Lotta Continua
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Lotta Continua
Azzazello
Da sempre il Corriere della Sera difende il campo occidentale ma, da quando il 12 settembre 2001 proclamò in prima: “Siamo tutti americani”, ha indossato addirittura l’elmetto e combatte la sua guerra contro i nemici, che sono poi tutti quelli (popoli e governi) che non si piegano agli interessi degli USA, di Israele e degli Inglesi.
La debolezza di Assad
Ancora oggi, il “nostro inviato speciale” Lorenzo Cremonesi dà prova di sé, in un breve articolo nel quale stravolge realtà e buonsenso pur di dimostrare che il presidente siriano Assad si trova in grave difficoltà. Con argomenti degni di un “paglietta” di Pretura, tenta di trasformare quella che è stata indubbiamente una dimostrazione di forza del presidente, in una prova di debolezza. “Bachar Assad riappare in pubblico dopo sei settimane di assenza. Giacca e cravatta, l’espressione contrita delle grandi occasioni. La televisione ufficiale del regime ha mandato in onda l’altra sera il filmati di lui che partecipa in moschea alle cerimonie di apertura per la Id el-.Fitr, la celebrazione religiosa tradizionale che segna la fine del mese di Ramadan. La telecamera indugia sul volto mentre prega inginocchiato, poi le stette di mano con dignitari e imam”.
Chiunque in buona fede ne trarrebbe la convinzione che, smentendo le voci diffuse ad arte dalla propaganda dei ribelli (e della quale anche il Corriere si era fatta megafono), il presidente Assad ha dimostrato di non essere scomparso dalla scena, di essere saldamente al suo posto e di non temere di comparire in pubblico, circondato come è da molti più sostenitori che oppositori.
Ma il nostro inviato speciale non si arrende. Invece di riconoscere onestamente di essersi sbagliato quando raccontava la storia della quasi definitiva disfatta del regime, insiste e trova nuovi argomenti a sostegno della sua tesi: “Vorrebbe essere un segnale di rassicurazione per la popolazione. La dimostrazione che, nonostante tutto, il presidente resta al suo posto, è pronto a continuare la lotta. Ma è proprio l’eccezionalità dell’avvenimento a comunicare l’esatto contrario. Era dal suo discorso al Parlamento il 4 luglio che Assad non si faceva vedere in diretta. Da allora per lui la situazione non è altro che degenerata: con le nuove defezioni di politici e generali, con il crescere delle sommosse, con i combattimenti che hanno raggiunto il cuore della capitale. Il colpo più grave è stato l’attentato che il 18 luglio ha decapitato i vertici militari. Da allora i suoi spostamenti sono top secret”.
Per dare un’impressione di verità al suo ragionamento, il nostro inviato speciale è costretto però ad omettere qualche passaggio prezioso: è vero infatti che c’è stato l’attentato del 18 luglio, è vero che c’è stata un’ offensiva dei mercenari antigovernativi a Damasco e ad Aleppo, ma è vero anche (e lui omette di ricordarlo) che, dopo questi avvenimenti, l’esercito regolare ha realizzato una controffensiva ed ha liberato queste due città, riprendendo il controllo della situazione, cosicché la comparsa del presidente Assad alla preghiera della moschea è proprio la dimostrazione che il governo ha ristabilito in gran parte la sua autorità legittima.
Poi, come si dice, ognuno è libero di dire quel che vuole, a patto però di non pretendere di essere un “inviato speciale”.
La zona rossa
L’articolo continua: “I gruppi dell’opposizione a Damasco sostengono che diverse moschee erano state transennate poco prima della sua apparizione, proprio per sviare eventuali attentatori”. Ma che vuol dire?
Ogni giorno, in qualsiasi paese del mondo, le visite dei capi di Stato sono accompagnate dalla predisposizione di misure di sicurezza, con l’istituzione di zone rosse presidiate dalla polizia. E invece il nostro inviato speciale pretenderebbe che Assad si muova senza che siano dispiegate le misura speciali che vengono impiegate a protezione di un qualsiasi capo di stato, a maggior ragione dal momento che è l’obiettivo di un terrorismo internazionale finanziato dall’occidente. E pretende di sostenere che questo sia un segno di debolezza.
E’ propaganda, solo propaganda!
La strategia di propaganda contro Assad è cambiata
La verità è che la strategia di disinformazione contro Assad è oramai cambiata. Infatti non si può più decentemente sostenere che egli sia un sanguinario massacratore di una popolazione inerme che protesta, dal momento che è chiaro a tutti che la maggioranza del popolo siriano appoggia il suo governo e che le bande armate dei terroristi sono composte da pochi siriani e molti mercenari e alqaidisti, super-armati dall’occidente e dalle monarchie del Golfo. La nuova strategia mira a convincere il mondo, e i Siriani in primo luogo, che il regime è al “collasso”, che la partita è persa, che Assad sta per fuggire, che sta per essere abbandonato anche dai suoi amici. Questo bombardamento mediatico (che è un altro tipo di terrorismo) mira a spezzare la resistenza e ad alimentare la sfiducia dei Siriani, per convincerli che tanto vale accettare subito l’occupazione straniera, perché tanto prima o poi dovrà comunque accadere.
Ed è così che il nostro “inviato speciale” rivela finalmente ciò che tutto il mondo sa da almeno un anno (e che il Corriere ha sempre tenuto nascosto): “A confermare che la situazione per il regime sta degenerando sono le rivelazioni apparse ieri sui settimanali britannico Sunday Times e tedesco Bild am Sonntag, secondo i quali i servizi segreti dei due paesi starebbero aiutando il movimento della guerriglia rivoluzionaria. Il governo di Londra ha smentito. Eppure il giornale specifica che gli 007 di Sua Maestà, partiti dalle basi di Cipro e infiltrati in Siria, avrebbero fornito dettagliate informazioni sui movimenti delle truppe lealiste, specie nella zona di Aleppo. Una nave spia tedesca con attrezzature di monitoraggio super sofisticate starebbe inoltre incrociando appena al di fuori delle acque territoriali siriane con la capacità di seguire le comunicazioni sino a 600 chilometri all’interno del paese”.
Insomma, pur di contribuire a fiaccare la resistenza del popolo siriano contro le bande di terroristi, ci viene finalmente detto quello che fino a poco tempo fa non si poteva dire: che alcuni paesi europei, gli Usa, Israele e le monarchie del Golfo stanno facendo la guerra alla Siria. Altro che “primavera araba”!
Assange e Barankov
Ma il Corriere con l’elmetto non si sottrae ad alcuna mistificazione pur di vincere la sua guerra. In un’altra pagina, Fabio Cavalera dà una lezione di vita ad Assange, accusandolo di ipocrisia…
Rozzamente si potrebbe dire che il bue chiama cornuto l’asino, ma forse la verità è semplicemente che al Corriere non sembra possibile che ci sia qualcuno che dice NO ai potenti senza averne una contropartita.
Vediamo quali sono i capi di accusa: mentre il fondatore di WikiLeaks sta per ottenere l’asilo politico dall’Ecuador, un tale Alexandre Barankov sta per essere estradato dall’Ecuador in Bielorussia, “dove il dissenso si paga col carcere”. E tutto ciò in virtù di un complotto tramato da alcuni dei peggiori figuri in circolazione, almeno secondo Il Corriere. Perché Rafael Correa sarebbe stato convinto da Hugo Chavez a fare una cortesia al dittatore Lukashenko che vuole processare il summenzionato Barankov. Chi sia poi quest’ultimo non è facile dire, un perfetto sconosciuto fino a quando qualche servizio di intelligence non ha deciso di servirsene contro Assange.
Sembra sia un militare bielorusso che si è rifugiato in Ecuador e qui ha creato un blog nel quale denuncia veri o presunti casi di corruzione che coinvolgono il presidente Lukashenko. Che sia in buona fede o meno, non è dato sapere, perché – a differenza di Assange – non ha dato prova certa di sé. In ogni caso l’organo competente della Giustizia Ecuadoregna sta esaminando il caso e ci auguriamo che lo faccia con senso di giustizia ed equità.
Ma dov’è l’ipocrisia (del Corriere, non di Assange)? E’ presto detto: se Assange fosse estradato negli Stati Uniti rischierebbe la pena di morte per i reati che gli vengono contestati. Il nostro Barankov rischia – come precisa lo stesso Corriere – la prigione.
C’è una bella differenza! E’ appunto quella bella differenza che gli ordinamenti civili pongono a base del rifiuto dell’estradizione, e dell’asilo politico, da concedersi solo nel caso in cui l’estradando rischi, nel paese che chiede di processarlo, la pena di morte.
Cercheremo di saperne di più su Alexander Barankov, ma una cosa è certa già da subito: il suo caso non ha niente a che vedere con quello di Assange.
Lasciamo quindi al Corriere della Sera la sua guerra fatta di cattiva informazione e di travisamento dei fatti, ci permettiamo solo un consiglio: perché non cambia nome? Cosa ne dice di “Lotta Continua”?
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Dal nostro inviato speciale Lorenzo Cremonesi