ProfileCrisi siriana, ottobre 2015 - In qualsiasi modo dovesse risolversi questa crisi, l’Occidente, l’Europa e la Francia ne usciranno fortemente discreditati e la loro influenza politica ed economica ne sarà ridimensionata (nella foto, incidenti a piazza tahrir, al Cairo)

 

 

Cf2R (centre Français de Recherche sur le Renseignement), 6 ottobre 2015 (trad. ossin)
 
 
Rivoluzioni inutili e interventi caotici (1)
Eric Denécé
 
Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Ucraina: questi cinque Stati hanno partorito, a cominciare dal 2011, dei movimenti “rivoluzionari” più o meno spontanei, più o meno nazionali, che avrebbero dovuto trasformare i loro paesi e migliorare la situazione. Oggi bisogna arrendersi all’evidenza di un loro completo fallimento. Sicuramente i regimi oggetto della vendetta popolare erano autoritari o dittatoriali, polizieschi o repressivi e, per lo più, corrotti. Questa è una realtà. La contestazione e le aspirazioni al cambiamento erano dunque assolutamente legittime. Ma si è dimostrato che la spontaneità di queste rivoluzioni era ampiamente fittizia (2) e che esse si iscrivevano in una strategia concepita oltre-Atlantico al fine di portare dovunque in Medio Oriente i Fratelli Mussulmani al potere. Nessuno potrà infatti negare che queste “rivoluzioni” siano state coronate da successo e risonanza solo nei paesi i cui governi erano sgraditi a Washington. Nessun alleato degli Stati Uniti – specialmente l’Arabia Saudita e il Qatar – ha conosciuto fenomeni di questo tipo e la rivoluzione popolare in Bahrein è stata repressa nel sangue senza che l’Occidente abbia avuto niente da ridire. Due pesi e due misure.
 
Cosa ne è quattro anni dopo? A cosa sono servite queste rivoluzioni? Bisogna arrendersi all’evidenza della loro assoluta inutilità. Se in tutti questi paesi la vita quotidiana prima non era idilliaca, adesso è ancora peggiore – con la notevole eccezione dell’Egitto – di quella anteriore al 2011: questi Stati sono disgregati, distrutti, divisi. Le conseguenze di queste rivoluzioni sono state la crescita dell’ insicurezza (guerra civile, terrorismo) e della criminalità (assassini, rapimenti, traffico di armi, ecc), la rovina economica (cessazione di attività, allontanamento delle imprese straniere, distruzione delle infrastrutture, ecc) e l’esodo della popolazione (fuga dei lavoratori stranieri, rifugiati, migrazioni verso l’Europa), l’espulsione delle minoranze religiose (soprattutto cristiani) e la distruzione di siti che appartengono al patrimonio mondiale dell’umanità.
 
Seppure non ci riesca di rimpiangere gli autocrati decaduti, è pur vero che, a onta delle tante turpitudini del clan Ben Ali-Trabelsi, la Tunisia viveva meglio prima della rivoluzione. Il turismo era fiorente e la localizzazione sul suo suolo di imprese europee contribuiva al suo sviluppo. Sotto Gheddafi, la Libia aveva il più alto livello di reddito pro-capite di tutta l’Africa, alle donne era assicurato il più elevato livello di scolarizzazione di tutto il continente; il paese accoglieva 3-4 milioni di lavoratori stranieri e partecipava al nostro fianco alla lotta contro i jihadisti. La Siria usciva lentamente dalla dittatura istaurata da Hafez El-Assad, anche se il paese aveva posto termine a un tentativo di liberalizzazione nel 2000, seguito all’ascesa la potere di suo figlio Bachar. La situazione in Iraq, dopo l’intervento illegittimo degli Stati Uniti del 2003, rientra nella stessa categoria e presenta i medesimi caratteri e gli stessi risultati.
 
Queste “rivoluzioni” non hanno toccato solo l’Africa del Nord e il Medio Oriente, ma anche l’Ucraina dove, colmo del paradosso, è stato un presidente legalmente eletto, in una elezione controllata e validata da osservatori europei, ad essere stato rovesciato con l’appoggio dell’Occidente, in totale violazione di quel diritto che lo stesso Occidente sempre invoca (3). Peraltro, se l’opposizione ucraina avesse atteso il termine del mandato di Janukovyc, questi sarebbe stato molto probabilmente battuto alle elezioni dell’anno successivo; oggi il paese sarebbe in pace, invece di essere dilaniato da una guerra civile nella sua parte orientale e di essere un nuovo terreno di gioco per l’estrema destra neonazista, sostenuta dall’Europa e dalla CIA.
 
Il bilancio degli pseudo movimenti “filo-democratici”, incoraggiati e sostenuti – se non manipolati addirittura – dall’Occidente, è dunque disastroso per i paesi che ne sono stati toccati, per i loro popoli e per lo stesso ideale di democrazia. Ma nessuna lezione di buon senso sembra esserne stata tratta, perché la dinamica sembra proseguire. Possiamo infatti osservare, da qualche mese, una moltiplicazione delle critiche nei confronti degli Stati che denunciano questa deriva occidentale e ne prendono le distanze (Ungheria, Repubblica Ceca) (4). Una “rivoluzione popolare” potrebbe presto abbattersi su di loro per avere fatto dispiacere Washington.
 
Per contro, nessuna critica è stata rivolta all’Arabia Saudita, al Qatar e alla Turchia, che sostengono direttamente o indirettamente il terrorismo islamista – Al Qaeda e Daech – e sono ossessionati dall’obiettivo di rovesciare Bachar el Assad: Ricordiamo che Riyadh conduce in Yemen una sanguinosa guerra di aggressione, impegnando contro le tribù houthi mezzi militari (quasi 150.000 uomini) che si sarebbe preferito vedere impiegati contro Daech. Il conflitto yemenita, quasi del tutto assente dai nostri media, ha provocato in qualche mese più di 5.000 morti e di 25.000 feriti, 1,3 milioni di persone sfollate e 21 milioni di indigenti. Gli scontri sono più violenti e provocano più vittime di quanto accada nell’Ucraina orientale. Solo in aprile 2015, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha lanciato più di 1.700 raid aerei, vale a dire più o meno 80 al giorno. Gli attacchi hanno principalmente preso di mira senza alcuno scrupolo alcuni quartieri storici di Sanaa, una città vecchia di quasi 2.500 anni – colpendo quasi esclusivamente la popolazione civile – o la fortezza medioevale di Al-Qahira. Ma il silenzio regna e, per l’opinione pubblica occidentale, quello che non viene trasmesso dal telegiornale delle 20 non esiste! Due pesi e due misure.
 
L'orribile carniere dei ribelli "moderati" siriani
 
Ricordiamo anche il ruolo centrale della Turchia nella recente crisi dei migranti. Ankara porta infatti una responsabilità nella recente ondata migratoria che ha sommerso l’Europa dell’ovest. Non riuscendo a realizzare la sua strategia nel teatro medio orientale, Erdogan – che da qualche mese subisce dei rovesci sia elettorali che in politica estera (5) – ha deciso di coinvolgere – e destabilizzare – le altre parti importanti, a cominciare dagli Europei. E’ per questo che è inammissibile che sia stato consentito al presidente turco, membro della direzione internazionale dei Fratelli Mussulmani, di tenere un meeting elettorale davanti ai suoi simpatizzanti, a Strasburgo il 4 ottobre, in occasione del quale e gli ha denunciato con enfasi il terrorismo, non quello di Daech… ma del PKK!
 
Sempre a proposito di migranti, bisogna denunciare l’abusiva strumentalizzazione dell’emozione popolare con la tragica immagine del bambino morto su una spiaggia, che ancora una volta tende ad accrescere la colpa degli Europei. La cui opinione è peraltro assai parziale e manipolata: perché i media non hanno mai mostrato le foto dei Siriani rimasti fedeli a Bachar el-Assad – per propria scelta o per timore degli jihadisti di Al Qaeda e di Daech – che da quattro anni sono vittime degli assassini e dei massacri da parte dei terroristi e dei loro sostenitori arabi e occidentali? Eppure sono numerosi … ma stanno dalla parte sbagliata! I nostri media ritengono evidentemente che ci siano vittime innocenti e altre colpevoli.
 
I reportage sui migranti sono d’altronde una eccellente illustrazione della totale assenza di analisi critica o obiettiva dei media: nessun commentatore sembra avere rilevato la forte percentuale di uomini giovani, dai 20 ai 30 anni, presente tra i rifugiati “siriani” (6). Che un paese in guerra cerchi di liberarsi di donne, bambini e vecchi, è legittimo. Ma che degli uomini nel pieno della forza abbandonino la loro terra senza combattere dovrebbe sollecitare delle domande: perché non sono rimasti a combattere pro o contro Bachar? No, solo la fuga verso l’Occidente e le sue ricchezze sembra interessarli. Ma nessuno sembra accorgersi di questo fatto che pure è flagrante. Al contrario, ancora una volta, si moltiplicano le critiche nei confronti dell’Ungheria, che rifiuta di accogliere e far transitare sul suo suolo veri e falsi rifugiati, dopo che gli Europei dell’Ovest si sono per anni lamentati che gli Stati dell’Europa dell’Est non effettuavano controlli efficaci alle frontiere, lasciando lo spazio Schengen aperto a tutti i venti!
 
Del resto, quando parlano del conflitto in Siria, i media presentano la situazione come se, sulle 250.000 vittime stimate della guerra civile, il 90% sia da addebitarsi al governo di Damasco ! E’ qualcosa, nello stesso tempo, di grottesco e insensato. Ricordiamo che più di 60.000 soldati siriani sono morti in combattimento e che sono stati uccisi e massacrati almeno altrettanti civili che resistevano agli islamisti, prevalentemente alauiti. Se Bachar avesse provocato tanti morti, a questo punto sarebbe stato rovesciato o avrebbe ripreso il controllo del paese! I media omettono sistematicamente di ricordare che il governo non ha più il monopolio dell’azione violenta e che massacri – dolorosa realtà di tutte le guerre civili – vengono commessi da entrambi i campi. La presentazione degli eventi tende a passare sotto silenzio gli orrori degli jihadisti o ad assolverli da ogni accusa di violenza quando essa sia rivolta contro Bachar e il suo governo.
 
Per memoria, gli pseudo attentati chimici di fine agosto 2013 vengono tuttora attribuiti dai media a Damasco, mentre perfino la Defense Intelligence Agency (DIA) statunitense (7) e il Cf2R (8) hanno dimostrato che essi non fossero attribuibili al governo. Ma perdura il martellamento mediatico e, lentamente, la disinformazione produce i suoi effetti, rilanciata da giornalisti ciechi, complici e irresponsabili.
 
Ebbene occorre riaffermare con forza che, quali siano le colpe di Bachar el-Assad – che non è il caso di difendere – gli oppositori armati che gli si contrappongono sono dei barbari e dei fanatici infinitamente peggiori di lui (9). Se questa considerazione sembra essere stata poco a poco acquisita per quel che riguarda Daech, non sembra che avvenga lo stesso per Al-Nusra, il ramo di Al Qaeda in Siria, che pure si propone identici obiettivi. Al Qaeda, ricordatelo, questo gruppo responsabile degli attentati dell’11 settembre e di molti altri ancora, cui gli USA hanno dichiarato “guerra globale”, ma che attualmente consentono venga sostenuta, in Siria, dai loro alleati sauditi, qatariani e turchi.
 
Influenzati dai nostri “alleati” statunitensi e arabi, ci siamo anche noi impegnati a demonizzare Bachar e il suo governo a ogni costo, incolpandolo di tutte le atrocità che si sono registrate, soprattutto quelle commesse dagli jihadisti. E tuttavia in cosa il leader siriano è peggiore di tutti i piccoli despoti africani che abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere? Preferire Al Qaeda e i Fratelli Mussulmani al suo governo dimostra fino a qual punto noi abbiamo perso il senso della realtà.
 
Il realismo, in materia di geopolitica e di relazioni internazionali, è una virtù che l’Occidente sembra avere dimenticato. Gli Europei dell’Ovest, in particolare, hanno perso la bussola, e il loro unico “Nord” sembra essere diventata la politica irresponsabile e del tutto personalistica degli Stati Uniti, che cercano di trascinarli in tutte le loro azioni e derive.
 
Solo qualche paese dà ancora prova di buon senso, in primo luogo i Russi. Il loro intervento in Siria è una svolta che potrebbe contribuire a ristabilire un principio di ordine in Medio Oriente. In secondo luogo, la cosa non ci dispiaccia, l’Iran si afferma come un elemento di stabilità nella regione, a fronte dell’agitazione terrorista incoraggiata e sostenuta da taluni Stati sunniti. Ciò non impedisce né a Mosca né a Teheran di avere degli interessi, e di volere avanzare le loro pedine. Ma faremmo molto male a rimproverare loro quello che noi abbiamo sempre fatto.
 
L’iniziativa di questi Stati potrebbe rovesciare il corso degli avvenimenti in Siria. Infatti è bene ricordare che Bachar non ha per nulla utilizzato, negli anni trascorsi, una parte delle sue unità composte da richiamati a maggioranza sunnita, che non hanno tuttavia disertato, come altri hanno fatto, ma che non sono sufficientemente formati né sperimentati per essere impegnati in prima linea. Esse sono state per lo più acquartierate con compiti esclusivamente difensivi nei pressi di Damasco. E’ sulle unità alauite che ha pesato l’essenziale dei combattimenti offensivi. L’arrivo dei Russi, la fornitura di equipaggiamenti, l’appoggio aereo, oltre all’impegno sempre più marcato dell’Iran e di Hezbollah, hanno tutte le probabilità di mutare la situazione a vantaggio del governo. Damasco potrebbe impegnare queste unità, oramai più affidabili, in operazioni di riconquista. Primo esempio di questo rovesciamento di tendenza, il 4 ottobre a Dera’a un migliaio di elementi delle milizie islamiste hanno deposto le armi e alcune fonti riferiscono della fuga dal paese dei primi combattenti di Daech, che ritornano in Iraq.
 
Ovviamente gli Occidentali hanno subito criticato gli attacchi aerei russi in Siria, accusandole di provocare molte vittime collaterali e di colpire solo Al-Nusra, trascurando Daech, senza peraltro dimostrare in alcun modo la fondatezza di simili accuse. Ma soprattutto tali argomenti sono allo stesso tempo fallaci e grossolani: occorre ricordare le vittime collaterali della guerra in Iraq (2003) e degli attacchi dei droni statunitensi in Pakistan e in Afghanistan? O ancora il bombardamento USA che ha colpito l’ospedale di Médecin sans frotière (MSF) a Kunduz, in Afghanistan, nella notte tra venerdì 2 ottobre e sabato 3 ottobre, uccidendo 12 dipendenti dell’ONG, 7 pazienti - tra cui 3 bambini – e ferendo 37 persone. E’ poi davvero buffo vedere gli Occidentali criticare Mosca perché colpisce il Fronte al-Nusra, il ramo di Al Qaeda in Siria, perché esso è stato in parte formato, equipaggiato e continua a essere sostenuto dagli USA. Ancora una volta, due pesi e due misure.
 
Così l’Occidente, sotto la guida degli USA, cerca sempre di mettere la Russia in cattiva luce, tentando di ricollocarla nell’immaginario collettivo nella posizione dell’ex nemico sovietico odiato – a giusta ragione – mentre invece la situazione è oggi molto differente. Lasciano stupefatti anche le divagazioni di taluni analisti che annunciano senza arrossire che la Siria potrebbe trasformarsi in un nuovo Afghanistan per i Russi! Le condizioni sono talmente diverse (il teatro, gli alleati, le forze in campo, ecc) che simili ragionamenti non stanno in piedi.
 
Non illudiamoci, in qualsiasi modo dovesse risolversi questa crisi, l’Occidente, l’Europa e la Francia ne usciranno fortemente discreditati e la loro influenza politica ed economica ne sarà ridimensionata. Attualmente, in molte regioni del mondo, gli Occidentali appaiono, non senza ragione, come una minaccia per la pace e la stabilità mondiale, tanto i loro interventi creano caos dovunque si svolgano.
 
Infatti siamo dei pompieri piromani. Dopo avere illegalmente invaso e profondamente destabilizzato l’Iraq, gli Stati Uniti sono attualmente in guerra contro Daech che pure hanno contribuito largamente a creare. Allo stesso modo gli interventi francesi in Sahel (operazioni Serval, poi Barkhane) sono solo la conseguenza dell’errore strategico costituito dalla nostra azione sconsiderata in Libia. La costituzione di uno Stato Islamico in Cirenaica e in Tripolitania è una sorta di vendetta, postuma e meritata, di Gheddafi!
 
Abbiamo tutte le ragioni per essere inquieti dinanzi ai maggiori errori della nostra politica estera dopo il 2007. Cos’è diventata la Francia? Che fine hanno fatto i suoi valori, il suo sguardo particolare sul mondo, la sua autonomia e la sua libertà di parola? Noi possiamo solo constatare l’incoerenza e la cecità dei nostri leader, e il loro appiattimento su interessi stranieri – statunitensi, sauditi e qatariani. E’ legittimo interrogarsi seriamente sulla loro competenza e attitudine a difendere i nostri interessi. La loro ossessione di vedere cadere Bachar non è una politica. Esprime solo l’assenza di idee, di strategia, di visione… E’ tragico! Noi siamo oramai solo degli ausiliari, una forza di appoggio, che per di più sta dalla parte sbagliata.
 
Naturalmente i sacerdoti del politicamente corretto ci accusano di difendere i dittatori e dei paesi con i quali la Francia è da molto tempo in contrapposizione. Ma, continuando a rifiutarci di prendere atto della realtà e dell’evoluzione del mondo, e bevendoci e rilanciando a nostra volta la disinformazione Mainstream dei media anglo-sassoni, stiamo finendo per perdere ogni credibilità internazionale e presto o tardi pagheremo caramente il nostro appiattimento cieco e irresponsabile sulle posizioni di Washington e degli Stati sunniti che appoggiano il terrorismo.
 
Note:
 
    [1] Questo editoriale viene simultaneamente pubblicato sul sito del Centre Français de Recherche sur le Renseignement (CF2R) e su quello dell’Institut de veille et d'études des relations internationales et stratégiques (IVERIS, www.iveris.eu) nel quadro dell’accordo di partenariato che lega i due centri
    [2] Cf. Libye, un avenir incertain, rapport CF2R/CIRET, luglio 2011 ; Syrie, une libanisation fabriquée, rapport CF2R/CIRET, febbraio 2012 ; CF2R, La face cachée des révolutions arabes, Ellipses, Paris, 2012.
    [3] Eric Denécé, « Ucraina, il mondo all’incontrario », www.ossin.org, marzo 2014 - http://www.ossin.org/ucraina/1553-ucraina-il-mondo-allincontrario
    [4] Olivier Guilmain, Le Smart Power au secours de la puissance américaine, Rapport de recherche n°14, aprile 2015, www.cf2r.org.
    [5] Soprattutto dopo la non approvazione da parte degli Occidentali della No Fly Zone che voleva istituire sul nord della Siria. Adesso, con l’arrivo di Mosca, la Turchia si ritrova oramai con le forze russe alle frontiere nord e sud.
    [6] Le statistiche rivelano che solo il 27% è composto realmente da Siriani, gli altri si spacciano per Siriani per essere accolti o usano falsi passaporti.
    [7] Il famoso giornalista di investigazione statunitense Seymour Hersh ha dimostrato nell’articolo « The Red Line and the Rat Line » (London Review of Books, aprile 2014) che le accuse pronunciate da Barack Obama non si basavano su niente di concreto. Il giornalista ha intervistato molti responsabili militare e della intelligence che gli hanno tutti confermato di disporre, fin dalla primavera 2013, di informazioni affidabili, secondo cui già da diversi mesi al-Nusra disponeva di gas sarin e dei mezzi per utilizzarlo, che aveva potuto acquistare con l’aiuto della Turchia e dell’Arabia Saudita. Un appunto della Defense Intelligence Agency precisava addirittura che si trattava del "most advanced sarin plot since Al-Qaeda's pre-9/11 effort ». Hersh afferma ancora che il governo turco e i suoi servizi speciali hanno lavorato direttamente con al-Nusra per organizzare questo attacco e rovesciarne la responsabilità su Damasco, allo scopo di provocare un intervento militare USA
Ricordiamo anche che, nel suo rapporto, Carla Del Ponte, il capo della missione degli ispettori dell'ONU che hanno svolto delle rilevazioni sul terreno, afferma che, sulla scorta dei risultati dell’inchiesta, tutte le prove concordano nel designare i ribelli come responsabili dell’attacco.
    [8] Eric Denécé, « Intervention en Syrie : la recherche d'un prétexte a tout prix  », Editoriale n°32, settembre 2013, www.cf2r.org
    [9] A inizio ottobre, nel corso di una intervista all’emittente Al-Arabi, il Presidente della commissione giuridica della Coalizione Nazionale Siriana (CNS), Haytham Maleh, ha dichiarato: « Se fossi costretto a scegliere tra Assad e Daech, sceglierei Daech ». Il CNS è una emanazione dei Fratelli Mussulmani, creata l’11 novembre 2012 a Doha (Qatar). La Francia l’ha riconosciuta come unico rappresentante legittimo del popolo siriano !
    http://www.iveris.eu/list/veille/82-la_coalition_nationale_syrienne_choisirait_daesh
 
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