Di ritorno dalla Libia
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Le Blog de Gilles Munier, 26 giugno 2011
Ritorno dalla Liba
Intervista a Gilles Munier
Il rennese (di Rennes) Gilles Munier, conosciuto per il suo sostegno al popolo iracheno durante la guerra del Golfo e il periodo dell’embargo, ha appena trascorso una settimana a Tripoli, bombardata quotidianamente dai caccia della Nato. Egli progetta di ritornarvi “per raccogliere la testimonianza dei dirigenti sul ruolo giocato dai servizi segreti occidentali e dal petrolio nello scoppio e nella repressione delle rivoluzioni arabe” ed attualizzare – dice - il suo ultimo libro: Le spie dell’oro nero.
D: Come è percepita la Francia a Tripoli?
R: La Francia bene, ma non Nicolas Sarkozy. Alcuni manifesti sui muri cittadini lo indicano come “assassino di bambini libici”. Nessuno riesce a capire perché se la sia presa con Gheddafi dopo averlo ricevuto con tutti gli onori a Parigi. I Libici – dicono – sono capaci di risolvere da soli i loro problemi interni. Inoltre si teme una irachizzazione della crisi. La regione di Bengasi è diventata terra di jihad per gli estremisti vicini ad Aqmi (Al-Qaida nel Maghreb islamico). Essi hanno nelle loro mani armi e missili e forse domani avranno anche armi peggiori. Ecco cosa succede quando si gioca agli apprendisti stregoni!
D: Alcuni avvocati, in particolare Jacques Vergès e Roland Dumas, intendono denunciare Nicolas Sarkozy per “crimini contro l’umanità” o “crimini di guerra”. Le pare realista?
R: Da quando è cominciato l’intervento vi sono stati circa dieci civili uccisi al giorno, tre volte di più di feriti. Il 7 giugno, alla vigilia del mio arrivo, una sessantina di missili sono caduti su Tripoli provocando 21 morti e decine di feriti. E’ stato il modo con cui la Nato ha festeggiato il compleanno di Gheddafi che cadeva quel giorno. Io ho visitato un ospedale: ti vengono le lacrime agli occhi nel vedere tutti quei feriti. La giustizia internazionale istruirà il processo contro Sarkozy senza partito preso, almeno spero.
D: Pensa che Gheddafi sarà rovesciato?
R: Tutto è possibile. Ma il leader libico ne sa una più del diavolo. E’ un grande giocatore d’azzardo. Eppure basterebbe che un missile colpisse uno dei suoi rifugi perché egli venga ucciso. Il 30 aprile la Nato ha fatto cilecca per poco. Era appena uscito dalla casa di famiglia con sua moglie. Uno dei suoi figli e tre nipoti sono rimasti uccisi. I Libici pensano che i caccia fossero francesi, dei Rafales. Aicha Kadhafi, che ha perduto nel corso dell’operazione sua figlia di 4 mesi, ha denunciato a Parigi Nicolas Sarkozy e Gérard Longuet. Oggi a Tripoli è questione di costituzione democratica, di libertà di stampa e di elezione presidenziale. Questo permetterebbe di uscire dalla crisi nel migliore dei modi. Hillary Clinton dice che è troppo tardi. Perché? Non è mai troppo tardi, salvo se l’obiettivo della NATO sia qualcosa di diverso dalla democrazia. Ho incontrato Ali al-Ahwal, coordinatore generale delle 2000 tribù libiche. Secondo lui un’improvvisa sparizione di Gheddafi finirebbe col provocare una guerra civile con conseguenze anche sull’altro versante del Mediterraneo.
A Tripoli martirizzata
1 luglio 2011
Frontiera tunisino-libica, 8 giugno – Una fila impressionante di auto immatricolate in Libia è in attesa al posto di dogana. Centinaia di Libici fuggono da Tripoli, violentemente bombardata alla vigilia dalla Nato. Il bilancio di vittime delle 60 incursioni del 7 marzo, compleanno del colonnello Gheddafi, è pesante: 31 morti e decine di feriti. Dall’inizio dell’intervento occidentale, vi sono civili che muoiono tutti i giorni nella quasi indifferenza dei media occidentali: 718 sono stati uccisi tra il 19 marzo e il 28 maggio, 4067 feriti, di cui 433 in modo grave. Di passaggio in Libia il 30 maggio, gli avvocati Roland Dumas e Jacques Vergès hanno dichiarato di voler denunciare Nicolas Sarkozy per crimini contro l’umanità, a nome di una trentina di famiglie che hanno perduto dei familiari nei bombardamenti.
Fino a Tripoli il controllo del territorio è assicurata da volontari armati, provenienti dalle tribù delle regioni che si attraversano. Una trentina di check-point filtrano la circolazione.
Il silenzio dell’UNESCO
L’Hotel Rixos, 5 stelle, è stato requisito per i giornalisti. Durante il mio soggiorno non vi ho incontrato alcun francese. A sentire o leggere i loro reportage, Tripoli è in stato di assedio, gli abitanti tappati in casa. Non è vero. Se molti negozi e ristoranti sono effettivamente chiusi, è perché il paese subisce un embargo di fatto e perché i tempi consigliano di economizzare. Anche la mancanza di benzina contribuisce: gli automobilisti devono fare fino a tre giorni di coda per un pieno. Inoltre 70.000 Libici si sono rifugiati in Tunisia; altri hanno lasciato Bengasi per l’Egitto.
9 giugno, ore 6 del mattino – La sirena d’allarme risuona negli altoparlanti del Rixos. Si dà l’ordine di evacuazione. Non è per un bombardamento ma per un incendio scoppiato in una stanza. Alcuni giornalisti ne fanno l’oggetto dei loro servizi, nonostante nella notte altri missili siano caduti in città e nei dintorni. Per condire il non-avvenimento, scrivono che i pompieri sono arrivati in ritardo. Cosa che non è vera.
Visitando i siti bombardati, non ci si può non interrogare su quali siano le vere finalità della Nato. La maggior parte degli obiettivi sono dichiarati “centri di comando”, anche se non hanno niente di militare. Evidentemente i quattro ospedali colpiti curavano anche soldati feriti; ma di cosa li si può rimproverare? Il 29 aprile è stato distrutto il Centro del Libro verde, la più grande biblioteca del paese. Era un simbolo della rivoluzione libica che sfidava la Nato. Ma non può non stupirsi del silenzio dell’UNESCO che aveva dichiarato l’edificio, un’antica costruzione turca, patrimonio mondiale. Nelle vicinanze vi era una casa dove aveva sede un’associazione caritativa che si occupava di bambini e la Commissione degli Affari esteri del Congresso generale del popolo (Parlamento): i caccia della Nato sono ripassati ad alta quota per distruggerla.
Un rapporto inquietante
Altro sito visitato: la sede del servizio anticorruzione. I suoi archivi sono stati distrutti, dicono gli abitanti di una strada vicina, per far sparire i dossier che riguardano i membri del Consiglio nazionale di transizione (CNT) di Bengasi. In qualche modo, una cortesia della Nato ai suoi protetti. Una bambina di 12 anni che abitava vicino, scioccata dall’esplosione, non ha sopportato la pioggia di missili che si è abbattuta sulla città il 7 giugno. Ha tentato di suicidarsi prendendo le medicine prescritte a sua madre. Sono andata a visitarla in ospedale. E’ sotto sedativi, ha le gambe paralizzate.
Il bombardamento del 30 aprile aveva come obiettivo Muammar Gheddafi. Il colonnello e sua moglie avevano lasciato la casa familiare una mezzoretta prima. Tre missili l’hanno polverizzata, uccidendo uno dei suoi figli e tre nipotini. Aicha, sua figlia, dirigente dell’organizzazione umanitaria Waatassimou, ha denunciato a Bruxelles la Nato per crimini di guerra, ed a Parigi Nicolas Sarkozy e Gérard Longuet, ministro francese della Difesa, per l’assassinio di sua figlia Mastura (4 mesi), di suo fratello e dei suoi nipoti.
A fine maggio l’influenza degli jihadisti in Cirenaica è stata evidenziata da una missione, di cui faceva parte Yves Bonnet, ex direttore della DST (Servizi di informazione francesi). Secondo i Libici, il rischio che Al-Qaida o una gang mafiosa si impossessino di una parte degli stock di gas tossici che dovevano essere distrutti in accordo con l’ONU è reale. Per il momento essi sono stati messi in sicurezza, ma fino a quando?
Intervista a Ali al-Ahwal, coordinatore del Forum delle tribù
2 luglio
Un Forum nazionale delle tribù libiche, riunito a Tripoli nel maggio scorso, ha chiesto l’adozione di una nuova costituzione. Seif al-islam, figlio del colonnello Gheddafi, non aspettava altro. Il 16 giugno ne ha annunciato l’elaborazione in una intervista al quotidiano italiano Corriere della Sera, insieme all’indizione di elezioni presidenziali prima della fine dell’anno, sotto il controllo di osservatori internazionali. Per consentire una piena ”copertura” del dibattito appassionato tra i sostenitori del Libro verde e i fautori del cambiamento, ha promesso piena libertà di informazione. Si dimostrerà – ha detto – che la Guida gode tuttora di un sostegno popolare maggioritario. Ha assicurato che, in caso di fallimento, il padre lascerebbe il potere. I ribelli della Cirenaica accetteranno la sfida? Non bisogna attendersi una risposta da Bengasi, secondo Seif al-islam, ma da Nicolas Sarkozy che li sponsorizza. Hillary Clinton, la segretaria di Stato USA, ha tagliato corto su questa proposta sostenendo che è “un po’ tardi”! Fino alla fine della crisi il Forum delle tribù sarà riunito in permanenza. Se necessario, assicurerà la continuità dello Stato in caso di vacanza di potere. Le tribù fanno dunque ingresso sulla scena libica. Come spiega questo ritorno in forze?
R: Il popolo libico è composto da quasi 2000 tribù, clan e notabili che giocano un ruolo primario nella difesa del paese. Il Forum delle tribù ha eletto un consiglio di 200 membri e suddiviso la Libia in quattro zone rappresentate da comitati. Ultimamente abbiamo condannato la visita di Sarkozy e Cameron a Bengasi. Si tratta di interferenze inammissibili negli affari interni di un paese sovrano, una prova del fatto che essi incoraggiano la spartizione della Libia. Non è la prima volta che le tribù assumono un ruolo di primo piano sulla scena nazionale. Era così già nell’antichità egiziana, greca e romana. Più recentemente, dopo la caduta dell’impero ottomano, gli Italiani si sono illusi di potere occupare la Libia in una settimana. Sarebbe stato sufficiente, dicevano, bombardare le coste del paese per conquistarlo. Hanno dovuto presto abbassare la cresta. La minaccia di fronte alla quale oggi ci troviamo è dello stesso ordine. Si vuole ricolonizzare la Libia e i nostri nemici sono la Nato, la Francia, la Gran Bretagna, l’Italia e gli Emirati del Golfo, soprattutto il Qatar. Allora noi riprendiamo le armi per respingere l’aggressione e tutelare l’unità del nostro paese. Noi non vogliamo che il sangue libico sia versato. La crisi può essere risolta pacificamente, attraverso negoziati. Nel comunicato finale del nostro Forum del 5 e 6 maggio abbiamo chiesto una amnistia generale. Diverse centinaia di prigionieri arrestati armi alla mano sono stati liberati.
Siete riusciti a stabilire un contatto coi ribelli?
R: Abbiamo mandato degli emissari per incontrare i capi delle tribù dell’Est. I ribelli hanno ucciso uno di essi. Abbiamo allora organizzato una riunione dei dignitari religiosi a Brega e chiesto alle tribù dell’Est di inviare loro rappresentanti: la Nato ha bombardato l’edificio dove erano ospitati, uccidendo 16 imam e ferendo 55 persone. Un massacro… è chiaro che la Nato non desidera che i Libici discutano tra loro per decidere del loro avvenire. Per noi il Consiglio di Bengasi non ha alcuna legittimità. Chi ne ha eletto i membri? Nessuno. Essi regnano solo grazie alle armi della Nato e ai soldi degli Emiri del Golfo. Che gli Emirati liberino le isole Abou Moussa, occupate dall’Iran, piuttosto di occuparsi dei nostri affari!
Quali sono i vostri rapporti con la Guida?
R: Nel corso del Forum delle tribù abbiamo detto che Muammar Gheddafi è un leader storico, un simbolo della Rivoluzione e il fondatore della Jamahiriya. Ha liberato la Libia dalle basi inglesi e USA, liberato i pozzi di petrolio. All’epoca il 90% dei proventi era intascato dalle compagnie straniere. Oggi è il contrario. Allora la Nato vorrebbe che egli lasci il paese. Questa questione riguarda solo lui e i Libici. Con lui assente, ci sarebbe il rischio di conflitti tra le tribù, di lotte per il potere.
Ma Muammar Gheddafi non è eterno…
R: Le tribù hanno saputo sempre assumersi le loro responsabilità. Per esempio nel 1918, quando i Turchi hanno lasciato il paese, hanno fondato la prima repubblica libica. Hanno poi lottato contro la colonizzazione italiana. De Gaulle, Churchill, Mao, Nasser, Tito, sono morti… sono stati sostituiti. Il popolo libico saprà inevitabilmente esprimere un altro leader. Ma io devo comunque sottolineare che Muammar Gheddafi ha restituito tutti i suoi poteri al popolo, che non è più presidente da 42 anni. Sarà dunque il popolo a decidere il modo col quale vorrà essere governato e da chi.