra 2 in modo da garantirne il successo.
Questi discorsi arabi e statunitensi non sembrano avere convinto gli Iraniani. Senza indugio, Teheran ha risposto a Feltmann che la Siria è una linea rossa, non può essere barattata con nessun altro dossier. Secondo Al Akhbar, gli ha anche spiegato che, anche se l’attacco sarà limitato, niente impedisce che la risposta non lo sia.
Giustamente Teheran evoca l’incendio di tutta la regione. E’ soprattutto il parere del comandante dei Guardiani della rivoluzione, secondo cui la guerra non si limiterà alla Siria, ma colpirà tutti gli istigatori della guerra e i loro protettori.