Il malcelato volto della "IsraelAfrica"
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AfriqueAsie, 27 agosto 2013 (trad. ossin)
Il malcelato volto della “IsraelAfrica”
Gilles Munier
Dal 1958, quando Golda Meir, ministro degli Affari esteri, ha collocato l’Africa subsahariana tra i principali obiettivi diplomatici di Israele, la politica africana dello Stato detto ebraico ha avuto degli alti e dei bassi. Oggi è al livello più alto
Lontano è il tempo in cui i paesi africani rompevano, uno dopo l’altro, le relazioni diplomatiche con Israele. Nel 1967, l’aggressione dell’Egitto da parte dell’esercito israeliano, l’attenzione alla causa palestinese, la dichiarazione del generale De Gaulle che lo descriveva come “uno Stato sicuro di sé e dominatore” avevano fatto volare in pezzi l’immagine stereotipa che presentava Israele come una nazione pacifica, che forniva il suo aiuto senza nulla chiedere in cambio, e che si era liberata – come gli altri paesi del terzo mondo – dell’occupazione inglese. Nel 1973, la guerra di Ottobre, la crescita del prezzo del petrolio, le pressioni diplomatiche arabe e la risoluzione ONU che decretava che “il sionismo è una forma di razzismo e di discriminazione razziale” fecero il resto. Sulla trentina di paesi africani che intrattenevano relazioni con Tel Aviv, solo il Lesotho, lo Swaziland e il Malawi – paesi che erano nell’orbita sud-africana – le mantennero apertamente.
Questi seri rovesci diplomatici erano però temperati dal mantenimento di discreti “uffici commerciali” e dalla prosecuzione di sotterranei programmi di cooperazione universitaria e agricola.
Dopo gli accordi di Camp David del 1978, firmati da Anwar al-Sadat e Yitzhak Rabin alla Casa Bianca, la messa in sonno della lotta armata per la liberazione della Palestina e della condanna dell’apartheid di Israele, e poi l’abrogazione della risoluzione antisionista dell’ONU, gli Stati africani hanno progressivamente ristabilito le loro relazioni con Tel Aviv, giacché i loro leader hanno ritenuto di non dover essere “più arabi degli arabi”.
Operazioni segrete
L’offensiva israeliana nell’Africa subsahariana è stata sostenuta finanziariamente e materialmente da Washington, cui mettere avanti Israele evitava di essere accusata di imperialismo. Negli anni 1960, il budget stanziato dalla CIA per le operazioni segrete del Mossad a sud del Sahara, soprattutto in Sudan, Angola, Congo-Kinshasa e Uganda, toccava i 20 milioni di dollari. Un documento segreto, pubblicato nel 1979, ha rivelato che alla vigilia della guerra del giugno 1967, la CIA l’aveva addirittura aumentato di 5 milioni di dollari.
E’ noto che Israele ha investito sul lungo termine, pazientemente, ciò che – con qualche eccezione – non hanno mai fatto i suoi avversari arabi. L’accoglienza di studenti, gli stage di apprendistato agricolo nell’agroalimentare, l’irrigazione, e soprattutto le formazioni militari hanno consentito a Israele di creare delle reti di influenza e di raccolta di informazioni in una buona parte del continente africano, di raccogliere informazioni di carattere politico ed economico che le consentivano di intromettersi discretamente negli affari interni di un paese. Avere addestrato, per esempio, il generale Mobutu al paracadutismo, due mesi prima del suo arrivo al potere, ha offerto poi delle opportunità.
In Etiopia, dopo avere sostenuto l’imperatore Hailé Selassié, Israele ha puntato su Kesse Kebede, ex studente di economia e sociologia in Israele, diventato uno dei più importanti consiglieri del successore, Mengistu Hailé Mariam, rifornendolo di armi per combattere i ribelli del Tigré e del Fronte di Liberazione dell’Eritrea (FPLE). Obiettivo degli israeliani era di evitare che il mar Rosso diventasse un “mare arabo”, preoccupazione che è ancora attuale. All’epoca della guerra contro il “terrorismo islamico”, Israele ha allargato il suo campo di attività, collocando delle forze speciali a Gibuti, per assicurare il passaggio delle navi dirette al porto di Eilat.
Diversi ufficiali della intelligence israeliana, che si sono fatti le ossa in Africa, hanno fatto poi delle brillanti – o sanguinose – carriere : Nahum Admoni, direttore del Mossad dal 1982 al 1989, ha diretto gli attacchi contro gli uffici dell’OLP a Tunisi e fatto assassinare Abou Djihad; Reuven Merhav è stato in forza a Teheran e Pechino, nominato direttore degli Affari esteri israeliani, ha organizzato il trasferimento dei Falasha etiopi (Operazione Salomone) in Israele; David Kimche – il più famoso di loro, morto nel 2010 – un tempo numero due del Mossad, ha fatto parte del commando incaricato di vendicare gli atleti israeliani assassinati durante i giochi olimpici di Monaco e ha preparato l’invasione del Libano nel 1982. Oggi i diplomatici israeliani rientrati dopo la guerra dell’ottobre 1973 sono stati tutti rimpiazzati da “uomini d’affari”. Tutti vengono considerati – a torto o a ragione – agenti del Mossad. Si fa credito solo ai ricchi.
Corruzione su grande scala
In settembre 2012, la visita effettuata da Avigdor Lieberman, ministro degli Affari esteri, in Etiopia, in Kenya, Ghana, Nigeria e Uganda non aveva solo l’obiettivo di rispondere alla tournée di Mahmoud Ahmadinejad, il presidente iraniano, in Kenya, Gibuti e Uganda del febbraio dello stesso anno. Il capo del partito ultra-razzista Israel Beytenou – i cui membri attaccano i migranti africani a Tel Aviv – guidava una delegazione composta soprattutto da dirigenti di imprese di armamenti e sistemi di sicurezza, nella maggior parte ex membri dei servizi di informazione. Nel 2012 Israele si è classificata all’ottavo posto tra gli esportatori mondiali di armi, secondo un rapporto del Congresso USA, ma le sue vendite di armi in Africa subsahariana si sono ridotte.
Le maggiori esportazioni israeliane in questo settore – 1,5 miliardi di dollari – sono oggi in Cina e in India. L’Africa, che importava un terzo delle vendite di armi israeliane alla fine degli anni 1970, non è una grande consumatrice di armamenti sofisticati. Il leader africani chiedono soprattutto formazione dei loro servizi di sicurezza e delle loro unità di élite antiterroriste, servizi evidentemente meno cari. In Camerun, il presidente Paul Biya è andato oltre: aveva ingaggiato il colonnello israeliano Avram Avi Sirvan per dirigere le sue guardie del corpo, ma l’uomo è morto in uno strano incidente di elicottero nel 2010.
La Nigeria resta uno dei principali importatori di armi israeliane. Le commissioni non sono sempre chiare. Il presidente Goodluck Jonathan ha dovuto dimettersi dalle sue funzioni di capo di stato maggiore dell’aviazione, coinvolto in una vicenda di corruzione, dopo la firma di contratti per la fornitura di armamenti per più di un miliardo di dollari con Israele. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz (16.9.2010), nello scandalo è coinvolto il mercante di armi israeliano Amit Sadeh.
Oltre al commercio di armi, gli israeliani puntano sulla telefonia, lo spionaggio informatico e la cyber-difesa: in Nigeria l’amministrazione Jonathan si è rivolta a Elbit Systems, con sede a Haifa, per lo spionaggio delle comunicazioni internet. Altrove gli “uomini d’affari” sono presentissimi nelle industrie minerarie africane, soprattutto quelle di diamanti. A Kinshasa, il miliardario diamantifero israeliano Dan Gertler, parente del presidente Joseph Kabila e di Avigdor Lieberman, è sul banco degli imputati. E’ accusato di avere ottenuto delle concessioni minerarie, “in modo illegale e corrompendo”. Gertler avrebbe acquistato una importante concessione di cobalto e di rame al 5% del suo valore di mercato, attraverso una delle sue società con sede nelle isole Vergini. La svendita delle concessioni da parte del governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC) viene stimata, dal parlamentare inglese Eric Joyce, in circa 5,5 miliardi di dollari. Le tante malversazioni che vedono coinvolti gli Israeliani non impediscono al Partito Socialista della RDC di militare per la creazione di un gruppo di pressione che, su scala continentale, solleciti “donazioni di sponsor ebrei” nei confronti dei candidati che difendano gli interessi di Israele in Africa.
Frodi elettorali in serie
Altra specialità degli esperti israeliani in Africa: le frodi elettorali. Perfino Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, ha fatto appello alla loro esperienza quando si è trattato di dare alla sua rielezione una vernice democratica. Secondo il Mail&Gardian (12.4.2013), Nikuv International Projects, accusata di manipolazioni elettorali in diversi paesi africani, si è installata a Harare, la capitale dello Zimbabwe, nei locali delle Forze di Difesa, e ha registrato gli elettori, con la supervisione di Daniel Tondé Nhepera, vice-direttore della Agenzia centrale di intelligence dello Zimbabwe. Già nel 2008, l’ambasciata israeliana… in Africa del sud aveva dovuto smentire le voci che attribuivano il merito della vittoria di Mugabe al Mossad.
In Zambia, sempre Nikuv ha permesso al presidente Frederick Chiluba di restare al potere fino al 2002 grazie a frodi elettorali di grande portata. Nel 1996, su 4,5 milioni di elettori, la società israeliana ne registrò solo 2,3. Le “anomalie” si sono contate a migliaia, in particolare elettori registrati in seggi elettorali non loro, o con più schede elettorali aventi il medesimo numero. L’opposizione aveva boicottato le elezioni. Nel novembre 2012, Michael Sata, ex ministro di Chiluba, eletto presidente della Repubblica nel 2011, avrebbe ingaggiato la Nikuv in vista delle prossime elezioni.
In Lesotho, nel marzo 2013, il Dipartimento contro la corruzione e il crimine economico, facendo indagini su un contratto di fabbricazione di carte di identità e di passaporti biometrici firmato dal precedente governo di Pakalitha Mosisili, ha perquisito i locali della Nikuv a Maseru, la capitale. Amon Peer, il direttore locale della Nikuv, si è rifugiato in Africa del sud, dichiarando che sarebbe ritornato in Lesotho solo se gli fosse stata garantita “l’immunità”.
Il sito internet sudafricano amaBhugane, che pubblica le inchieste dei giornalisti del Mail&Gardian, ha rivelato che Nikuv interviene anche in “Ghana, Botswana e Angola nelle telecomunicazioni, l’agricoltura e la sicurezza” e che è legata alla ISC (International Security Consultancy), il cui presidente fondatore, Daniel Issacharoff, ex capo della compagnia aerea El Al, occupa un posto di rango elevato nel Mossad.
L’ISC – ex International Consultants for Targeted Security, società di consulenza nel settore della sicurezza – ha dei rappresentanti anche in Kenya e Nigeria. E’ presente in Africa del sud nel settore “della consulenza in materia di sicurezza aerea, dei virus informatici e della contr-sorveglianza”, attraverso una partecipazione alla società di sicurezza Nicholls, Steyn e Associati.
Spionaggio a Joannesburg
Nel 2009, i giornalisti di “Carta Bianca”, un programma televisivo francese di investigazione, hanno scoperto che degli agenti armati dello Shin Bet, il contro-spionaggio israeliano, interrogavano e detenevano talvolta dei viaggiatori dell’aeroporto Olivier-Tambo di Johannesburg in modo del tutto illegale. Agivano con la copertura dell’ambasciata di Israele in Africa del sud. Le informazioni sulle persone sospette, con specificazione della loro razza, etnia e religione, venivano registrate. Intervistati da un giornalista del programma, Virginia Tilley, componente del Consiglio di ricerca in scienza umane dell’Africa del sud, ha confermato di essere stata interrogata e privata dei bagagli da parte di Israeliani, e Jonathan Garb, un ebreo sud-africano, ex impiegato della El Al, ha precisato che, mentre la donna veniva interrogata, un agente dello Shin Bet ne fotografava i documenti e li trasmetteva a Tel Aviv. Lo scandalo provocato da queste rivelazioni sugli accertamenti compiuti nei confronti dei viaggiatori ha costretto il governo sud-africano a espellere Eli Shukrun, capo del gruppo della sicurezza di El Al. Il ministero degli affari esteri israeliani ritiene che avrebbe dovuto essergli garantita l’immunità diplomatica. Secondo il sito Crescent on line, è stato sostituito da un certo Avi Katz, agente noto per avere partecipato ad azioni di spionaggio e contro-terrorismo.
I giorni 5 e 6 novembre 2011, il Tribunale Russel per la Palestina si è riunito a Città del Capo e ha concluso che i Palestinesi sono sottoposti a “una forma aggravata di apartheid”. E’ doveroso constatare che ciò non impedisce agli scambi commerciali tra l’Africa del sud e Israele di crescere: sarebbero aumentati del 500% dopo la caduta del regime dei bianchi. Oggi, a sud del Sahara, Israele ha rappresentanti diplomatici in una quarantina di paesi. Ma chi potrebbe biasimarli, quando perfino diversi Stati arabi intrattengono relazioni diplomatiche con Tel Aviv o mantengono contatti segreti con i dirigenti israeliani, come nel caso . tra gli altri – di Marocco e Qatar?