Crisi Siriana
Come Israele vede la situazione in Siria
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Crisi siriana, settembre 2017 - Ogni tanto la stampa accenna ad un bombardamento in Siria attribuito a Israele, cosa che di solito non suscita troppi commenti da parte delle Autorità israeliane. Ma è vero che, dal 2012, l'aviazione israeliana ha realizzato dozzine di raid in Siria...
Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 10 settembre 2017
Come Israele vede la situazione in Siria
Alain Rodier
Ogni tanto la stampa accenna ad un bombardamento in Siria attribuito a Israele, cosa che di solito non suscita troppi commenti da parte delle Autorità israeliane. Ma è del tutto vero che, dal 2012, l'aviazione israeliana ha realizzato dozzine di raid in Siria, soprattutto contro convogli sospettati di trasportare in Libano armi destinate a Hezbollah. Questa informazione è stata d'altronde confermata dall'ex capo di stato maggiore dell'aviazione israeliana, il generale maggiore Amir Eshel. Israele aveva avvertito che non avrebbe tollerato rifornimenti di armi al movimento sciita libanese, soprattutto missili suolo-suolo Scud e M-600[1].
La novità è che lo Stato ebraico non esita più ad attaccare anche istallazioni del governo siriano. Per esempio, il 6 settembre, quattro caccia israeliani hanno bombardato un sito «sospetto» situato a est della città di Maysaf, nella provincia di Hama. Si tratta ufficialmente di istallazioni facenti capo al Centro di studi e di ricerche scientifiche (CSRS). Israele sospetta che in questo sito il governo siriano detenga armi chimiche e, soprattutto, fabbrichi missili suolo-suolo, per sé ma anche per Hezbollah libanese. Peraltro, nell'agosto scorso, Israele aveva accusato l'Iran di progettare la costruzione – in cooperazione con Damasco – di un sito per la produzione di missili a Wadi Jahannam, nel nord-ovest della Siria, vicino alla località di Baniyas. Se queste informazioni troveranno conferme, c'è da aspettarsi che in futuro intervenga Tsahal.
La doppia minaccia Hezbollah + Iran
Oggi il nemico numero UNO designato da Tel-Aviv è Hezbollah libanese. Israele teme che, terminato il conflitto siriano, questo movimento, spinto dietro le quinte da Teheran, possa utilizzare l'esperienza militare acquisita sul campo e il gran numero di armi sottratte al nemico per muovere guerra allo Stato ebraico. Gli esperti stimano che Hezbollah avrebbe stoccato più di 100.000 missili di tutti i tipi e che sarebbe in grado di tirarne più di 1.000 al giorno. Gli Israeliani temono soprattutto i missili teleguidati che potrebbero colpire in profondità il loro territorio.
Sul piano tattico, Tsahal si prepara quindi a questo nuovo conflitto per non ripetere gli errori della guerra del 2006. Dunque, all'inizio di settembre, lo Stato ebraico ha avviato nel nord del paese la più importante esercitazione militare (Or HaDagan) realizzata negli ultimi venti anni. Si svolge sotto la responsabilità del Comando Nord delle forze di difesa israeliane. Al comando del generale maggiore Tamir Heyman e impegna le tre armate e riservisti.
Dietro Hezbollah libanese si trova l'Iran, che sembra voler rendere stabile la sua presenza in Iraq, in Siria e in Libano per ottenere a breve uno sbocco sul Mediterraneo. Anche il Libano - soprattutto il suo esercito – sembra non disporre più di autonomia, in quanto Hezbollah domina oramai la scena politico-militare locale. Gli Stati Uniti hanno d'altronde deciso di ridurre l'aiuto militare accordato a Beirut, dai 213,4 milioni di dollari del 2016 ai 103,8 milioni previsti per il 2018. L'esercito libanese è infatti considerato da Israele come una forza «ausiliaria» di Hezbollah. Inoltre i tanti combattenti stranieri che si sono arruolati nelle milizie sciite in Siria (Afghani, Pachistani, Iracheni, ecc.) potrebbero costituire una unità «internazionale» al comando di ufficiali della forza Al-Qods dei pasdaran, che potrebbe spalleggiare Hezbollah in una guerra contro lo Stato ebraico.
L'assenza di una minaccia siriana
Per Israele, la Siria non è più un pericolo diretto in quanto le sue forze armate sono spossate da sei anni di guerra. Inoltre sono ancora impegnate in una guerra asimmetrica contro i combattenti di Daesh che si sono dati alla macchia dopo la caduta dello pseudo califfato. Damasco è inoltre alle prese con due problemi prioritari: la provincia di Idlib che è sotto il controllo di gruppi segretamente affiliati ad Al Qaeda «canale storico»; e il Rojava, il Kurdistan siriano.
Quando sarà conclusa la battaglia di Raqqa, è verosimile che Washington allenterà i rapporti con le Forze Democratiche Siriane (FDS) la cui spina dorsale è curda. Potrebbe allora verificarsi un nuovo ribaltamento della situazione: Damasco, spalleggiata dall'Iran e dalle milizie sciite, potrebbe rivolgersi contro i Curdi – con l'appoggio di Ankara – per farli rientrare nei ranghi e spegnere ogni velleità separatista. Nemmeno Baghdad si opporrebbe a una simile iniziativa, in quanto anche l'Iraq deve confrontarsi con la volontà di indipendenza del suo Kurdistan, come dimostra il referendum fissato per il 25 settembre.
Damasco, Teheran, Baghdad e Ankara non hanno alcun interesse alla nascita di una entità curda nel Vicino Oriente. Ancora una volta i Curdi rischiano di essere il «capro espiatorio». Per ovviare a una simile minaccia, i Curdi siriani starebbero tentando degli approcci con l'Arabia Saudita, ma il Regno si trova oggi molto a corto di mezzi per poter accogliere questa richiesta.
L'evoluzione delle relazioni tra gli avversari di Israele, Daesh e Al-Qaeda
Per Tel-Aviv, le posizioni di Teheran, di Hezbollah, di Damasco e di Beirut nei confronti di Daesh e Al Qaeda «canale storico» appaiono sempre più ambigue. Gli Israeliani sono soprattutto rimasti colpiti dall'autorizzazione data ad alcuni attivisti di Daesh, e alle loro famiglie, di allontanarsi dalla regione di Qalamun, che si trova proprio a cavallo della frontiera siro-libanese, per recarsi in Iraq, dopo essere stati sopraffatti nel corso di una operazione coordinata delle forze armate libanesi, di Hezbollah e dell'esercito siriano. Certamente sia Beirut che Damasco sono oggi fortemente impegnate nella lotta contro questi due movimenti salafiti-jihadisti, ma sembra stiano preparandosi al «dopo», dando segnali di apertura che possano favorire un dialogo.
In passato, l'Iran aveva fatto lo stesso con Al-Qaeda «canale storico», accogliendo anche sul proprio suolo alcuni responsabili dell'organizzazione in esilio e facilitando – pur se sotto stretto controllo – il passaggio dei jihadisti. La speranza dell'Iran è forse che queste due organizzazioni mettano finalmente in pratica le loro minacce, colpendo gli interessi dello Stato ebraico e sostenendo la causa palestinese, cosa che fino ad oggi non hanno mai davvero fatto.
Contemporaneamente, Tel-Aviv pensa che l'evoluzione del conflitto in Yemen sia fonte di preoccupazione per Teheran, in quanto i ribelli Huthi che appoggia incontrano difficoltà relazionali col loro alleato, il generale Saleh. Gli Israeliani pensano che l'Iran potrebbe augurarsi che Daesh e Al-Qaeda allentino la pressione che stanno esercitando sugli Huthi, in modo da lasciare che l'Arabia Saudita si impantani definitivamente in questo conflitto nel quale si è imprudentemente infilata.
Israele considera la «mezzaluna sciita» Iran /Iraq/Siria/Libano come una minaccia diretta alla sua sicurezza. I suoi dirigenti non credono nemmeno alla sincerità degli Iraniani in tema di rispetto dell'accordo 5+1[2] sul loro programma nucleare militare. Si riservano sempre il diritto di intervenire con attacchi aerei mirati, senz'altro con l'assenso di Riad che vedrebbe con piacere il suo nemico persiano subire dei colpi.
Infine, Washington e Mosca fanno a gara negli atteggiamenti amichevoli nei confronti di Israele. Per gli Stati Uniti si tratta di un dovere storico; per Mosca è il modo di rientrare durevolmente nel gioco medio orientale, dal momento che considera – a giusto titolo – lo Stato ebraico come un attore imprescindibile nella regione. E' così che si spiega la tacita autorizzazione, data dai Russi a Israele, di lanciare raid aerei in Siria contro Hezbollah, che servono anche a calmare le ambizioni egemoniche iraniane, guardate con una certa inquietudine da Mosca.
I negoziati che interessano il teatro siriano vertono attualmente sulle «zone di de-escalation» istituite in diverse zone del paese, e anche sull'altipiano del Golan, luogo altamente sensibile per gli israeliani. Questi ultimi si oppongono ad una presenza in loco di Hezbollah, ma non vedrebbero male la presenza di forze di polizia militare della Federazione russa.
Note:
[1] Versione siriana del Fateh-110, un missile a carburante solido capace di portare una testata di 450 kg a 250 km.
[2] I paesi membri del Consiglio di Sicurezza + la Germania.
[3] Anche se il cessate-il-fuoco è relativamente poco rispettato.